Visto si stampiL’imbarazzo delle case editrici nel pubblicare i libri dello staff di Trump

Vendere memoir e testimonianze dei membri delle passate amministrazioni è una tradizione e, al tempo stesso, un’affermazione di neutralità. Ma i tempi sono cambiati: le personalità che hanno lavorato per l’ex presidente degli Stati Uniti sono considerate pericolose e gli editori stabiliscono i limiti

AP Photo/Alex Brandon, File

Da un lato il desiderio di mantenere una posizione neutrale, dall’altro la gravità degli atti di cui si è resa responsabile l’amministrazione Trump. È in questo dilemma che è precipitata la casa editrice americana Simon & Schuster, che dopo avere annunciato l’accordo per la pubblicazione del libro dell’ex vicepresidente Mike Pence, è stata sommersa dalle proteste. Lo scorso lunedì almeno 200 dipendenti e 3.500 supporter (e anche alcuni autori storici) hanno firmato una petizione per chiedere una marcia indietro. Annullare il contratto e non concedere spazio ai membri dell’entourage di Trump.

Del resto già poco tempo prima la stessa Simon & Schuster si era ritirata dall’accordo con il senatore Josh Hawley, uno dei sostenitori più accesi delle teorie sui brogli elettorali, rifiutandosi di pubblicare il suo libro contro le Big Tech.

È una novità importante. Come fa notare il New York Times per tradizione gli accordi degli editori con ex membri delle amministrazioni erano considerati un segno di prestigio. Era un principio di neutralità politica bipartisan che veniva recepito e rispettato. Nessuno si era lamentato, ai tempi, per le memorie di Dick Cheney, o di Donald Rumsfeld o la raccolta di storie e ritratti fatti dallo stesso George W. Bush.

Con l’ultima amministrazione però la questione è diversa. E la differenza è proprio Donald Trump. I suoi quattro anni sono stati dominati dalle menzogne, dalle polemiche, dalle liti. La fine del suo mandato è culminata poi con la disastrosa gestione della pandemia, la negazione maniacale della sconfitta, i tentativi di rovesciare il voto con azioni legali e infine l’assalto al Campidoglio. È naturale che la questione susciti più di qualche perplessità. Il timore più elementare è che un libro dello stesso Donald Trump sarebbe impiegato per ripetere, in ogni pagina, le menzogne scritte da lui sui social.

Gli editori stessi, che negli ultimi tempi si sono impegnati a difendere (o a dire di volerlo fare) i principi di inclusione e rispetto delle minoranze, si troverebbero in una situazione di imbarazzo.

Come spiega al New York Times Adrian Zackheim, presidente di due piccole case editrici che fanno capo a Penguin Random House (cioè a Simon & Schuster), «C’è tensione. Da un lato ho sempre pensato che fosse nostro dovere pubblicare le voci più eminenti del dibattito pubblico, anche se non concordiamo con quello che dicono». Ma dall’altro, «penso che si debba essere cauti quando queste figure si sono rese note per le grandi menzogne che hanno detto».

La soluzione sarebbe, allora, una sorta di compromesso. Pubblicare cioè quei nomi del campo conservatore che sono riuscite a mantenere una certa autorevolezza. È il caso del libro di William Barr, che ha ceduto i diritti per un resoconto della sua esperienza al Dipartimento di Giustizia. Mentre il libro di Amy Coney Barrett, giudice della Corte Suprema scelta da Trump in mezzo alle polemiche, sarà pubblicato proprio da una delle due case editrici di Zackheim, la Sentinel, specializzata in quest’area politica.

Pubblicare, insomma, si può. In certi casi si deve anche. È per questo che i vertici della Simon & Schuster hanno risposto alla petizione con un rifiuto: «Veniamo qui tutti i giorni per pubblicare, non per cancellare», ha scritto l’amministratore delegato Jonathan Karp. «Cancellare è la decisione più forte che una casa editrice possa fare. E va contro all’essenza stessa della nostra missione, che è quella di pubblicare voci e punti di vista diversi». Ma non ha convinto i firmatari della petizione, che hanno rincarato la dose con un’altra lettera. «Quando S&S ha firmato un accordo con Mike Pence ha infranto la fiducia del pubblico nel nostro processo di selezione e pubblicazione. E ha contraddetto in maniera evidente alcune prese di posizioni precedenti in favore dei neri e delle altre minoranze vittime di oppressione strutturale».

Il risultato di tutto questo è che, di fronte alla riluttanza delle case editrici maggiori, ad approfittare sono i concorrenti più piccoli e indipendenti. Il caso di Bombardier, della Post Hill, è un esempio. Specializzata in titoli di Repubblicani, ha già messo le mani sui libri di Matt Gaetz, membro della Camera dei Rappresentanti e di altri importanti nomi del GOP. Secondo il direttore Adam Bellow l’addio dei conservatori alle case editrici maggiori «è più un esodo che una epurazione. Molti di loro chiedono ai rispettivi agenti di non fare proposte agli editori che hanno cancellato altri autori conservatori. Un conto è farsi pubblicare da persone che si turano il naso, un altro è farsi pubblicare da persone che ti odiano».

Il risultato è, secondo le regole del mercato, la nascita di un nuovo polo nel panorama editoriale, con una nuova nicchia di destra e di estrema destra che si assicura in questo modo una certa visibilità. C’è già una nuova agenzia letteraria, la Athos, fondata da un ex collaboratore della Casa Bianca, Alexei Woltornist e da Jonathan Bronitsky, ex speechwriter di Barr. Ma c’è anche una nuova piattaforma online per la vendita diretta ai lettori, in modo da fornire un’alternativa ad Amazon nel caso in cui si rifiutasse di vendere i loro titoli.

Se le maggiori case editrici sono restie, il grosso dei libri della vecchia amministrazione sarà convogliato in questa nuova piccola galassia. Secondo molti, crescerà.

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