Quando nel Partito comunista divenne ormai impossibile negare che vi fossero le correnti, formalmente vietate, i dirigenti le chiamavano «componenti». Prima ancora, con la consueta e voluta ambiguità, Palmiro Togliatti aveva parlato di «temperamenti» diversi. Tanti anni dopo il suo sdoganamento, la parola «corrente» torna a essere tabù. Poco meno di un insulto.
Nicola Zingaretti, che per diventare segretario costruì una super-corrente interna-esterna (“Piazza grande”), ha sbattuto la porta vergognandosi dello «stillicidio» che, senza nominarle, era frutto del lavorìo delle correnti e il successore, Enrico Letta fra le sue prime esternazioni inserì il tweet su Schwarzenegger «incaricato dei rapporti con le correnti». Ma altro che Terminator: da quando Letta è il numero uno del partito, di nuove correnti, o componenti o, come dice adesso, di «aggregazioni politico-culturali» ne sono sbocciate tre.
Partiamo dall’ultima in ordine di tempo. Si chiama “Prossima”, debutta oggi, si definisce una «rete politica culturale di sinistra» (vade retro, corrente!) ed è animata da dirigenti del Pd molto vicini proprio a Zingaretti durante la sua segreteria, tipo Nicola Oddati, l’ex responsabile comunicazione Marco Furfaro, l’ex responsabile lavoro Marco Miccoli, Stefano Vaccari (che è rimasto responsabile dell’organizzazione del Pd anche con Letta), Maria Pia Pizzolante e altri.
Se volessimo usare la lente d’ingrandimento potremmo parlare di zingarettiani di sinistra, ovviamente molto legati al biennio della alleanza strategica con i grillini e dell’innalzamento di Giuseppe Conte a punto di riferimento fortissimo dei progressisti, con un tocco di boldrinismo e un bel po’ di rimpianto della antica stagione bersaniana.
Le altre due correnti – pardon: aree di pensiero – sono quella di Goffredo Bettini (“Agorà”) di cui si è molto parlato; e quella animata da Paola De Micheli che si chiama “Rigenerazione democratica”.
Su Bettini, come detto, si è scritto parecchio quando esordì a fine aprile con una iniziativa cui parteciparono anche Letta e Conte nella quale il guru di Zingaretti volò alto, navigando sulle onde alte della attualizzazione delle ragioni fondative della sinistra all’evocazione del cristianesimo politico di San Paolo e che poi, abbassandosi alla risacca della politica politicante, ripropose l’idea dell’alleanza con Conte nel quadro di un campo largo della sinistra (non a caso era presente anche Elly Schlein): Mario Draghi, diciamo, non era in cima ai suoi pensieri.
Un certo afflato politico-religioso intende custodirlo anche “Rigenerazione democratica” dell’ex ministra De Micheli, esponente storicamente vicina a Enrico Letta: si tratta di una associazione che è già uscita pubblicamente con un’iniziativa a cui ha partecipato fra gli altri il sociologo Mauro Magatti seguita da 5000 persone su Zoom, un successo che la stessa De Micheli non si attendeva.
L’impostazione del Manifesto dell’associazione, di forte impronta personalistica, è molto critica con la politica organizzata negli ultimi anni «basata sulla centralità di figure di leadership personali, con carattere manageriale e flessibile. Questo “nuovo” assetto, concentrato su leader mediatici è entrato in crisi: perché la narrazione di una presunta eccellenza personale, a elevato narcisismo, ha aperto la strada alle teorie populiste (più radicali e maggiormente efficaci)».
Sono concetti che si collocano dentro una riscoperta dei valori comunitari e del partito classico, non vorremmo dire tradizionale-novecentesco ma insomma. Stanno dentro la linea lettiana di ritorno a qualcosa di solido, strutturato (di cui è spia l’insistenza sui circoli, sul tesseramento), essendo chiarissima la volontà di rompere non solo con tutto il racconto renziano della leadership e della disintermediazione ma finanche con le suggestioni leggere del Pd veltroniano. In questa chiave, l’amalgama fra il lettismo e la sinistra ex Pci parrebbe riuscire meglio di quell’altro. Almeno in teoria
Perché, senza voler nulla togliere all’elevatezza di questo discorso, poi è difficile non chiedersi se la vita del Pd – al vertice del Pd, per meglio dire – non si stia nuovamente ingarbugliando con l’infittirsi di gruppi, aree, reti, correnti e correntine, un infittirsi che può rappresentare un segno di vitalità intellettuale così come può suonare come un rumore di fondo in attesa di una conta congressuale che prima o poi ci sarà. Anche perché è da notare che dopo l’urlo sdegnoso di Zingaretti e gli appelli di Letta nessuna corrente si è sciolta. Anzi.
La più forte, Base Riformista, con Letta è ormai gelida, dopo un periodo iniziale di credito. Anche perché il numero uno del Nazareno si è molto spostato sulla sinistra (le aree di Orlando, quella di Bettini, quella di Matteo Orfini, quella di Gianni Cuperlo, mentre sembra in costruzione quella di Peppe Provenzano), come dimostra l’ultima uscita sull’aumento della tassa di successione in favore dei giovani.
Poi c’è come detto la componente zingarettiana di Oddati, l’associazione di De Micheli, e naturalmente è sempre determinante l’area di Dario Franceschini, poi c’è quella di Anna Ascani, ed è probabile che nascerà una componente autonoma di Graziano Delrio. In attesa che in autunno scenda in campo il correntone del segretario, forse in grado da funzionare da diserbante di tante velleità.