Storie di frontieraLa lunga passeggiata per i confini d’Italia

Muoiono e risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Sono limiti geografici astratti e concreti, linee politiche e barriere psicologiche che definiscono lo spazio. E quelli del nostro Paese, come racconta Mauro Suttora nel suo libro, hanno migliaia di cose da raccontare

Pierre Teyssot/MAXPPP ; 28/04/2016, Brennero, Brenner

Possono essere barriere insormontabili, o linee tracciate sulla carta in modo arbitrario. A volte vengono spostati con un trattato e un accordo, altre volte occorre una guerra e un sacrificio di sangue.

I confini delimitano un Paese, una regione, un popolo. Ma lo possono anche dividere a metà. E proprio quando sembrava che, nell’Europa unita, si fossero ridotti a mera convenzione burocratica, sono tornati a vivere: con il sovranismo, in ottica anti-Ue e anti-migranti, con la pandemia, nella necessità di un cordone sanitario di sicurezza per bloccare i contagi e, prima ancora, come ricorda a Linkiesta Mauro Suttora, autore di “Confini”, appena pubblicato da da Neri Pozza. «con i movimenti no-global della fine degli anni ’90», quando contro «il globalismo veniva riproposta la retorica del “piccolo è bello”, del “chilometro zero” delle “piccole patrie”, anche se questa affonda le radici negli anni ’70».

Il suo ultimo libro vuole essere «una passeggiata sui crinali da Ventimiglia a Trieste», indicando, a ogni cima e curva, storie di politica, aneddoti, battaglie, lunghe convenzioni cancellate in pochi anni (Ventimiglia, che non ha niente a che vedere né con le miglia né con il numero venti, per oltre duemila anni non ha rappresentato il limite dell’Italia, o della Gallia cisalpina. Il confine era più in là, dopo Nizza) che hanno portato a costruire la linea frastagliata che definisce l’Italia.

Tutto parte da una domanda: «Perché il confine è a Chiasso, quando il San Gottardo, che rappresenta una separazione naturale, è molto più in là?». È una lunga storia, fatta di battaglie di secoli fa e trattati rimasti in vigore per centinaia di anni.

Scavando nelle stranezze della piccola geopolitica del Belpaese, si notano alcune incongruenze, come «il fatto che Tarvisio, che pure è in Italia, non si trova nel bacino del Po». Le sue acque arrivano nel Danubio, quindi nel Mar Nero e questo fatto ha garantito all’Italia l’accesso privilegiato alla navigazione lungo il Bosforo. E chi ricorda che il generale De Gaulle, dopo il 1945, voleva annettersi tutta la Val d’Aosta e il Piemonte? (per evitarlo si allearono, per un giorno, partigiani e fascisti italiani). I confini, come si è visto nel XX secolo, sono mobili: Gorizia, dall’altra parte, ha cambiato Paese sette volte tra il 1916 e il 1947.

«I confini non sono neutri dal punto di vista psicologico. Hanno provocato scontri e guerre fin da quando esiste l’uomo. A partire dalla linea tracciata da Romolo per escludere Remo». I confini, soprattutto, «sono una cosa diversa dalla frontiera, che comprende in sé una spinta a superarla. Non solo in termini di conquista, ma anche come apertura mentale, come scoperta e conoscenza».

Oggi è più difficile confinare qualcosa. Lo si è visto durante la pandemia. «Anni fa Claudio Martelli definì “baluba” i leghisti» (e Achille Occhetto correggerà il tiro aggiungendo che l’epiteto andasse riferito anche agli elettori), cioè un insulto «per persone chiuse, cioè confinate nelle proprie valli» eppure «Bergamo è una delle province più internazionali d’Italia, con contatti commerciali con tutto il mondo. L’export della Brembo, i cantieri di Luna Rossa sono due esempi».

Insomma, il confine è un concetto che a livello mentale può venire superato. «Credo che invece la questione dei no border e il dibattito sui migranti riprenderà, con i toni di prima. È inevitabile, nella psiche profonda, soprattutto per un Paese come l’Italia, l’arrivo degli stranieri comporta la paura dell’invasione».

Il fatto è che dentro l’Europa «pandemia a parte, i confini ormai non ci sono più. E siamo fortunati per questo». La barriera è fuori. E anche altrove. «I confini, vissuti come una barriera bruciante, sono altrove. Basta guardare più a Est» e viene il mente il Caucaso, la Turchia e l’Ucraina.

Pensare che appartengano al passato, che possano essere ridotti a mera presenza formale sulle mappe è però illusorio.

Suttora conclude il suo libro citando Claudio Magris: «I confini muoiono e risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano l’esperienza, il linguaggio, lo spazio dell’abitare, il corpo con la salute e le sue malattie, la psiche con le sue scissioni e i suoi riassestamenti, la politica con la sua spesso assurda cartografia, l’io con la pluralità dei suoi frammenti e le loro faticose ricomposizioni, la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine».

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