VademecumCosa bisogna sapere del Certificato Covid digitale approvato dal Parlamento europeo

Entrerà in vigore il 1° luglio e avrà una durata di 12 mesi. Non va però confuso con le misure nazionali che alcuni Stati membri hanno varato, come il green pass italiano per i matrimoni

Stephanie Lecocq, Pool via AP

Con 546 voti a favore, il Parlamento europeo ha approvato il Digital Covid certificate, il certificato che attesta l’avvenuta vaccinazione, risultato negativo al test o guarigione dal Covid. La misura punta a favorire il rilancio del turismo, dei viaggi, della vita economica nei paesi Ue. Che sia stato approvato a larga maggioranza non è una sorpresa: già a fine maggio era stato raggiunto un accordo. Il certificato dovrebbe entrare in vigore dal 1° luglio, con una durata prevista di 12 mesi. Dovrebbe essere adottato già questo venerdì al Consiglio, ultima tappa dell’approvazione.

Come funziona? Il certificato, rilasciato dalle autorità nazionali, sarà disponibile in formato digitale o cartaceo con un codice QR. Questo consentirà di leggere il nome e cognome della persona, la data di nascita e il codice identificativo della vaccinazione (o del test negativo).

Di fatto, esisteranno tre certificati distinti, con durate diverse: il pass durerà per 9 mesi per i vaccinati (a partire dal 14esimo giorno dopo l’inoculazione), sei mesi per i guariti dal Covid, e 48 ore per chi si è sottoposto a tampone ed è risultato negativo. La Commissione si è già impegnata, su richiesta del Parlamento europeo, a mobilitare 100 milioni di euro dallo strumento per il sostegno di emergenza per consentire agli Stati membri acquistare i test per il rilascio dei certificati Covid.

Sul fronte della sicurezza, i dati saranno conservati e protetti nei singoli Stati: la Commissione ha istituito e gestirà semplicemente un “gateway” per raccogliere le “chiavi pubbliche” dei certificati ai fini dell’interoperabilità, cioè per consentire lo scambio dei dati tra Paesi.

Di fatto, dunque, il certificato Covid è una sovrastruttura che mette in comunicazione tecnica i sistemi operativi nazionali che hanno rilasciato i certificati. Ciò significa che, quando un viaggiatore italiano si recherà in un altro paese Ue, attraverso il certificato Covid europeo gli verrà riconosciuta l’avvenuta vaccinazione. Attenzione, però, perché il certificato non è un documento di viaggio, né costituisce una condizione necessaria per viaggiare: mentre ogni Stato membro è incaricato di sviluppare la propria infrastruttura tecnica, da parte del singolo cittadino il non essere in possesso di un certificato Covid europeo non preclude di potersi spostare da un Paese all’altro.

In più, l’accordo raggiunto all’interno del Parlamento europeo prevede che gli Stati non impongano ulteriori restrizioni di viaggio, come quarantena, autoisolamento o test, a chi possiede un certificato, «a meno che non siano necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica». Questo significa che, poiché salute e confini rimangono di competenza nazionale, ciascun Paese potrà comunque decidere di imporre i requisiti che preferisce per l’accesso.

Secondo l’accordo approvato dal Parlamento, l’eventuale imposizione di ulteriori criteri dovrà basarsi su prove scientifiche, «compresi i dati epidemiologici pubblicati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)». Ma nella sostanza, come già spiegava Europea a maggio, poco cambia per i citttadini: la palla rimane comunque nelle mani degli Stati, per cui ciascun turista quest’estate dovrà comunque controllare le regole del Paese verso il quale sta viaggiando.

A oggi, 9 Stati membri hanno già aderito al gateway europeo: Croazia, Danimarca, Spagna, Germania, Grecia, Bulgaria, Lituania, Polonia e Repubblica ceca. Stando alle fonti Ue, questi hanno già emesso oltre 1 milione di certificati Covid. Al programma hanno aderito anche Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein. L’Italia è invece fra i Paesi che hanno già svolto i test tecnici e che dal 1 luglio dovrebbero iniziare a emettere i certificati (anche se, secondo il ministro del turismo Massimo Garavaglia, l’intenzione sarebbe di anticipare il più possibile).

In attesa dell’infrastruttura europea, alcuni paesi (tra cui l’Italia) avevano già spinto sull’acceleratore di un pass nazionale per consentire di svolgere determinate attività all’interno dei propri confini. Questo non sostituisce però il certificato europeo, anzi: le misure nazionali saranno collegate alla struttura europea, una volta che questa sarà entrata in vigore. Il “green pass” italiano, utile per i matrimoni, infatti, è cosa diversa rispetto al certificato Covid digitale europeo.

Lo stesso vale per gli altri Paesi che hanno adottato misure nazionali, come la Francia e la Svizzera. In Francia, ad esempio, a partire dal 9 luglio è entrato in vigore il cosiddetto pass sanitaire. Disponibile attraverso l’app nazionale di tracing “Tous Anti-Covid” o in forma cartacea, il pass consente di partecipare a eventi da più di 1000 persone, siano essi eventi sportivi, culturali, festival o fiere, sia all’aperto che al chiuso.

In Svizzera, invece, il certificato nazionale è stato lanciato a partire dal 7 giugno e dovrebbe entrare pienamente in vigore entro la fine del mese. Il governo elvetico ha previsto un sistema “a tre settori”: uno verde, composto dai luoghi come gli uffici, le scuole e il trasporto pubblico, dove il certificato non sarà richiesto ai fini dell’accesso. In quello “rosso” (discoteche, grandi eventi pubblici), invece, sarà necessario. Mentre resterà volontario (o richiesto in caso di contagi in crescita) nei luoghi “arancioni”, come bar, cinema e ristoranti.

Secondo il governo svizzero, il certificato nazionale sarà compatibile con quello europeo (nonostante le recenti turbolenze registrate nei loro rapporti, il ministro delle Finanze svizzero Ueli Maurer non si aspetterebbe mai che l’Unione europea non accetti di riconoscerlo, secondo quanto riportato da Reuters). Mentre secondo l’esperto Fabio Chiusi, la pubblicazione del codice sorgente del certificato e il lancio di un test di sicurezza pubblico per assicurarne l’affidabilità, costituirebbero un merito di trasparenza, a differenza dell’«opacità» di altri sistemi.

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