La Super League è ormai fonte di discussione a ciclo continuo, a tutti i livelli. Il progetto è mosso dal desiderio dei club più blasonati di valorizzare tutto il potenziale – sportivo, economico, umano – dello sport più seguito al mondo, dei loro brand e dei calciatori più forti del mondo.
Il modello nasce nel solco di due grandi tornei come la Premier League inglese e l’Eurolega di basket, cioè le competizioni sportive continentali di maggior prestigio dopo la Champions League – che sarebbe la più danneggiata dalla nuova Super League.
I 12 club fondatori sentono di non ottenere il giusto compenso dall’attuale struttura del calcio europeo e vorrebbero cambiare l’assetto generale: vogliono soprattutto la libertà di poter gestire la manifestazione di punta, non essere ospiti delle federazioni internazionali. Vogliono quindi attrarre i broadcaster in autonomia rispetto all’Uefa e alle leghe nazionali, non vogliono vedere i loro brand depotenziati sul mercato dall’accostamento con club minori, vogliono sfruttare al massimo la loro visibilità.
Le stesse motivazioni che mossero i maggiori club inglesi trent’anni fa, quando nacque la Premier League.
Per più di cento anni, dal 1888 al 1992, la Football League era stata l’unica lega professionistica della Football Association, la federazione inglese: era divisa in quattro divisioni e regolata da un sistema pensato per bilanciare le forze, partendo dal principio di condivisione degli introiti.
Nel 1965 la Bbc decise di investire cinquemila sterline per trasmettere il programma “Match of the Day” e la somma fu spartita equamente tra i 92 club della federazione, per circa 50 sterline per club.
Dopo i successi degli anni ‘70, il calcio il calcio inglese entrò in una spirale negativa, conseguenza della recessione economica che colpì il Regno Unito. Il football iniziò a diventare la brutta copia di se stesso: gli stadi tenuti in pessime condizioni, la violenza degli hooligaans sugli spalti, le tragedie dell’Heysel e di Hillsborough erano lo specchio di un Paese in crisi.
Inoltre in quel periodo le tv iniziarono a investire sempre più nel calcio, spingendo i grandi club a fare pressione per ottenere compensi maggiori, visto l’effetto trainante delle loro squadre al botteghino e per gli spettatori da casa.
«Mantenere un equilibrio di questo tipo divenne però sempre più complicato. Con l’aumentare dei potenziali guadagni, aumentò anche la pressione dei grandi club per averne una fetta più grande. La prima tradizione a crollare sotto i colpi del progresso fu proprio la condivisione degli incassi del botteghino nel 1983. Vennero così favorite le squadre più importanti e con stadi più capienti. Poi nel 1985, dopo aver minacciato per la prima volta una scissione dal resto della Football League, i club della First Division ottennero una nuova ripartizione degli introiti dei diritti tv: a loro il 50%, alla Second Division il 25%, alla Third Division e Fourth Division il restante 25%», ha scritto Alberto Calò in una ricostruzione su Ultimo Uomo.
A cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, la crescita del valore dei diritti tv avvicinò sempre più la scissione dei grandi club: le società più ricche e più grandi si unirono per creare una lega autonoma – l’odierna Premier League – per trattare in modo indipendente il rinnovo degli accordi con le emittenti televisive e dividere gli introiti solo tra le squadre attive in quella lega.
La nuova competizione nacque ufficialmente il 20 febbraio del 1992 nel segno dell’indipendenza rispetto all’organismo nazionale che ne limitava l’espansione e la crescita. Nei tre decenni successivi, grazie a strategie di mercato vincenti, il massimo campionato inglese è diventato il più importante a livello europeo, staccando nettamente la Serie A italiana, la Liga spagnola e la Bundesliga tedesca sotto tutti gli aspetti. Soprattutto quello economico: i diritti di trasmettere le partite di Premier sono stati venduti per circa 5 miliardi di sterline per il triennio 2019-2022, nello stesso periodo la Liga incasserà 3,42 miliardi di euro, ed è il secondo campionato più ricco.
Il modello della Super League è stato accostato anche all’Eurolega di basket. Il primo e più evidente punto di contatto tra le due è la partecipazione fissa di alcune società: al momento sono undici, a cui si aggiungono cinque che vi accedono annualmente in base al raggiungimento di determinati risultati e altre due partecipano su invito.
L’Eurolega è più recente della Premier League: l’11 gennaio 2000 la Fiba – la federazione internazionale della pallacanestro – inviò una lettera alle federazioni nazionali e ai club in cui spiegava che avrebbe centralizzato le trattative per i diritti televisivi e di marketing della massima competizione continentale a partire dalla stagione 2000-2001.
Meno di due settimane dopo, il 23 gennaio, i principali club di Spagna, Italia e Grecia e i rappresentati delle leghe dei tre Paesi si dichiararono contrari al progetto: al termine di un vertice tenuto a Barcellona, firmarono un documento che avrebbe segnato i primi passi della nascita di una lega – sponsorizzata da Telefònica, la principale compagnia di telecomunicazioni spagnola – basata su una gestione in proprio dei diritti tv, d’immagine e del marketing.
Al punto 2 di quel documento, ha scritto Flavio Tranquillo in un articolo pubblicato sul suo sito, «si prendevano le distanze dalla lettera inviata da Fiba alle federazioni nazionali l’11 gennaio, annunciando la decisione di non aderire a quelle richieste e di riconoscere come soggetto trainante della riforma l’Uleb (Unione delle Leghe Europee di Basket, ndr)».
Il 25 febbraio 2000, a Monaco di Baviera, si tenne un incontro tra il gruppo scissionista – 14 grandi club e le tre principali leghe professionistiche – rappresentati dal presidente della lega spagnola Eduardo Portela, e la Fiba, rappresentata dal segretario generale Borislav Stankovic.
Le posizioni inconciliabili portarono a una rottura: la Uleb avrebbe registrato il marchio Eurolega per dare vita a una nuova competizione; la Fiba avrebbe creato la sua Suproleague.
Ma quando la società di sport marketing che gestiva la Suproleague – la Isl – fallì, la Fiba non ebbe altra scelta che accettare le condizioni delle società scissioniste: la competizione Fiba è stata assorbita dalla Eurolega Uleb ad aprile 2001, in quella che ancora oggi è la miglior competizione europea di basket.