Il Partito democratico americano vorrebbe attaccare Big Tech con l’equivalente legislativo di uno sciame di droni anziché con un grande corazzata, che sarebbe più facile da affondare. L’autorevole sito Axios usa un’immagine bellica per descrivere l’affondo di alcuni membri del Congresso nei confronti delle grandi aziende del settore tecnologico sull’antitrust.
Il punto di partenza è la strategia delineata dal membro della Camera dei Rappresentanti David Cicilline – deputato del Rhode Island – che avrebbe pensato di spacchettare in dieci o più proposte la legge antitrust anziché proporne una sola.
L’idea alla base è quella di raggiungere due obiettivi. Il primo è quello di cercare, nei limiti del possibile, un terreno d’incontro con i Repubblicani, agendo su questioni più mirate. Va ricordato che la maggioranza democratica è piuttosto risicata in entrambi i rami del Congresso – in Senato c’è massimo equilibrio – e far passare un’unica grande e massiccia proposta potrebbe essere impossibile vista l’abitudine dei Repubblicani all’ostruzionismo. Il secondo obiettivo è quello di complicare il lavoro a Facebook, Amazon, Apple e Google, che nel caso dovrebbero mobilitarsi rapidamente per opporsi alle singole riforme.
Lo stesso Cicilline ha spiegato all’agenzia Axios che «queste società hanno miliardi e miliardi di ragioni per cercare di proteggere il sistema attuale perché produce profitti inimmaginabili», e si è detto ottimista sul fatto che l’amministrazione di Joe Biden possa essere un partner importante nel lavoro sull’antitrust. «Le grandi aziende del settore tecnologico si sbagliano se pensano che la pandemia abbia concesso loro una tregua. Anzi, la pandemia ha evidenziato il loro predominio nel mercato e amplificato il loro monopolio».
La discussione non è solo nel mercato statunitense, ovviamente. È presente anche al di qua dell’Atlantico ma non è ancora così presente nel dibattito politico. «In Europa c’è stata grande attenzione al tema della privacy, quindi a come vengono utilizzati queste informazioni personali e al regolamento generale sulla protezione dei dati», dice a Linkiesta il Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano Giuliano Noci.
Ma anche per Noci più che il problema della privacy il vero tema centrale attorno a cui ruota la questione è quella delle condizioni di oligopolio in cui si muovono le grandi aziende: «Non credo che la partita possa essere giocata e vinta sul tema della privacy. Ma dobbiamo capire come interagire con dei colossi che hanno a disposizione una quantità di dati enorme, e ne accumulano sempre di più a condizioni non sempre trasparenti».
Un primo livello di analisi infatti è quello della trasparenza dei servizi offerti agli inserzionisti. «Non possiamo escludere che siano avvantaggiati alcuni soggetti piuttosto che altri, il che comporterebbe atteggiamenti opportunistici che non rispetterebbero le leggi del mercato», spiega Noci. Ma questo si lega a un secondo tema: l’enorme disponibilità di dati a disposizione delle aziende come Google, Facebook, Amazon, non è solo una fonte di guadagno nell’immediato, ma anche una condizione che favorisce e alimenta il loro oligopolio.
Se questa enorme ricchezza di dati diventa una barriera all’accesso per altri attori, quindi se questo oligopolio si perpetua e non c’è la possibilità per nessun attore può entrare con successo nel mercato, bisogna intervenire. «E dal momento che le loro piattaforme – conclude il Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano -pensiamo soprattutto a Google e Facebook, sono al limite del servizio di pubblica utilità, allora si può richiedere loro di rendere alcuni dati accessibili da parte di terzi per garantire una maggiore accessibilità al mercato anche a nuovi attori».