ContrattaccoLa dura risposta dell’Unione europea alla legge anti-LGBT ungherese

Durante la sessione plenaria del Parlamento europeo il premier Viktor Orbán viene accusato di aver violato il diritto comunitario. «Ha vinto il campionato dell’omofobia», dice provocatoriamente la deputata liberale olandese Sophie in 't Veld. La Commissione Ue è più vicina ad attivare il meccanismo di condizionalità sui fondi europei

LaPresse

«Possiamo congratularci con Orbán: ha vinto il campionato europeo dell’omofobia», dice provocatoriamente la deputata liberale olandese Sophie in ‘t Veld. Da oggi in Ungheria è in vigore una controversa legge sulla protezione dei bambini: una misura legittima per tutelare l’educazione secondo il governo di Budapest, un inaccettabile attacco ai diritti delle persone omosessuali secondo le istituzioni dell’Ue, che ne chiedono a gran voce il ritiro.

Già le prime reazioni alla norma erano state molto dure. L’ultimo Consiglio europeo ha visto diversi capi di Stato e di governo criticare il loro omologo ungherese, arrivando in alcuni casi a consigliargli l’uscita dall’Unione. Negli stessi giorni, 17 leader nazionali avevano firmato una lettera contro «le minacce ai diritti fondamentali e il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale». Da più parti era stata evidenziata l’inconciliabilità della legge ungherese con i valori comunitari. 

Il concetto è stato ribadito, a più riprese e con toni accesi, in una sessione plenaria sul tema organizzata dal Parlamento europeo. Tutti i gruppi politici, ad eccezione dei due della destra radicale di cui fanno parte Lega e Fratelli d’Italia, hanno condannato la norma, che vieta la diffusione di contenuti che «promuovano o mostrino omosessualità, riassegnazione o deviazioni dall’identità sessuale». 

«Quale messaggio si manda a un ragazzo o una ragazza che si innamora per la prima volta di ua persona dello stesso sesso? Che che i suoi sentimenti non sono normali e ha qualcosa di cui vergognarsi?», si è chiesto l’esponente dei popolari olandesi Jeroen Lenaers. 

Per la presidente del gruppo dei Socialisti & Democratici, la spagnola Iratxe García Pérez, si tratta di una legge «indecente, vergognosa e retrograda», che spiana la strada all’odio e alla violenza. La deputata ha parlato mostrando una spilla arcobaleno, così come altri colleghi, che hanno indossato capi d’abbigliamento con evidenti richiami ai colori della comunità LGBTIQ. 

«Associare la pedofilia all’omosessualità è un’infamia», ha detto Juan Fernando López Aguilar, socialista spagnolo presidente della commissione Libertà Civili del Parlamento. Sconcerto anche da parte della capo-delegazione del Movimento 5 Stelle Tiziana Beghin, che ha parlato di «clima d’odio e caccia alle streghe» istigato dal governo ungherese. 

Insieme alle critiche, i parlamentari hanno invocato risposte europee. «Facciamo sentire a Orbán l’unica voce che ascolta: se non si revoca la legge, denunciamola alla Corte di Giustizia europea, sospendiamo il suo diritto di voto e blocchiamo i fondi europei che finiscono nelle sue tasche», ha affermato Liesje Schreinemacher, del gruppo Renew Europe. 

Queste contromisure si riferiscono a strumenti che l’Eurocamera può suggerire (e che in effetti suggerisce in una risoluzione messa ai voti), ma che tocca ad altre istituzioni rendere operativi. È la Commissione europea che può aprire una procedura d’infrazione quando ritiene violato il diritto dell’Ue e alla Corte di Giustizia europea spetta stabilire se l’accusa è fondata o meno. Lo scenario appare molto probabile, ma comporta una procedura piuttosto lunga: una legge ungherese del 2015 sulle politiche migratorie, ad esempio, è stata giudicata incompatibile con il diritto europeo solo nel dicembre 2020. 

Ancora più complicata è la strada che porta alla sospensione del diritto di voto di un Paese Membro al Consiglio europeo, realizzabile tramite l’Articolo 7. Si tratta di una misura estrema, presa in presenza di un «violazione grave e persistente» dei valori fondamentali dell’Unione. Il Parlamento ha attivato la procedura nei confronti del governo di Budapest nel settembre 2018, ma per completarla servirebbe l’approvazione all’unanimità di tutti gli altri Paesi: una condizione impossibile da ottenere, dato che Polonia, anch’essa colpita dallo stesso articolo ha un interesse (reciproco) a proteggere l’Ungheria.

Su questo fronte, impossibile aspettarsi passi avanti, come ha rimproverato il deputato liberale belga Guy Verhofstadt al ministro degli Affari europei sloveno Anže Logar, rappresentante del Consiglio nella sessione plenaria. «Dopo tre anni di chiusure di radio e università in Ungheria, l’unica cosa che sapete fare è partecipare a un dibattito».

Lo strumento risolutivo: il meccanismo di condizionalità
La Commissione europea sembra però più determinata ad andare fino in fondo rispetto al passato, almeno a giudicare dal tono deciso utilizzato da Ursula von der Leyen. «Questa legge è scandalosa. E utilizzerò tutti gli strumenti della commissione per difendere i valori fondamentali dell’Ue», ha detto la presidente della Commissione all’Eurocamera, facendo capire che se l’Ungheria non correggerà la situazione si passerà dalle parole ai fatti. I commissari alla Giustizia e al Mercato unico, Didier Reynders e Thierry Breton, intanto, hanno già scritto alle autorità ungheresi per esprimere preoccupazioni legali sul testo.

L’arma più temibile nelle mani dell’esecutivo comunitario rimane il blocco dei fondi europei destinati al governo di Budapest. Ma non coinvolge direttamente i 7,2 miliardi del del Piano nazionale di ripresa e resilienza ungherese, la cui approvazione sarebbe stata sospesa, secondo alcune indiscrezioni circolate nei giorni scorsi. 

In realtà la valutazione è ancora in corso e c’è tempo fino al 12 luglio per l’analisi finale, ha chiarito una portavoce della Commissione. Non solo: un’eventuale bocciatura sarebbe riconducibile ai problemi di corruzione, concorrenza e funzionamento degli appalti pubblici nel Paese, come ha spiegato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Nessuna relazione diretta, dunque, con una legge che concerne i diritti civili dei cittadini ungheresi e non l’utilizzo dei contributi comunitari. 

Al contrario, lo strumento da utilizzare sarebbe il meccanismo di condizionalità che vincola l’esborso dei fondi europei al rispetto dello Stato di Diritto, anch’esso invocato più volte durante il dibattito all’Eurocamera.

Secondo il regolamento che istituisce il meccanismo, la Commissione individua una violazione e la segnala allo Stato Membro interessato, con cui inizia un dialogo che dura dai 3 ai 5 mesi. Se non si trova una soluzione, può essere proposto il congelamento dei finanziamenti, il quale deve sì essere approvato dal Consiglio dell’Ue, ma non all’unanimità: basta infatti la maggioranza qualificata, cioè il 55% degli Stati Membri, con almeno il 65% della popolazione dell’Unione.

Finora la Commissione ha temporeggiato sull’attivazione del meccanismo, adducendo la volontà di stilare delle linee-guida e rischiando anche una causa legale da parte del Parlamento, impaziente di vederlo all’opera. Ora l’impasse sembra in via di risoluzione: come spiegano a Linkiesta i deputati che hanno negoziato l’istituzione del vincolo di condizionalità, a settembre potrebbe arrivare la prima notifica formale della Commissione nei confronti dell’Ungheria. 

Un rapporto condotto da tre esperti accademici evidenzia proprio quelle «gravi violazioni dello Stato di Diritto», che giustificherebbero l’iniziativa della Commissione. In caso contrario, il Parlamento è pronto a portare avanti la disputa contro l’emiciclo comunitario, ha spiegato in conferenza stampa il deputato dei Verdi tedeschi Daniel Freund: «Siamo nella prima fase dell’Articolo 265. La Commissione ha fino al 24 agosto per dirci cosa intende fare, poi entro due mesi possiamo decidere se ricorrere alla Corte di Giustizia. Nell’ipotesi peggiore, entro novembre sarà comunque lanciata una procedura». 

Quando il processo verrà attivato, sotto la lente ci sarà anche la discussa legge sulla protezione dei bambini, come ha fatto capire anche la commissaria ai Valori e della Trasparenza, Vera Jourová. Anche perché il governo di Orbán non ha alcuna intenzione di ritirarla e anzi «la difenderà con ogni mezzo legittimo», ha affermato la ministra della Giustizia ungherese Judit Varga, mentre il portavoce del Primo ministro magiaro definiva il dibattito di Strasburgo «una parata da circo». Lo scontro tra Bruxelles e Budapest promette presto nuove scintille.  

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