Lo spinoso dossier migratorio dell’Unione europea vede un primo punto di incontro: Consiglio e Parlamento europeo hanno trovato l’accordo per istituire l’Agenzia europea per l’asilo (Euaa), che prende il posto dell’attuale Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo).
Un rinnovamento sostanziale, al di là del cambio di acronimi: il nuovo ente avrà più risorse, più poteri e più margini di manovra. Dovrà garantire un’applicazione rigorosa del diritto di asilo in tutta l’Unione, in attesa che gli Stati membri si accordino anche sugli altri, controversi, punti della gestione dei flussi di migranti.
Come funzionerà l’agenzia
La nuova Euaa contribuirà a rendere le procedure di asilo nell’Unione più rapide e uniformi, come ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Nella pratica, la trasformazione da un «ufficio di supporto» a un’agenzia a pieno titolo significa un incremento di budget e personale, ma anche di competenze assegnate. L’ente sarà nelle condizioni di creare squadre di lavoro fisse in ognuno dei 27 Stati membri e in alcuni Stati extra-comunitari.
A queste si aggiunge un pool di 500 specialisti «di riserva», che potranno essere dislocati all’occorrenza in un determinato Paese europeo, quando la pressione migratoria è più intensa.
Sarà rinforzata anche la cooperazione con le autorità nazionali, che rimangono deputate all’analisi delle richieste d’asilo e alla concessione dei permessi. Un dettaglio fondamentale in quello che è di fatto l’unico sistema di asilo multinazionale al mondo, come ha ribadito la direttrice di Easo, Nina Gregori. Su pressione del Parlamento europeo, inoltre, l’Euaa avrà un dipartimento dedicato ai diritti umani (Fundamental Rights Officer), chiamato a garantirne il rispetto durante tutte le attività dell’agenzia.
Una differenza significativa rispetto alle competenze di Easo sarà anche l’istituzione di due meccanismi: quello di contestazione (Complaint mechanism) e quello di monitoraggio (Monitoring mechanism). Il primo sarà dedicato ai richiedenti asilo che ritengono violati i propri diritti. Il secondo compete al personale dell’agenzia, che dovrà vigilare sulle procedure messe in atto nei vari Paesi, assicurandosi che siano sempre in linea con il Sistema comune europeo di diritto all’asilo. Tra gli aspetti considerati rientrano ad esempio le condizioni dei centri d’accoglienza o il rispetto dei diritti dei minori, temi in cui negli ultimi anni non sono mancate situazioni problematiche.
Nel caso in cui dall’analisi dell’Euaa risultassero dei dubbi sul sistema d’asilo di un Paese, l’agenzia potrebbe iniziare un esercizio di monitoraggio, che coinvolge funzionari della Commissione europea. Il rapporto che ne scaturisce obbligherebbe lo Stato membro a prendere misure adeguate per conformarsi agli standard richiesti.
Questo dettaglio, contenuto all’articolo 14 dell’accordo, permette a un’agenzia comunitaria di intervenire in maniera concreta in un processo in cui gli Stati tendono a conservare gelosamente la propria autonomia. Il meccanismo entrerà però in vigore soltanto nel 2024 e solamente a condizione che vengano modificati altri aspetti nella gestione comunitaria del diritto all’asilo: è la cosiddetta «sunrise clause», fortemente voluta dai Paesi dell’area mediterranea, che pretendono una sostanziale riforma del Sistema di Dublino, secondo cui chi richiede asilo nell’Unionee può farlo soltanto nel Paese di primo ingresso.
Il patto sulle migrazioni rimane in stallo
La nascita dell’Euaa costituisce infatti la prima tessera nel complesso mosaico del Pact on Migration, il maxi-pacchetto di riforma delle politiche migratorie presentato a settembre 2020. La proposta di formare un’Agenzia europea per l’asilo risale in realtà al 2016, nel periodo apicale per le richieste di protezione presentate nell’Ue (quell’anno furono un milione e 253mila). Da allora l’upgrade dell’ente è rimasto bloccato perché alcuni governi nazionali si sono ostinatamente rifiutati di riformare singoli aspetti della politica migratoria senza una modifica organica che intaccasse il principio del Sistema di Dublino.
Ora è arrivato il via libera, ma secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche al quotidiano Politico, Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro non hanno intenzione di fare altre concessioni. La creazione della nuova agenzia è stato un atto necessario, ma per le altre questioni in sospeso l’approccio deve rimanere complessivo.
Dal momento della proposta della Commissione, infatti, questo accordo è il primo passo concreto nel rinnovamento dell’impalcatura comunitaria sulle migrazioni. Per il resto, la strada verso un’intesa sembra ancora impervia. I Paesi del sud chiedono i ricollocamenti obbligatori di chi approda sulle proprie coste chiedendo asilo, quelli del Nord e dell’Est sono fortemente contrari. Il supporto ai trasferimenti è, tra l’altro, espressamente previsto nel mandato dell’Agenzia europea per l’asilo: sono i criteri che impongono questi ricollocamenti a essere ancora oggetto di aspra contesa fra le capitali europee.
Lo stallo continua anche se il 2020 ha fatto registrare il numero più basso di richieste di asilo degli ultimi sette anni: 484.670, in calo del 32% rispetto al 2019, come si evince dai dati del rapporto sull’asilo di Easo. I Paesi di frontiera sono molto interessati dal fenomeno, ma al contrario di quanto si possa immaginare sono Germania e Francia a guidare la graduatoria.
Il governo di Berlino ha ricevuto quasi 122mila domande d’asilo nel 2020, un quarto dell’intera Ue (più Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein); quello di Parigi oltre 93mila, corrispondenti al 19,3% delle applicazioni complessive. Seguono, nell’ordine, Spagna, Grecia e Italia: nel nostro Paese sono state presentate 26.535 richieste, il 39% in meno dell’anno precedente e il 5,5% sul totale dell’Unione europea. Un numero basso per parlare di «emergenza migranti», come ha ricordato di recente la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Ma alto abbastanza perché il governo italiano sia fra i principali promotori di un meccanismo di ricollocamenti obbligatori nell’Unione europea.