Se c’è una lezione da trarre dai primi mesi di amministrazione Biden, è quella per cui solo un politico moderato può vincere da sinistra e governare poi una nazione come gli Stati Uniti. Un ricetta che non vale per tutti, ma come spiega un articolo del Financial Times, un leader «più è apparentemente innocuo, più audaci sono i suoi piani». E così è stato per Biden, chiamato con disprezzo Sleepy Joe da Donald Trump durante la campagna elettorale, ma che di settimana in settimana continua a stanziare trilioni di dollari in aiuti alle imprese, piani di investimento e manovre per la transizione ecologica.
«I giornalisti non li vedono mai arrivare. Gli elettori li appoggiano per non esagerare», spiega il quotidiano britannico. E mentre gli oppositori che sostengono l’estremismo si macchiano spesso di un’isteria sconveniente, l’essere «improbabili» è forse l’arma più incisiva in un leader.
Certo per governare contano anche altre qualità, come il carisma e la magniloquenza di John F. Kennedy e Barack Obama, ma non per Biden «che può fare qualcosa di incomparabilmente più utile. – si legge nell’articolo. Nessuno si aspetta audacia dalla sua amministrazione, che è il modo più sicuro per ottenerla». E anche per questo motivo il neo presidente degli Stati Uniti è riuscito a pescare da un bacino elettorale eterogeneo, che comprende anche il voto di una sinistra preda spesso di ideologie estremizzate.
«Eliminare la superficialità della politica è di per sé frivolo. Il punto è piegarla a proprio favore e consapevolmente o no Biden lo sta facendo» spiega ancora il Financial Times. In più, rimane il sospetto «che Biden stia spendendo più di quanto un presidente come Bernie Sanders o Elizabeth Warren avrebbero potuto fare da schietti e orgogliosi esponenti di sinistra quali sono». E forse sarà anche per questo motivo che a salire alla Casa Bianca non siano stati loro ma l’imprevedibile Sleepy Joe.
«La sinistra può ribollire per un’ingiustizia o accettare che le sue idee siano meglio servite dai leader che sembrano crederci meno» si legge ancora.
Non a caso in Europa più estremista Jeremy Corbyn, perse le elezioni in Regno Unito del 2017 e del 2019 proprio perché decisamente poco attrattivo per gli elettori moderati e liberali inglesi. «Il Labour può continuare con il programma e le posizioni di Corbyn anche con un nuovo leader. In quel caso sarebbe finito. Oppure può capire che deve liberare il Partito dall’estrema sinistra, apportare cambiamenti radicali e iniziare la marcia indietro», disse qualche giorno dopo la sconfitta Tony Blair, unico premier laburista a vincere tre elezioni consecutive e a governare per dieci anni, dal 1997 al 2007. Ancora oggi Blair è accusato di non essere davvero di sinistra.
Stesso discorso in Francia dove alle elezioni presidenziali del 2017 né il simbolo della sinistra estrema Jean-Luc Mélenchon, né il candidato più di sinistra del Partito socialista, Benoit Hamon, non sono riusciti ad arrivare neanche al secondo turno. Al loro posto invece ci è arrivato Emmanuel Macron, creando una formazione centrista ed europeista capace di assorbire parte dei voti gaullisti, evitando che finissero alla leader di estrema destra Marine Le Pen.
Un altro esempio di governabilità efficace è il Portogallo, uno dei pochi paesi europei dove moderati e radicali governano insieme con successo. Il governo del premier Antonio Costa, forte anche di un arco costituzionale notoriamente più tendente a sinistra perché solo dal 1974 è uscito da un regime dittatoriale, si è posto come priorità la lotta ai cambiamenti climatici, l’invecchiamento della popolazione, l’uguaglianza e lo sviluppo digitale.
Placido e misurato Costa (già al secondo esecutivo) è riuscito a ottenere buoni risultati riuscendo a tenere ordine nei conti pubblici adottando politiche progressiste che hanno dato respiro ai settori della popolazione più colpiti dalla crisi del 2007-2008. Per esempio ha aumentato il salario minimo e gli investimenti nel settore sanitario, approvando anche la legge sul fine vita.