Come l’Italia divenne Russlandversteher: è questo il soggetto di «Russian Influence on Italian Culture, Academia, and Think Tanks», capitolo sull’Italia del libro Russian Active Measures Yesterday, Today and Tomorrow.
Il libro, pubblicato dalla Columbia University Press, si presenta come una antologia di contribuiti «in cui studiosi di una vasta gamma di discipline condividono le loro prospettive sulle attività segrete russe note come misure attive russe, aiutano i lettori a osservare la profonda influenza dell’azione segreta russa sulle politiche, le culture e la mentalità delle persone degli Stati stranieri e istituzioni sociali, passate e presenti». «Disinformazione, falsificazioni, grandi processi farsa, cooptazione del mondo accademico occidentale, memoria e guerre cibernetiche e cambiamenti nelle dottrine di sicurezza nazionali e regionali degli Stati presi di mira dalla Russia» sono esaminati attraverso il prisma di nuovi documenti scoperti negli archivi dell’ex Kgb, che mettono in luce la continuità profonda tra i metodi sovietici e quella della Russia di Putin. Non a caso, ex-agente del servizio segreto dell’Urss.
La curatrice Olga Bertelsen è Assistant Professor of Intelligence Studies alla Embry-Riddle Aeronautical University di Prescott, Arizona, e autrice di vari studi sulla storia ucraina. L’autore della prefazione è Jan Goldman: Professor of Intelligence and Security Studies at the Citadel, Charleston, South Carolina, e editor-in-chief of the International Journal of Intelligence and CounterIntelligence. I due autori del capitolo sull’Italia sono Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze sociali e Studi strategici, esperto di Russia e uno dei sette autori del rapporto dell’Atlantic Council del 2017 The Kremlin’s Trojan Horses 2.0: Russian Influence in Greece, Italy, and Spain ; e Massimiliano Di Pasquale, esperto di Ucraina sulla quale ha appena pubblicato un libro.
Come ricordano appunto Germani e Di Pasquale, il termine «Russlandversteher» è nato nel dibattito politico tedesco recente. Viene reso normalmente con «simpatizzante della Russia», ma più letteralmente è «uno che comprende la Russia». Nel senso che non solo comprende le ragioni della Russia, ma le ritiene legittime, e ne spiega appunto questa legittimità. In questo testo, però, il termine ha forse una sfumatura ulteriore. Non si tratta solo di spiegare la legittimità degli interessi russi, ma anche di convincere gli italiani che questi interessi sono complementari a quelli del nostro Paese, o che per difendere gli interessi del nostro Paese ci potrebbe essere utile fare sponda con certi interessi del Cremlino che vengono ad essere coincidenti.
Più in dettaglio, gli intellettuali e esperti di politica estera filo-russi presenti in Italia sono da Germani e Di Pasquale divisi in due grandi categorie: i neo-Euroasianisti e, appunto, i Russlandversteher. «I neo-eurasiatici italiani hanno visioni radicali filo-Mosca e anti-occidentali. Sono spesso ammiratori di Aleksandr Dugin, un analista politico russo con stretti legami con il Cremlino, noto per le sue opinioni scioviniste e fasciste. Percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché un potenziale alleato contro l’Ue e le élite globaliste che avrebbero impoverito l’Italia e l’hanno privata della sua sovranità. I neo-eurasiatici esprimono opinioni radicali anti-Nato e anti-Ue e invocano un’alleanza strategica tra Europa e Russia», spiegano.
«I Russlandversteher, italiani, invece, hanno una posizione filo-russa moderata e pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. Tendono a percepire che: a) la Russia è un’opportunità piuttosto che una minaccia; b) l’Occidente è in gran parte responsabile delle rivoluzioni ucraine e dell’attuale crisi nelle relazioni Russia-Ovest; e c) anche se l’Italia è un membro della Nato e dell’Ue, ha bisogno di avere un ’rapporto speciale’ con la Russia al fine di garanzia nazionale ed energetica dell’Italia».
Anche in questa componente c’è una componente di risentimento per l’Europa a guida tedesca, che spesso si unisce infatti a simpatie per Trump o per la Brexit. Una idea abbastanza diffusa tra i Russlandversteher è però soprattutto quella secondo cui i veri nemici dell’Occidente sono la Cina e/o l’Islam radicale, piuttosto che Putin.
Putin può invece essere un utile alleato nei loro confronti: una suggestione sempre presente è quella dello schema «triangolare» per cui Kissinger da Segretario di stato di Nixon impostò l’alleanza tra Occidente Cina maoista contro l’Urss, facendo prevalere la convergenza di interessi strategici sulla purezza ideologica. Compito dell’Italia dovrebbe essere dunque anche quello di far capire a Usa e Occidente questa cosa.
Lo studio riconosce che le posizioni del primo tipo sono minoritarie. Sono però in espansione, e tendono oggi ad essere collocabili in un’area ideologica che si colloca a destra, in contrasto con una storia recente in cui l’ideologia filo-russa era ancorata soprattutto a sinistra. Il saggio ricostruisce la storia dei sentimenti filo-russi in Italia indietro nel tempo, in cui si ricorda che il 24 ottobre Vittorio Emanuele III e Nicola II firmarono a Racconigi una alleanza tra Italia e Impero Zarista, e anche come al di là degli slogan ufficiali su antibolscevismo e antifascismo Mussolini abbia tentato spesso di fare sponda con Stalin per controbilanciare lo strapotere di Hitler, prima di arrivare alla dichiarazione di guerra. La macchina di propaganda del regime fascista, pronta a pompare le malefatte dei «rossi» in Spagna, tacque ad esempio sull’Holodomor, il genocidio per fame in Ucraina del 1932-33. E anche le relazioni economiche tra Italia fascista e Urss si mantennero sempre floride.
In seguito, nella Prima Repubblica i governi a guida democristiana legarono l’Italia alla Nato e alla Comunità economica europea e i partiti della maggioranza usarono spesso anche la propaganda antisovietica in campagna elettorale, ma da Enrico Mattei a Togliattigrad continuarono a fare affari col blocco comunista in quantità. Era però un atteggiamento di fatto filo-russo che non era ostile all’Occidente. Viceversa, il Pci gramsciano e togliattiano tra 1944 e 1989 cercò di costruire una «egemonia culturale» in cui era presente non solo l’esaltazione del socialismo reale, ma anche una continua denigrazione dell’American Way of Life, e poi in generale del «consumismo occidentale».
Quello che dopo il 1991 si caratterizza come «eurasianismo» riprende in pratica questo humus culturale, facendolo però virare da sinistra a destra e dal rosso al rossobruno. Restano l’avversione verso il capitalismo, la democrazia liberale, la cultura Usa, l’integrazione europea. Piuttosto che basati su slogan come il no a imperialismo e sfruttamento del proletariato, però, vengono ancorati a temi come la difesa dei valori cristiani tradizionali contro la globalizzazione, l’immigrazione, il femminismo, le teorie di gender e le lotte Lgbt.
In effetti questo interesse anticipa l’arrivo al potere di Putin, e anticipa anche la ripresa di «misure attive» da parte dei Servizi russi per influenzare l’opinione pubblica occidentale dopo la stasi del periodo di Eltsin. Sono piuttosto certi ambienti di estrema destra a scommettere che dopo il collasso del comunismo il previsto fallimento della transizione eltsiniana potrà fare della Russia un terreno fertile per le loro idee, ed a prendere contatto con personaggi come il già citato Dugin, Aleksandr Prokhanov, Sergei Baburin, Sergei Glaziev o Vladimir Zhirinovsky.
Uno dei pionieri italiani di questo movimento è individuato dallo studio in Claudio Mutti: ex-attivista di estrema destra, esperto di lingue Ugro-Finniche, e fondatore delle Edizioni all’Insegna del Veltro, con cui oltre a testi di Corneliu Codreanu, Julius Evola, Pierre Drieu La Rochelle e anche Adolf Hitler pubblica anche, nel 1991, la prima traduzione in italiano di una antologia di saggi di Dugin.
Altri personaggi di riferimento sono gli ex-dirigenti del Msi Carlo Terracciano e Maurizio Murelli, e l’esperto di geopolitica Tiberio Graziani. Il loro momento arriva in particolare al tempo dell’intervento di George W.Bush in Iraq, quando la loro campagna anti-Usa riesce a collegarsi a settori di estrema sinistra del cosiddetto Campo Antimperialista. Su questa ondata nel 2004 Mutti e Graziani fondano Eurasia. Rivista di studi geopolitici che apre il suo primo numero con un saggio di Dugin.
Varie intelligenze di questa area iniziano a penetrare anche nella Lega, specie dopo che nel 1999 Umberto Bossi in occasione della crisi del Kosovo ha preso posizioni filo-serbe. In particolare a lavorare per il collegamento tra eurasianismo, Lega e Dugin è il giornalista Gianluca Savoini. Nel 2001 il processo si arresta momentaneamente, quando la Lega di Bossi decide di tornare con Berlusconi in una alleanza occidentalista, e dopo gli attentati alle Torri Gemelle appoggia anche l’intervento Usa in Afghanistan. Ma Berlusconi attraverso il rapporti personale che stabilisce con Putin ha a sua volta poi una sterzata filo-russa, anche se più del tipo Russlandversteher.
L’animosità nel centro-destra italiano verso i tradizionali alleati occidentali cresce dopo che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy sono indicati come mandanti di un golpe anti-berlusconiano, si accresce quando la Primavera Araba crea un contraccolpo di rifugiati che investe in pieno l’Italia, e tocca il parossismo con una crisi economica il cui peggioramento è imputato alle rigidità tedesche.
Su questa base il 15 dicembre 2013 a Torino Salvini è eletto segretario di una Lega lanciata verso una nuova proiezioni nazionale e sovranista, in un Congresso dove tra gli ospiti d’onore sono Viktor Zubarev e Alexei Komov: rispettivamente deputato del partito putiniano Russia Unita e fiduciario dell’oligarca Konstantin Malofeev. Il ruolo di Savoini e della sua Associazione Culturale Lombardia-Russia cresce, prima di andare a sbattere sulle intercettazioni dell’Hotel Metropol.
Nel frattempo, dopo la rivoluzione colorata in Georgia del 2003 e quella in Ucraina del 2004 Putin risponde richiamando in vita e anche modernizzano l’apparato sulle «misure attive» dell’epoca sovietica, anche appoggiandovi strumenti nuovi come il canale all-news Russia Today, l’agenzia Sputnik e una serie di fondazioni e istituti.
Pure nel 2004 il 28 novembre esce sul Corriere della Sera un articolo di Sergio Romano che si intitola «La spina di Putin», che chiede di tener conto degli interessi di Putin in Ucraina e che è considerato un po’ una prima uscita allo scoperto del mondo Russlandversteher italiano. Secondo Germani e Di Pasquale, anche la rivista di geopolitica italiana mainstream Limes a partire dal numero 3 del 2008 Progetto Russia inizia a diventare sempre più Russlandversteher, con vari articoli che arrivano addirittura a appoggiare la spartizione di Ucraina e Georgia, anche se nella rivista continuano a essere pubblicati articoli di differente orientamento.
Nel 2009 torna alla carica Sergio Romano, con la prefazione al libro di Edward Lucas sulla Nuova Guerra Fredda pubblicato da Bocconi University Press in cui gli dà del «russofobo». In particolare dopo la Rivolta di Maidan si vede che mentre su opposte sponde politiche il Giornale e il Manifesto si schierano compattamente contro la protesta ucraina, negli stessi Corriere della Sera e Repubblica il numero degli articoli filo-Putin cresce, pur venendo sempre bilanciato con «pezzi» di diverso orientamento.
E anche Massimo Cacciari inizia a fare interventi Russlandversteher. Secondo Oksana Pakhlyovska, docente di lingua e letteratura ucraina alla Sapienza, tra il 2014 e il 2015 ben 35 libri sull’Ucraina vengono pubblicati in Italia. Alcuni sono di autori sconosciuti, altri di accademici affermati, ma la gran parte sono anti-Maidan.
In questo clima anche l’Euroasianismo esce dalla marginalità per entrare nel dibattito mainstream, per almeno in alcune sue tematiche. Specie dopo che alle elezioni del 2018 in Italia primi due partiti diventano forze politiche che a questo humus hanno attinto, come il Movimento Cinque Stelle e la Lega.
Tra i personaggi indicati nel saggio come autori di libri e pubblicazioni ispirati a tali tematiche sono il marxista dei dibattiti CasaPound Diego Fusaro, l’ex-inviato nell’Urss e poi teorico del complotto dell’11 settembre Giulietto Chiesa, l’autore della “Educazione Siberiana” Nicolai Lilin, il leader di CasaPound Simone Di Stefano, l’ex-seguace di Toni Negri Giuseppe Zambon, l’ex-direttore di Rai 2 Carlo Freccero, il docente di storia del Caucaso a Ca’ Foscari Aldo Ferrari, il reporter di guerra di destra Fausto Biloslavo, lo storico cattolico e medioevista Franco Cardini, quel Sebastiano Caputo direttore del giornale on line L’intellettuale dissidente il cui programma Rai annunciato a inizio 2019 fu bloccato per le proteste della comunità ebraica riguardo alle sue posizioni pro-Iran e pro-Hezbollah, il noto complottista e collaboratore di Sputnik Maurizio Blondet, l’ex-vicedirettore di Famiglia Cristiana Fulvio Scaglione.
Ancora più importante, però, è una rete di connessione con think tank e università, che partono evidentemente dall’interesse anche legittimo a coltivare determinate relazioni: specie in un momento in cui trovare finanziamenti non è particolarmente facile.
La Fondazione Russkii Mir, strettamente collegata al Cremlino, ha ad esempio centri di cultura russa alle Università di Milano, Pisa e Orientale di Napoli. A sua volta l’Istituto di Stato di Mosca di Relazioni Internazionali ha una partnership con la Luiss che gestisce un doppio Master in collaborazione anche con Enel, e l’Istituto ha un simile rapporto con doppio Master anche con la Sapienza, ed un altro rapporto ancora con Urbino.
Germani e Di Pasquale osservano come vari docenti legati a questi rapporti alla Luiss e alla Sapienza hanno espresso punti di vista pesantemente anti-Kiev, fino a appoggiare una spartizione dell’Ucraina. La Sapienza inoltre ha una relazione di collaborazione con l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) stabilito nel 2010 da Tiberio Graziani, che ha contati con varie entità russe ed è anche finanziato dal ministero degli Esteri italiano. L’IsAG ha organizzato vari eventii per spiegare che Putin è calunniato dai russofobi, e Graziani è spesso intervistato da Sputnik.
C’è poi il caso di Ca’ Foscari a Venezia, che nel 2014 ha nominato professore onorario Vladimir Medinskii: non solo ministro della Cultura russo, ma fautore della riabilitazione di Stalin. Perfino la Sioi, storica Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale tradizionale centro di formazione per aspiranti alla carriera diplomatica ora presieduta da Franco Frattini, il 24 settembre 2015 organizzò una conferenza sulla crisi ucraina in cui c’erano vari esperti italiani e russi, ma neanche un ucraino.