Io non ce l’ho con le sardine, e se avessi degli amici sardine ve lo potrebbero confermare. Ce l’ho con il partito che li accoglie a braccia aperte quando si presentano con i sacchi a pelo, invece di farli allontanare dalla vigilanza.
Non ce l’ho né con Mattia Santori né con il suo movimento, che ha avuto un ruolo prezioso, in Emilia Romagna e non solo, nel contrastare una deriva pericolosa verso una politica xenofoba e aggressiva, e nel risvegliare una mobilitazione democratica e civile. Un merito che nessuna fesseria successiva potrà togliere alle sardine.
Il problema, a sinistra, non sono i ragazzi dei movimenti, ma la mancanza di un partito degli adulti. Qualcosa che manca da decenni, intendiamoci, perché Santori e compagni non sono che gli ultimi arrivati nella lunga storia degli stalker del Pd (e prima del centrosinistra).
Dai girotondi inventati da un regista di successo in crisi d’ispirazione al popolo viola inventato da qualche giornalista annoiato, non c’è movimento della società civile che a un certo punto, chissà perché, non abbia deciso che doveva occuparsi di dirigere il centrosinistra, autonominandosi unico e autentico interprete della volontà del suo popolo (compresi quelli organizzati dalle stesse correnti del Pd, a dimostrazione che il problema sono loro, i dirigenti, mica i movimenti).
Di questo genere di accerchiamenti e occupazioni ne abbiamo visti tanti, ognuno con i suoi leader. Da Elly Schlein, oggi consigliera regionale in Emilia Romagna e giovane promessa della sinistra, ieri eurodeputata, già avanguardia del primo OccupyPd (perché la prima regola delle grandi novità dei movimenti di sinistra è sempre la stessa: mai niente di nuovo), a Ivan Scalfarotto, esponente di Italia Viva ora sottosegretario agli Interni, già sottosegretario agli Esteri, già sottosegretario allo Sviluppo economico, nel 2005 candidato alle primarie dell’Unione contro Romano Prodi, ma scoperto da Repubblica quasi dieci anni prima, nel 1996, come autore di una lettera al giornale da cui sarebbe nato (secondo lo stesso giornale, ovviamente) nientemeno che il «Partito dei delusi dell’Ulivo». Ulivo che peraltro in quel momento era al governo del Paese da neanche otto mesi, ma si affrettava subito a riceverlo con gli onori di un capo di Stato straniero. Sei anni prima dei girotondi e un quarto di secolo prima delle sardine.
«Mi sento come Forrest Gump… Non credevo mai che, scrivendo a Repubblica, sarei finito qui, a palazzo Chigi, a parlare faccia a faccia con Romano Prodi e Walter Veltroni», dichiara il giovane Scalfarotto alla cronista Barbara Palombelli, il 18 dicembre 1996, poco prima di essere ricevuto da Veltroni, a cui avrebbe detto quello che si dice sempre in questi casi, che tu sia renziano o rivoluzionario, sardina o grillino. Cose tipo: «Io voglio sapere perché un cittadino non può leggere la Finanziaria, mi hanno detto che diamo 200 milioni l’anno perfino al principato di Monaco e io voglio controllare», che era un po’ il caso McKinsey del tempo. O anche: «Poi voglio sapere perché alla Rai la gente di sinistra come Beppe Grillo non la volete». E tu guarda come passa il tempo.
Quel che manca alla sinistra italiana non sono dunque movimenti, associazioni e attivisti capaci di far casino, che servono sempre, ma un gruppo dirigente composto di adulti con il coraggio e la credibilità necessaria per poter dire loro, quando occorre: grazie, ma adesso abbiamo da far cose più serie (costruire su macerie, o mantenerci vivi, per esempio). I vostri campeggi, occupazioni e girotondi andateli a fare altrove. E dite a casa che questo è un partito democratico, non un parco giochi.