Sette anni svaniti nel nulla. L’accordo di partenariato tra Svizzera e Unione europea non si farà: i colloqui, iniziati nel 2014, sono così destinati a giungere a un punto morto. «Persistono differenze sostanziali, in particolare sulla questione della libera circolazione delle persone», ha dichiarato il ministro degli esteri della Confederazione Ignazio Cassis.
La turbolenza con il Paese alpino avrà delle inevitabili ripercussioni a livello economico. La Svizzera è infatti il quarto partner commerciale dell’Europa e pesa per il 6,9% sulle esportazioni continentali, non dimenticando che gli scambi ogni giorno sono stimati intorno al miliardo di euro.
Per Berna l’Ue ha un valore assolutamente primario: rappresenta infatti il primo partner commerciale, con un valore pari al 42% delle sue esportazioni e al 50% delle sue importazioni.
Nonostante abbia deciso lo stop, il governo elvetico sembra comunque deciso a voler trovare una quadra con Bruxelles. «Crediamo di poter raggiungere un accordo su nuove basi», ha dichiarato Guy Parmelin, presidente della Confederazione. La rapida approvazione dell’assegno da 1 miliardo e 184 milioni di euro per il fondo di coesione europea però potrebbe non bastare: l’Europa sembra infatti decisa a chiudere tutti gli spazi di dialogo con il governo elvetico.
Il fatto
I rapporti economici tra Berna e Bruxelles sono regolati da circa 120 accordi bilaterali sin dal lontano 1972. Anche dopo il 1992, quando la Svizzera decise di non entrare nello Spazio Economico Europeo a causa del no sia della popolazione che dei cantoni, questi trattati bilaterali hanno continuato a coprire settori fondamentali come i trasporti, il commercio, i dispositivi medici e l’agricoltura. Alcuni di questi accordi sono però in scadenza e raggiungere la firma dell’accordo avrebbe certamente risolto il problema.
Eppure, i segnali di una tempesta perfetta c’erano già tutti: l’accordo-quadro, firmato nel 2018, ha infatti trovato un avversario di spessore all’interno dell’Assemblea federale svizzero che ne ha impedito l’approvazione.
Secondo l’Udc, partito vincitore delle ultime elezioni legislative svizzere, questo accordo svantaggerebbe troppo Berna, che sarebbe costretta a doversi adeguare al diritto europeo in maniera eccessiva, svilendo la sua sovranità. Una sorta di effetto-Brexit, insomma, che ha portato il governo elvetico a cercare una strada alternativa nell’inevitabile dialogo con Bruxelles.
Le frizioni, infatti, non sono mai mancate, in particolare sulla libera circolazione delle persone, l’assistenza sociale e il livello dei salari svizzeri, oltre alla questione degli aiuti di Stato, su cui Berna avrebbe chiesto di derogare rispetto alle normative europee.
Se per la prima questione valgono le parole di Cassis, che ha recentemente dichiarato che «per la Svizzera la libertà di movimento riguarda sostanzialmente la libera circolazione dei dipendenti e delle loro famiglie, mentre per la Ue tutti i cittadini», un discorso diverso riguarda gli altri temi.
Gli svizzeri, infatti, temono l’arrivo in massa degli europei, che giungerebbero nel Paese soprattutto per l’assistenza sociale privilegiata e gli alti stipendi concessi dalle società elvetiche. Altro problema quello degli aiuti di Stato: Berna teme che l’Europa possa mettere troppo il naso nelle questioni svizzere e si finisca davanti alla Corte di giustizia europea, che darebbe ragione a Bruxelles.
Le reazioni della stampa
L’accordo ha inevitabilmente diviso la stampa elvetica. «La Svizzera non ha bisogno di un trattato della paura: sarebbe stato sbagliato concedere ai cittadini dell’UE un accesso costoso al nostro sistema di previdenza sociale integrando così Berna all’interno dell’Unione», ha scritto il Berner Zeitung, il giornale della capitale.
Un pensiero condiviso dagli altri giornali di lingua tedesca: «Se avessimo stipulato l’accordo il nostro sistema democratico sarebbe diventato una farsa», ha titolato il Tages-Anzeiger di Zurigo. Il quotidiano, che ha denunciato le pressioni esercitate da Bruxelles, ha esortato i sindacati e le associazioni imprenditoriali a trovare un piano B per uscire dall’impasse.
Analisi diversa quella fatta dai quotidiani francesi, che hanno accusato il governo confederale di essere responsabile del mancato accordo. La Tribune de Genève e 24 Heures hanno infatti posto la loro attenzione «sull’incapacità del Consiglio federale, dei partiti e dei cantoni di guardare avanti e definire le relazioni che vogliono con l’Unione europea e le concessioni che sono disposti a fare». Le Temps invece si è concentrato maggiormente sul grande fallimento del ministro Cassis, «la cui incessante tergiversazione ha destabilizzato i suoi collegi e il mondo politico svizzero».
Le conseguenze
Una simile rottura non potrà non avere degli effetti nei rapporti tra Italia e Svizzera. Uno di questi è il mancato rinnovo dell’Accordo sul reciproco riconoscimento dei dispositivi sanitari, firmato nel 2002 e scaduto nei giorni scorsi. «I certificati già emessi per i dispositivi medici esistenti rimarranno in vigore anche dopo il 26 maggio», ha dichiarato Natalie Sleeman, primo consigliere della delegazione europea a Berna.
Un periodo transitorio che non potrà andare oltre il 27 maggio 2024 ma la questione è soprattutto legata ai costi: secondo il think tank Avenir Suisse, l’industria delle macchine e l’industria chimico-farmaceutica potrebbero sostenere costi una tantum fino a 1,7 miliardi di franchi e costi ricorrenti annuali fino a 1,3 miliardi di franchi a causa del mancato rinnovo dell’accordo tra Svizzera e Unione.
Anche il campo della ricerca rischia di risentirne. La mancanza di un accordo di partenariato mette a serio rischio la partecipazione di Berna ai programmi di ricerca europei, come Horizon Europe che ha un budget di 95 miliardi di euro per il programma 2021-2027.
«L’annuncio di oggi non è una sorpresa, ma è una grande delusione e una grande preoccupazione per il futuro delle relazioni scientifiche tra la Svizzera e l’UE. I principali progetti di ricerca in corso si basano sulla cooperazione e sulla partecipazione alle principali infrastrutture europee. Da sola la Svizzera è debole», ha dichiarato Yves Flückiger, rettore dell’Università di Ginevra e presidente di swissuniversities.
Infine, è immaginabile pensare che l’aspirazione svizzera di entrare nel mercato energetico europeo sia a questo punto destinata a svanire così come l’equivalenza delle Borse, che l’Europa ha concesso solo nel 2019 e che per il momento si rifiuta di prolungare, mettendo a serio rischio il mercato di Zurigo, il quarto a livello europeo. L’impressione è che siamo soltanto all’inizio.