Valigie vuoteIl preoccupante crollo delle migrazioni interne e dall’estero causato dalla pandemia

Tutti i mesi del 2020, tranne gennaio e febbraio, hanno visto un flusso migratorio tra Nord e Sud Italia e verso altri Paesi visibilmente in calo rispetto al 2019. Le conseguenze di questo congelamento degli spostamenti rischiano di provocare un peggioramento complessivo del già grave declino demografico

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Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati da un ritorno di fiamma di tendenze in ambito sociale che pensavamo appartenessero solo al passato. Tra i tanti “ritorni alla tradizione” di cui le narrazioni mediatiche in ogni ambito sono piene, anche troppo, vi è stato il revival dell’emigrazione dal Sud al Nord, in particolare di giovani.

Non più di poveri contadini, ma spesso di laureati di famiglie borghesi; non più con le valigie di cartone, bensì con il laptop. Eppure di immigrazione interna sempre si tratta.

A differenza che negli anni ’50-’60 questa emigrazione è stata accompagnata da un trend demografico che ha pure favorito le regioni settentrionali, dove il calo delle nascite è stato frenato, se non fermato, a fronte di quello, continuato e impetuoso, nel Mezzogiorno.

Fino all’anno scorso l’Italia si avviava, come altri Paesi Occidentali del resto, a essere sempre più divisa tra la parte più povera e quella più ricca, con Milano in testa, che oltre ad attirare sempre più persone, spesso più istruite della media, tendeva a diventare sempre più giovane nella popolazione, pur nel contesto di un invecchiamento generale.

La pandemia ha bloccato ogni cosa. Come se fosse stato schiacciato prima il tasto “pause” e poi addirittura quello “rewind”. Il congelamento di tutto, e in primis degli spostamenti, ha anche fermato o comunque molto rallentato quel flusso che alimentava la vita di questo Paese.

I saldi migratori interni sono molto eloquenti. Tutti i mesi del 2020, tranne non a caso gennaio e febbraio, hanno visto un saldo positivo al Nord Ovest e al Nord Est peggiore, e non di poco, rispetto agli stessi periodi del 2019.

In dicembre la differenza tra quanti se ne sono andati e sono arrivati al Nord Ovest è stata di 625 persone. Un anno prima era stata di 2.365. Così a novembre da 3.579 è sceso a 922. E così negli altri mesi interessati dalla pandemia.

Al contrario nel Mezzogiorno è diminuita l’emorragia di residenti che da sempre lo caratterizza. Sempre a dicembre al Sud è passata da 2.479 persone a 956.

Fonte: ISTAT

Ma il flusso sanguigno del Paese non era alimentato solo dagli spostamenti interni ma anche da quelli di chi si trasferiva in Italia dall’estero. Era diminuito negli ultimi anni, ed era sempre più compensato da quello inverso degli italiani che emigravano in altri Paesi, ma esattamente come i flussi interni anche quelli esteri privilegiavano il Nord.

Nel 2020 si è molto prosciugato anche questo canale. Al Nord in marzo e aprile sono stati addirittura più le uscite delle entrate, e nei mesi successivi il saldo, pur positivo, si è comunque ridotto moltissimo, anche di più di un terzo. È successo ovunque, ma nel Mezzogiorno meno che nel resto del Paese.

Fonte: ISTAT

I dati per tutto l’anno sono ancora più chiari. Solo in Lombardia il saldo positivo è crollato di più di 17 mila persone. È come se fosse saltata tutta l’immigrazione in una regione media come la Toscana, usando i numeri del 2019. In Veneto lo stesso saldo si ridotto a un terzo di quello dell’anno prima, andando da 12.592 a 4.139. Nel Lazio e in Toscana si è dimezzato.

Fonte: ISTAT

Questo si affianca a un forte ridimensionamento delle differenze sulle migrazioni interne.

Al primo e all’ultimo posto la Lombardia e la Campania, i due poli economici e umani dell’Italia. Le regioni che hanno rappresentato da un lato l’angolo più vicino all’Europa, e dall’altro uno dei più lontani. Escludendo il piccolo Trentino Alto Adige tra le regioni maggiori era la Lombardia quella con il reddito e il tasso di fertilità più alto, mentre la Campania è quella che subisce sia la minore occupazione, specie femminile, sia la maggiore emigrazione.

Nel 2020 da un lato la Lombardia vede crollare gli arrivi in regione, da ogni direzione, dall’altro la Campania assieme alla Sicilia vedono assorbirsi più di altri i deflussi dei propri abitanti, con una riduzione che compensa, e di molto, il peggiorato saldo con l’estero, in ogni caso già piuttosto ridotto.

A prima vista in realtà questi numeri potrebbero sembrare una buona notizia. Si limitano quelle disuguaglianze che allargano sempre più la faglia che separa una parte del Paese, la più sviluppata, in crescita, anche demografica, dall’altra, in declino.

E tuttavia c’era un motivo per cui dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Campania i 20enni e i 30enni volevano andare a Milano, a Bologna, a Trento, e non viceversa: la maggiore occupazione, gli stipendi migliori.

E maggiore occupazione e stipendi migliori sono alla base nel XXI secolo della crescita demografica. Nel XX e prima ancora era diverso, ma ora le determinanti sono queste: fanno più figli le coppie con un lavoro stabile e ben pagato.

A meno di un “south working” più mediatico che reale, rimanere al Sud vuol dire diminuire le probabilità di trovare un’occupazione, e di conseguenza di potersi trovare nelle condizioni di avere un figlio.

Le conseguenze di questo congelamento degli spostamenti rischiano di essere in realtà un peggioramento complessivo del già grave declino demografico, quello che nel 2020 ha portato a un calo della popolazione residente di 384 mila unità, a causa dei minori arrivi dall’estero e di un ulteriore crollo delle nascite. Crollo che tra l’altro ha interessato più il Nord Ovest che le altre aree d’Italia, perlomeno in novembre e dicembre, i primi mesi che risentono dell’effetto pandemia. Forse perché lì più che altrove la decisione di fare figli dipende dalle condizioni economiche.

Fonte: ISTAT

Sarebbe un guaio per un Paese che in Europa è già tra quelli più vecchi da tempo, con l’età mediana più alta, ora superiore anche a quella della Germania, dove dopo il 2015 grazie alle ondate migratorie si è stabilizzata. E dove il rapporto tra gli anziani e coloro che sono in età lavorativa è più alta.

Fonte: ISTAT

Uscire dall’emergenza dovrà voler dire anche scongelare gli spostamenti, riattivare i movimenti da un’area all’altra, e far ripartire i trasferimenti delle competenze laddove possono essere messe maggiormente a frutto. Nel breve periodo sarà necessario, anche se duro.

Il riscatto del Mezzogiorno dovrà passare per altre strade, quelle della conquista di una maggiore produttività, una strada difficile e ardua, ma certamente più desiderabile e proficua del blocco dei giovani nei suoi confini.

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