Il Carrère degli youtuberChe invidia Bo Burnham e il suo diario della pandemia su Netflix

Ha trent’anni e talento da vendere, regala battute che farebbero la fortuna di comici affermati e gioca con il suo narcisismo, prendendoci tutti in giro. Il suo “Inside” parla di noi, ma è anche meglio di noi

frame da Netflix

E voi cosa avete fatto nell’anno della pandemia? Avete imparato a tirare la sfoglia? Avete scritto un romanzo? Avete piantato dei gerani in balcone? Nessuna di queste cose?

Io nell’anno della pandemia ho perso tempo come nei quarantott’anni precedenti, non saprei ricostruire neanche una cosa pratica che abbia appreso, non sono neppure riuscita a imparare come s’incastri il cellulare nella luce ad anello per fare le dirette Instagram sembrando la madonna di Pompei; però posso dirvi cos’ho fatto ieri pomeriggio: ho invidiato ferocemente un trentenne.

E voi cosa facevate a trent’anni? Eravate fuori corso all’università? Vi chiedevate perché il mondo del lavoro non si litigasse le vostre inesistenti abilità professionali? Portavate il caffè a gente che consideravate assai meno brillante di voi? Io, come la più parte delle trentenni, mi occupavo solo della mia vita sentimentale, ma – poiché riuscivo a farmi pagare per occuparmene – ero ufficialmente un genio.

Bo Burnham ha trent’anni, e qualche giorno fa è uscito il suo anno di pandemia su Netflix. Che poi non ci avrà neanche messo tutto l’anno, perché quando uno è così bullo da sapersi costruire un’ora e mezza di programmazione tutto solo dentro casa, scriversela recitarsela dirigersela montarsela, probabilmente fa anche in fretta, tanto per farmi morire un po’ più d’invidia.

S’intitola “Inside” – giacché, appunto, era chiuso in casa come tutti – e dentro c’è tutto. I bianchi che si posizionano dalla parte giusta dicendo le frasi giuste contro il razzismo; gli Instagram delle femmine che fanno i disegni coi mirtilli, posizionandoli sullo yogurt; i miliardari della Silicon Valley che si approfittano degli squilibri neurochimici nel cervello dei ragazzini – dei ragazzini che non sono lui, che ha cominciato come youtuber a sedici anni, e sta lì a provare che non sono le condizioni di partenza, le epoche, le generazioni a essere inique: non quanto lo è la distribuzione del talento.

Ha compiuto trent’anni mentre girava “Inside”, e lo sa anche lui che fa parte d’una generazione di piscialetto: «Quando aveva ventisette anni, mio nonno combatteva in Vietnam; quando avevo ventisette anni, io ho costruito una casetta per gli uccellini assieme alla mia mamma». Che cos’è il genio: intuizione, velocità, tutto giusto, ma non trascurerei la consapevolezza del ridicolo.

C’è tutto, in “Inside”, e quindi ci siamo noi, con le nostre meschinità, la nostra convinzione d’essere speciali mentre siamo uguali a tutti gli altri, il narcisismo di guardare e commentare i nostri stessi video, il compiacimento di dire che prima ci piaceva tanto stare chiusi in casa, il sesso o quel che ne rimane, io che ti sexto una pesca, tu che mi rispondi una carota, «un’altra notte da solo, una mano sul cazzo e una sul telefono»; ma non ci siamo noi, perché Burnham mette in un minuto la quantità di idee con cui voi e io camperemmo sei mesi e insomma non somiglia a noi.

A un certo punto c’è un secondo – forse meno, è così rapida che sono dovuta tornare indietro per leggere – d’inquadratura d’una lavagna. BB fa questa cosa qui: prende la più stracca formula di definizione della comicità, quella più citata dagli imbecilli, quella secondo la quale la comicità è tragedia più tempo, e la scrive alla lavagna come fosse un compito di matematica, e lo svolge.

Quindi la prima riga è che la comicità è tragedia più tempo. La seconda è che il tempo è denaro. La terza è che la tragedia è l’undici settembre. E l’ovvia soluzione alla formula è che la comicità è undici settembre più denaro. Ci sono comici – e non i più scarsi – che su un’intuizione del genere avrebbero costruito un monologo di venti minuti (alcuni dei quali di premessite: premesso che mi dispiace per le vittime, premesso che il terrorismo è una brutta cosa, premesso che non bisogna ammazzare nessuno). Lui la butta via inquadrandola mezzo secondo. Bullo.

C’è anche un minuto sul suicidio – che comincia in tono serioso dopo una canzone in cui ha annunciato che a quarant’anni s’ammazza – per il quale sono meravigliata di non aver letto ancora accuse di non prendere abbastanza sul serio il tema, e ci sono una trentina di secondi nei quali lava un vetro, seguiti da una canzone in cui ci chiede se ci stiamo annoiando e mentre lo guardiamo prendiamo a ditate il telefono. È stato lì che ho pensato che forse è il Carrère degli youtuber, il Carrère dei millennial: scommettiamo che anche se mi rimiro l’ombelico non spegnete?

Naturalmente la differenza tra i grandiosi narcisisti e le pulci con la tosse è che i primi, mentre pare che parlino di sé, ti svelano il mondo. C’è un minuto di precisione cecchina sulle multinazionali che si appropriano delle buone cause e il pubblico che ci casca: «La domanda non è più vuoi mangiare questi biscotti, la domanda è vuoi aiutare questi biscotti a combattere la malattia di Lyme?».

E ci sono le canzoni, quasi tutto è in forma di canzone. Trascrivo stralci di una: «Benvenuti nell’internet: date un’occhiata in giro […] Se non ci fosse niente che v’interessa sareste i primi […] Volete notizie o i piedi di qualsivoglia donna famosa? […] Volete combattere per i diritti civili o twittare un insulto razzista? Siate felici, siate arrapati, scoppiate d’indignazione: abbiamo un milione di modi per coinvolgervi, ecco un modo di scolare la pasta, ecco un bambino di nove anni che è morto […] Benvenuta nell’internet, un tizio a caso ti ha appena mandato foto del suo cazzo, sono fuori fuoco quindi ora te ne manda delle altre […] Vedi un uomo decapitato, offenditi, vedi lo psicologo, mostraci le foto dei tuoi bambini e dicci tutti i tuoi pensieri […] Inventati un pettegolezzo, compra un’aspirapolvere, manda una minaccia di morte a una boomer».

Non la trascrivo tutta, ma meriterebbe tutta, andrebbe ripetuta tipo il rosario della moglie del Gattopardo, lei per ricordarsi di contrirsi e noi per ricordarci di staccare quella connessione. Andrebbe studiata come teoria del tutto, compreso il passaggio in cui Obama manda gli immigrati a iniettare a forza vaccini ai nostri figli. E voi, su cos’avete cliccato ieri?

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