Meno male che Matilda c’è. E non solo perché veste Prada, togliendo al palcoscenico di Sanremo la sua abituale estetica da serata di gala romana. Perché Matilda De Angelis, fino a ieri nota soprattutto per le tette esibite in The Undoing, è la donna in carriera che voleva essere Rocco Casalino: ha sì un corpo per il peccato, ma anche un cervello per gli affari e soprattutto un piglio per zittire il maschio televisivo italiano, una creatura non abituata a donne spiritose (le donne sono decorative e gli uomini spiritosi, nella classica divisione dei compiti sanremesi: un po’ come io apparecchio e tu lavi i piatti).
Quando ieri mattina ha cominciato a parlare, in conferenza stampa, ho capito che Amadeus, con quel sottotono democristiano, aveva fatto quella cosa che solo i democristiani riescono a fare, dalle nostre parti: la rivoluzione pacifica. Un Sanremo in cui la valletta che neanche riesce a dire una frase in italiano corretto, figuriamoci esprimere un concetto sensato, era un uomo. Zlatan Ibrahimović diceva «Essere perfetto è essere te stesso», e io ricordavo le forestiere che affiancavano Vianello o Baudo e pensavo che progresso, che modernità: adesso la valletta oca ha i baffi.
E in cui quella sagace, quella che risponde alle domande sceme con battute che sottolineino la di esse scemità, quella che si esprime per iperboli e antifrasi, quella lì è una donna. E una con due notevoli tette, perdipiù. (Essere sagaci è assai più semplice se si è cesse, se sei una cessa l’uditorio s’aspetta tu sia brillante per compensare, se sei gnocca e pure sagace è un’ingiustizia e l’uditorio si turba).
Quando Matilda De Angelis ieri mattina, rispondendo a chi le chiedeva se lei e Nicole Kidman si sentissero, ha detto «Certo, tutti i giorni», ha dovuto aggiungere «sto scherzando». Ha dovuto aggiungere di star scherzando una decina di volte, povera ragazza, perché avere tutte quelle tette trasforma i tuoi interlocutori in quegli ottusi che sui social hanno bisogno delle faccette sorridenti.
Amadeus ha rapidamente capito che Matilda bastava a sé stessa, e ieri sera alla prima uscita le ha praticamente chiesto di ripetere il numero del mattino. Lei ha detto d’aver dovuto bloccare Hugh Grant su WhatsApp perché la aggiungeva a troppi gruppi, ma s’è dimenticata d’aggiungere «Sto scherzando», quindi mi aspetto che stamattina, mentre voi leggete queste righe, in giro per l’internet ci siano titoli letteralisti su Matilda che blocca Hugh. Quel molestatore.
Mi aspetto anche titoli sull’omofobia di Fiorello, che dice «a me basta metà» in risposta all’«io sessualmente sono tutto» di Achille Lauro; sul nazismo di Fiorello, con quei baffetti; sull’abilismo di Fiorello, che fa una farlocca traduzione in linguaggio dei segni di quel che dice Amadeus.
A proposito di Fiorello (un apostrofo di lievità tra una dolenza e l’altra, tra un’infermiera di reparto Covid e una rievocazione di quando vivevamo una vita normale).
A proposito di Fiorello, che si è caricato il peso della leggerezza, mentre il povero Amadeus media tra lo spettacolo che deve continuare e le domande dementi di giornalisti che chiedono se insomma, sia proprio il caso di fare un festival di canzonette, con tutti i problemi che ha il paese, e lo chiedono essendo inviati a un festival di canzonette.
A proposito di Fiorello, che assomiglia a una cosa che dice Springsteen nella nuova puntata del podcast con Obama: «Faccio sempre questa battuta, “stasera sono qui sul palco per salvarvi la vita”, ma non è mica una battuta».
A proposito di Fiorello.
Se il più brillante intrattenitore italiano fa la sua prima uscita sul palco di Sanremo conciato da Achille Lauro, con un mantello fiorato, e lo smalto alle unghie, e degli occhiali pieni di ghirigori, significa che quell’estetica lì, quella di rottura delle convenzioni di genere, è ormai completamente depotenziata e quindi imitabile nei programmi per famiglie? O che è diventata talmente un classico che imitare Lauro oggi è come imitare Al Bano negli anni Ottanta? (Poi Lauro arriverà, vestito forse da fenicottero o forse da Marilyn Manson o forse da Isabella Santacroce, ma comunque lo si riconosce dalla pronuncia delle dentali, che è sempre quella della sora Lella).
E le canzoni, diranno i miei piccoli lettori? Ah già, a Sanremo ogni tanto c’è quell’inconveniente lì. Ma a volte l’inconveniente diventa una benedizione, e quindi a un certo punto arriva Loredana Berté. E il guaio è venire prima di lei. Tocca al povero marito della Ferragni, che porta una canzone cantata in coppia con Francesca Michielin, e il cui testo è stato scritto da sei autori. Sei. Cinque più di quanti ne siano serviti al Mare d’inverno. Cinque più di quanti ne siano serviti a Non sono una signora. Il testo con sei firme (tra cui Mahmood, non l’ultimo analfabeta) dice «Qui sull’erba siamo mille mille, sento tutto sulla pelle pelle». Una roba da chiedere lo status di poeta insigne e paroliere d’emergenza per il direttore di rete che la mattina in conferenza stampa aveva detto «il codice dell’imprevedibilità tra questi due mattatori sarà proprio un codice regalato al bisogno profondo e primario delle persone» (credo intendesse che Amadeus e Fiorello hanno persino più autori del marito della Ferragni, ma ne ignorano le indicazioni).
Meno male che Loredana c’è. Meno male che ha ancora voglia di cantare voli a planare dentro i peggiori motel, di farsi i capelli azzurri, di sfasciarsi, di mettersi minigonne, di simulare mitezza senza che nessuna persona sensata possa dubitare della sua cazzutaggine, di ricordarci com’eravamo quando avevamo nei capelli la luce rossa dei coralli, quando eravamo come ci raccontava lei, ambiziosa come nessuna mi specchiavo nella luna e la obbligavo a dirmi sempre sei bellissima. Meno male che ci ipnotizza e ci fa squarciagolare, dopo due ore di rischio di morte per noia (che avrà totalizzato ottanta milioni di spettatori, venti dei quali venuti apposta in zona arancione per guardarlo sebbene non cittadini italiani: è tradizione che, quando io muoio di noia, il festival venga visto da fantastiliardi di pubblico).
Meno male che, appena un anno dopo essere stato linciato come maschilista massimo della nazione, Amadeus ci ha fregati, unico maschio italiano a circondarsi di donne alfa invece che di sacerdotesse della lagna.