Smartphone a gettoniLa rappresentazione distorta del mondo del lavoro di Maurizio Landini

Dopo la morte del sindacalista investito nel Novarese, il segretario della Cgil si è scagliato contro il sistema lavorativo italiano, ignorando del tutto i progressi fatti in questi anni dal nostro Paese sul piano contrattuale, in materia di infortuni e di diritti dei lavoratori. E mostrando una cruda verità nostrana: i sindacati non sanno gestire il presente e si abbarbicano a un passato che non ha futuro

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«A Maurì, facce Tarzan!». Che altro dire dopo aver letto le intemerate del segretario generale della Cgil? «La nostra è una Repubblica democratica – è scritto nella Costituzione – fondata sul lavoro. Ma ora – ha sostenuto Landini nelle interviste dove ha commentato la morte del sindacalista della galassia dei Cobas investito, nel Novarese, da un camion che ha provato di sfondare il picchetto – domina lo sfruttamento del lavoro, la precarietà del lavoro, l’insicurezza del lavoro. Si è passati dalla tutela del lavoro al disprezzo del lavoro».

Di conseguenza, a suo avviso è, niente meno, «A rischio in Italia la tenuta democratica». Tutta colpa delle leggi sul lavoro approvate negli ultimi vent’anni: «Una sequenza di leggi ha portato al punto in cui ci troviamo: è stata rilegittimata l’intermediazione di manodopera, un tempo vietata; è stata legalizzata la catena infinita degli appalti con la logica del massimo ribasso, per garantire i guadagni delle aziende ma non i diritti e la dignità di chi lavora. La giungla in cui ci troviamo nasce da una serie di leggi sbagliate. A tutto ciò la Cgil si è opposta e ha avanzato proposte alternative’».

Basta conoscere un po’ la materia per capire dove vanno a parare le critiche di Landini e le nostalgie per un passato (come ad esempio il collocamento pubblico e la chiamata numerica) che per fortuna ci siamo lasciati alle spalle e che garantivano solo inefficienza, burocrazia e inettitudine.

Ma ciò che colpisce – fino ad irritare – nella vulgata del leader della Cgil è la rappresentazione distorta del mondo del lavoro nel nostro Paese. Peraltro un sindacalista non dovrebbe darsi la zappa sui piedi, disconoscere gli aspetti positivi a cui ha contribuito in tanti decenni l’iniziativa dei sindacati. È doveroso ammettere e criticare i limiti, i ritardi (che chiamano in causa anche responsabilità delle organizzazioni sindacali). Chi scrive ha imparato da Bruno Trentin a partire, nell’analisi delle situazioni in atto, dalle individuazione degli errori e dei limiti proprio per affrontarli e superarli.

Ma non è corretto assumere dei casi specifici, maturati in situazioni tumultuose che hanno cambiato in pochi mesi il ruolo e l’organizzazione di attività produttive e dei servizi (come nel caso della logistica). È un modo di osservare la realtà con il cannocchiale alla rovescia. Nel secolo scorso, il mondo del lavoro era la classe operaia, purché indossasse la tuta blu e fosse adibita alla catena nello Stabilimento Fiat di Mirafiori.

Sul profilo dell’operaio di terzo livello si costruiva tutta la politica del sindacato. Poi dal nucleo centrale dell’attività produttiva, sottoposto a radicali trasformazioni (si veda lo Stabilimento di Pomigliano da dove è stato bandito il taylorismo) si è passati alle periferie del lavoro povero, identificato con lo svolgimento di funzioni diverse da quelle standard. Così, in sequenza, sono stati scoperti altri dannati della terra da esibire come emblema dello sfruttamento: prima i co.co.co, poi gli addetti ai call center, successivamente i riders e le altre figure della gig economy.

Ora è la volta della logistica, che costituisce una sorta di digitalizzazione applicata al tradizionale lavoro del facchinaggio. Anche lo strumento di controllo dei lavoratori non è più il capo, ma è divenuto l’algoritmo, una specie di Grande fratello (di George Orwell non quello di Mediaset).

Come ha scritto Marco Bentivogli su Il Foglio, l’opinione pubblica sensazionalista ha trasformato l’algoritmo in un nemico del lavoro. Ma l’innovazione tecnologica potrebbe essere un’alleata dell’occupazione del futuro. Si ci è messo di mezzo persino l’accondiscendente ministro Andrea Orlando con la proposta di contrattare l’algoritmo per quanto riguarda gli orari e i turni.

Tutti questi nuovi difensori della fede dimenticano che da sempre gli autisti del trasporto locale svolgono il loro orario di lavoro all’interno di una fascia oraria, non continuativa, che può avere dei tempi di pausa non brevi: quando non c’erano gli algoritmi la distribuzione dell’orario si faceva a mano. Landini, poi, dimentica che l’Italia è il Paese che ha, solo dopo la piccola Austria, la più estesa copertura contrattuale del lavoro dipendente; dispone di una legislazione tra le più avanzate in materia di infortuni; riconosce importanti diritti ai lavoratori e ai sindacati; i principali contratti sono stati rinnovati senza drammi anche nel corso della pandemia.

In Italia, poi, continuano a essere in vigore delle norme di tutela contro i licenziamenti ingiustificati che tanti altri Paesi sviluppati non sanno neppure che cosa siano; vanta una delle più altre percentuali di iscritti ai sindacati (magari un po’ drogate dai pensionati) tra cui un milione di lavoratori stranieri.

Il suo sistema pensionistico, al di là delle regole formali, consente di andare in quiescenza a una età effettiva media tra le più basse dell’OCSE. E – udite, udite – nonostante le riforme che i sindacati pretendono di superare, l’Italia è il Paese dell’anticipo, nel senso che le pensioni di anzianità (che vengono percepite a un’età media alla decorrenza intorno ai 62 anni) superano di gran lunga i trattamenti di vecchiaia (si veda la tabella.). 

PENSIONI VIGENTI ALL’1.1.2021 – COMPOSIZIONE PER MACROCATEGORIA DI PENSIONE


Fonte- Elaborazione della Corte dei Conti su dati Inps

Ma la questione più importante è quella dell’approccio ai nuovi problemi che si pongono. Prendiamo la questione in discussione in queste ore: il blocco dei licenziamenti. La richiesta di un’ulteriore proroga (che potrebbe anche essere concessa) è solo una via di fuga lungo una strada senza uscita per una ragione molto semplice: i sindacati non sanno gestire un “dopo” inevitabile e si abbarbicano a un “prima” che non ha futuro.

Nel frattempo, assistono impotenti a troppi casi di rifiuto del lavoro (si pensi al turismo che non trova manodopera) e non sanno che cosa rispondere ad aziende che cercano inutilmente di assumere. La risposta che viene data in questi casi è la solita: le paghe sono troppo basse. A parte il fatto che le retribuzioni sono quelle previste nei contratti, vorrei che si rispondesse a una domanda: ma se si rinuncia a quelle paghe iscrivendosi all’esercito dei neet, si vede che – per quanto poche, maledette e subito – di quelle retribuzioni si può fare a meno per vivere senza faticare. La pandemia ha modificato tante cose, ma non quella che Luca Ricolfi ha definito “La società signorile di massa”. 

Ma torniamo alla questione iniziale della logistica, citando un documento dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), sul Sindacato in transizione: «Molti cambiamenti nei rapporti di lavoro dipendono dallo sviluppo dei mercati delle piattaforme digitali, in cui manca una chiara definizione dei salari, dell’orario di lavoro, dei diritti e degli obblighi, tanto rispetto allo status di dipendente quanto a quello di datore di lavoro. Tutto ciò costituisce un problema per il mondo politico, per il diritto del lavoro e per i sindacati, aggiungendosi ai problemi causati dallo sviluppo del lavoro flessibile e, in molte parti del mondo, del lavoro informale. In breve, la digitalizzazione rappresenta una sfida per i sindacati — non tanto in termini di quantità, quanto piuttosto di qualità dei posti di lavoro — che incide sui diritti e i salari dei lavoratori». Il nuovo che avanza non cammina quasi mai su di un tappeto cosparso di petali di rose. 

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