È tutta una questione di tempo. Per Andrea Losavio, giocattolaio romano, e per il settore di cui fa parte. Ce ne ha messo tanto sua nonna Dolores Manfredini, che ha aperto il negozio “Al Sogno” nel 1945. E ce ne ha messo lui, per arredare negli anni il suo punto vendita a misura di bambino. Un Pinocchio di legno ad altezza naturale presidia l’ingresso, poco dietro spunta il collo di una giraffa di peluche. Agli occhi dei piccoli questo angolo di Piazza Navona deve essere il paradiso. E anche a quelli di qualche adulto in cerca dei passatempi dell’infanzia. «Siamo pure ospedale della bambola e del giocattolo», dice Andrea, e tu lo immagini chino sui suoi pupazzi e i carillon, per ricostruire ciò che l’usura ha danneggiato.
«Io un periodo così mica me lo ricordo. È quasi come il terrorismo degli anni ’70, però ancora più buio», sospira. Si riferisce al 2020, chiuso registrando una perdita del 70% di fatturato. Dopo il boom degli anni ’60 e ’80 i guadagni hanno sempre fluttuato per il suo negozio legato a doppio filo all’arrivo dei turisti. Ma a memoria non gli sovviene un calo delle vendite paragonabile a quello del lockdown. Non è l’unico. Tutto il mercato del giocattolo tradizionale ha terminato l’anno a -6,9% secondo le rilevazioni del Gruppo NPD, azienda specializzata in ricerche di mercato. Un dato peggiore rispetto al 2019, quando il settore aveva una flessione del -3,5%. Sui bilanci negativi hanno gravato le chiusure di negozi e supermercati, che hanno costretto molte aziende di giocattoli e prodotti per la prima infanzia a riconvertire parte della loro produzione per creare mascherine.
Eppure nelle pieghe dei numeri si scovano sorprese. Tutti i settori del gioco tradizionale sono in crescita, un trend iniziato con l’allentamento delle restrizioni a giugno dello scorso anno. Rispetto allo stesso periodo del 2019, il mercato ha segnato un +12%. Aumenta l’acquisto di giochi outdoor, quelli che si fanno all’aria aperta, per esempio scivoli e palloni (+15%) e quello dei peluche (+10%, un dato curioso confermato anche da Andrea Losavio). La tendenza positiva è continuata anche nei primi due mesi del 2021, in cui il mercato è cresciuto del 5% rispetto allo stesso momento del 2020. L’anno della pandemia ha favorito il boom di giochi da tavolo, puzzle e costruzioni, passatempi ormai quasi dimenticati e rispolverati solo nei giorni pigri delle festività natalizie.
Poi il lockdown. A marzo il tempo si è fermato ed è diventato croce e delizia di ognuno. «Il ritorno al gioco tradizionale indica il desiderio di mettersi insieme attorno al tavolo, ingannare la noia in compagnia», dichiara Maurizio Cutrino, il direttore generale dell’associazione nazionale di categoria Assogiocattoli. Avevamo a disposizione quella libertà prima prosciugata dagli impegni quotidiani. «La pandemia ha rallentato i ritmi – prosegue Cutrino – e ci ha fatto riscoprire il piacere dei giochi analogici, non “mordi e fuggi” ma che richiedono pazienza».
In un certo senso è successo anche nel mondo del gaming. Secondo l’indagine svolta da IIDEA (Italian Interactive International Digital Entertainment Association, l’associazione di categoria dell’industria dei videogiochi) durante il lockdown è aumentato il tempo dedicato ai videogames. Si è passati da una media di 7 ore e mezza nel 2019 a un picco di 8 ore e mezza con la prima ondata, un dato che si è poi stabilizzato a 8 ore nella seconda (ottobre-dicembre). Il settore videogiochi cresce e Marco Saletta, presidente di IIDEA e General Manager di PlayStation, ne sottolinea i punti di forza: «Diverte e favorisce la socializzazione». Che sia tradizionale o digitale, insomma, il gioco ha il pregio di creare momenti condivisi e rafforzare i rapporti interpersonali.
E chi l’ha detto che per divertirsi bisogna essere bambini. Gli adulti rappresentano infatti un ampio bacino di giocatori, tradizionali e digitali. Molti prodotti, per esempio i giochi da tavolo, vengono acquistati dai genitori per sé stessi. E i più grandi rappresentano anche un gruppo cospicuo di videogiocatori: sono quasi quattro milioni quelli nella fascia di età 45-64. Ecco perché il calo demografico (nel 2020 ci sono stati meno di 400 mila nati) non sembra rappresentare una minaccia per nessuno dei due settori.
Analogico e digitale non sono in competizione, sottolineano da Assogiocattoli e IIDEA. Nell’era moderna, spesso convulsa, il terreno di scontro è più sottile e la partita si gioca su ciò che gli utenti hanno di più prezioso: tempo e attenzione. Si è ampliato quello dedicato al ragionamento dei giochi tradizionali, lo sa bene Losavio che sui suoi scaffali in legno ha messo in bella mostra Monopoli e Battaglia Navale, ed è aumentato quello davanti a smartphone e console. In fondo, poco importa se gli occhi sono ammaliati da un tabellone o dallo schermo del pc. Purché ci si ritagli, quello sì, un momento per giocare. In fondo, è solo questione di tempo.