Sono ventiquattr’ore in Italia, questo taglio di luna, freddo come una lama qualunque, e grande come la nostra fortuna.
Ovviamente la cosa più importante successa nelle ultime ventiquattr’ore è la nascita dell’erede Ferragni, alla quale – tanto per chiarire quale sia il sesso debole in quella casa (e in questo paese) – è stato dato il nome della regina Vittoria.
Nel momento in cui scrivo non è, incredibilmente, ancora partita la polemica su Chiara nel letto della Mangiagalli con la neonata in braccio e, nell’inquadratura, una mano tatuata del marito. Non sono ancora partiti i «mio marito non ha potuto assistere al parto per la pandemia e lui sìììì». Cos’aspettano le mamme dell’internet? Cos’hanno di meglio da fare che gridare al privilegio di classe? E che ne sarà dell’amica dell’ostetrica che, saputo della nascita, ha twittato il nome dell’erede Ferragni prima che avessero modo di farlo i titolari del marchio? Cosa faranno, i coniugi Ferragni: la faranno querelare da Andrea Scanzi? La manderanno a lavorare per la Boldrini?
La fortuna di vivere adesso, questo tempo sbandato.
Il video di Nicola Morra, mi dispiace molto doverlo constatare, non è all’altezza delle dirette di Scanzi dalla spa (che continuano quotidianamente, e sono sempre molto belle – in quella di lunedì ci spiegava che «nell’ambiente» tutti sanno che lui non accende mai il telefono – ma nonostante qualche perla non raggiungono il compatto capolavorismo della diretta di domenica).
Il video di Morra fa in compenso rivoltare Italo Calvino nella tomba, non per l’orrore quanto per l’invidia: perché tutta quest’antilingua non l’ho pensata io, si rammarica il defunto.
«Io sabato mattina mi son recato», ci dice Morra, figlio naturale d’un tassista e d’un carabiniere. Poi abbiamo lo stilema «tutele», quattro ricorrenze (alla quinta essi – esse? – tornano «poliziotti», acciocché finalmente capiamo cosa intendesse con «tutele»: i poliziotti di scorta).
«Può essere testimoniato dalle tutele che sono costrette ad accompagnarmi», «sempre in compagnia delle mie due tutele», «m’hanno detto poi le mie due tutele», e soprattutto «una procedura identificativa effettuata successivamente dalle mie due tutele», per dirci come mai sapeva i nomi di quelli che erano lì. Le sue due tutele, con cui è costretto ad andare in giro perché in pericolo di vita, invece di proteggerlo dai malviventi si sono messe a prender giù i dati anagrafici di due che, perdindirindina, non avevano le mascherine (scusate se derogo dall’antilingua di Morra, che chiama le mascherine «dispositivi di protezione individuale»).
Mentre voi siete lì che vi chiedete cosa dicano i figli dei poliziotti ai compagni di scuola («che lavoro fa tuo papà?» «la tutela»), Morra è lì che ci spiega lo scandalo: «son rimasto diciassette minuti e undici secondi» in attesa senza che gli rispondessero, prima che si spazientisse e andasse lì (a far identificare i presenti dalle tutele, e ci fa anche capire che invece di lavorare stavano alla macchinetta del caffè: i soliti scansafatiche meridionali).
Ti capisco, Nicola: a me certe volte l’Esselunga mi tiene in attesa dopo aver spinto i numeretti pure venti minuti, e hanno come musica d’attesa una versione di Che cosa c’è che non è quella della Vanoni, dimmi tu se può mai essere legale, dimmi tu lo Stato dov’è.
Ci precisa Morra che lui, nella stanza del tizio che poi si è lamentato lui gli avesse fatto venire l’infarto o giù di lì («come se la vista del sottoscritto abbia prodotto malessere»: avesse, Nico’, avesse; «come se» regge l’imperfetto: facciamo tutt’un pacchetto sanità e scuole medie, quando risolviamo la questione meridionale), era entrato «dopo aver bussato e dopo aver sentito “sì, prego, avanti”», perdincibacco. E infine stigmatizza un qualche episodio di vaccinati non delle fasce di popolazione giuste (no, non Scanzi, uno degli altri milioni: par di capire che siamo un paese in cui riesce a vaccinarsi solo chi non ne ha titolo), e lo stigmatizza con la frase «siamo finiti sui giornali»: mica come quando si muovono lui e le tutele.
Sono ventiquattr’ore in Italia anche queste, in un parcheggio in cima al mondo, io che cerco di pagare le liquidazioni, ma mi confondo.
Mentre scrivo, Laura Boldrini ha brevemente smentito le accuse d’una cameriera e d’un’assistente (entrambe ex), accuse secondo le quali avrebbe trattato le due dipendenti come una qualunque datrice di stipendio di Vigna Clara: pagandole il meno possibile e comunque malvolentieri (tutto il mondo è Vanzina: anche quello che fa finta di non esserlo, specialmente quello che fa finta di non esserlo).
Annunciando una successiva risposta più articolata, Boldrini ha intanto detto che «si tratta di due collaboratrici valide, in ambiti ovviamente totalmente diversi» (cioè: a una delle due non chiedevo di pulire il bagno); che «mi aspettavo da loro che, se ritenevano che ci fosse con me qualche problema, me ne parlassero direttamente e non tramite un giornale, tutte e due insieme poi» (è praticamente bullismo, due contro una); e «mi pare che abbiano fatto ricorso a un metodo quanto meno improprio, che lascio agli altri giudicare e commentare» (cafone, buzzurre, e altri canti dell’Olgiata).
L’interrogativo per ora senza risposta non è se davvero la sacerdotessa dei reietti e dei miserabili e dei bisognosi abbia negato tremila euro di liquidazione a una cameriera. L’interrogativo è: ma tutto questo fa bene alla commedia all’italiana (è tutto materiale) o la uccide con la manifesta superiorità dei notiziari quotidiani?
Ah, saperlo.
Ma tutto questo è già più di tanto, più delle terre sognate, più dei contributi senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate.