La montagna della diffidenza europea sarà ardua da scalare per Janez Janša: sicuramente più del Kredarica, la vetta delle Alpi Giulie che il primo ministro sloveno ha raggiunto lo scorso fine settimana, in compagnia dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, lo spagnolo Josep Borrell.
Da pochi giorni il governo della Slovenia detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea e già si notano i primi sconri con i rappresentanti di Commissione e Parlamento europeo, tra le accuse a viso aperto di alcuni eurodeputati e sottili riferimenti da parte dei presidenti delle istituzioni.
I sei mesi di presidenza slovena sono cominciati con il piede sbagliato già dal primo giorno: al termine dell’incontro di apertura del semestre con la Commissione, Janša aveva mostrato ai giornalisti la fotografia di due magistrati sloveni in compagnia di altrettanti europarlamentari socialisti, adducendo stretti legami fra la magistratura e i partiti di opposizione al suo governo. La cosa aveva indispettito a tal punto il vice-presidente Frans Timmermans, da indurlo a rinunciare alla foto di rito: «Un inaccettabile attacco diffamatorio. Senza l’indipendenza della magistratura e il rispetto per il ruolo dei deputati democraticamente eletti, che sono le pietre miliari dello Stato di Diritto, l’Unione europea non può funzionare», disse il socialista olandese.
Ursula von der Leyen invece non ha reagito in pubblico, ma deve aver preso nota della questione. «Conto sul governo sloveno perché porti avanti l’importante lavoro sullo Stato di Diritto», ha detto la presidente della Commissione nella sessione del Parlamento europeo che ha battezzato la presidenza di turno di Janša. Stessa allusione (non troppo) velata anche da parte del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, nella conferenza stampa successiva al dibattito. «Le questioni sullo Stato di Diritto dovranno essere risolte rapidamente dalla Slovenia. Il Parlamento ha espresso delle domande, speriamo di avere presto le risposte». In altri momenti della conferenza, i due presidenti hanno sottolineato l’importanza della libertà di stampa, altro tema spinoso per il Primo ministro sloveno.
Separazione dei poteri e indipendenza dei media sono infatti gli ambiti su cui il governo di Lubiana riceve le maggiori critiche, dentro e fuori dalle istituzioni comunitarie. «Janša sta erodendo i principi democratici in Slovenia, utilizzando la pandemia per imporre norme autoritarie. Ha colpito la stampa libera e le organizzazioni non governative, interrotto il dialogo con le parti sociali», dice a Linkiesta Tea Jarc, presidente del sindacato giovanile Mladi plus.
«Il governo attacca chiunque esprima critiche al suo operato, imponendo pesanti multe ai contestatori», afferma l’attivista, che ha organizzato una protesta fuori dall’emiciclo di Strasburgo, a cui hanno aderito anche alcuni europarlamentari. Da oltre un anno scende in strada ogni venerdì per chiedere elezioni anticipate: In seguito ad alcune defaillances nella coalizione di maggioranza, i partiti di centro-sinistra sloveni hanno proposto di recente la rimozione del Primo ministro, sulla base di presunte violazioni della Costituzione e di altre leggi.
Particolarmente allarmante, secondo lei, è il taglio dei finanziamenti all’agenzia di stampa nazionale STA, annunciato lo scorso dicembre. Janša ha garantito che durante i suoi tre mandati la situazione dei media è sempre migliorata: un’affermazione discutibile, visto che il World Press Freedom Index di Rsf ha visto il Paese oscillare per otto anni e perdere quattro posizioni nel 2021, con un chiaro riferimento all’operato del Primo ministro. «Janša sta imponendo mezzi di comunicazione di estrema destra, che sono sotto il diretto controllo del governo. La Slovenia sta percorrendo il sentiero tracciato da Ungheria e Polonia», secondo l’analisi di Tea Jarc.
La libertà della stampa nel Paese preoccupa anche il deputato dei Verdi tedeschi Daniel Freund, che però puntualizza a Linkiesta: «Janša non è Orbán. I media indipendenti sono minacciati, ma ancora operativi. In Slovenia esiste ancora una magistratura autonoma, il sistema elettorale non è confezionato su misura per il partito al potere, le università possono operare liberamente, e così la società civile».
Come molti deputati, però, Freund evidenzia i rischi che il Paese corre nel futuro prossimo: «Le democrazie non diventano dittature nel corso di una notte. Si tratta di un processo graduale di riforme, che culmina con il controllo dello Stato. Sotto certi aspetti Janša sta già seguendo l’esempio ungherese, attaccando giornalisti e Ong: dobbiamo restare vigili e intervenire prima che sia troppo tardi».
Avvertimenti simili sono riecheggiati durante la sessione che ha accolto il Primo ministro sloveno, particolarmente cauto e moderato nel presentare le priorità della sua presidenza, rispetto al linguaggio utilizzato abitualmente sui social network che gli è valso il soprannome di «Maresciallo Twito». Dai banchi di socialisti, Verdi e liberali sono arrivate pressanti richieste di rispetto dei valori comuni europei. L’intervento più incisivo è stato forse quello dell’eurodeputata liberale olandese Sophie in ’t Veld, che dopo aver parlato ha deposto un foglio sotto gli occhi del Primo ministro sloveno: conteneva le domande rivolte a Janša lo scorso marzo dal Gruppo di controllo sulla democrazia e i diritti fondamentali, una sottocommissione parlamentare che vigila sulle situazioni interne degli Stati membri, rimaste tutt’ora senza risposta.
Lo scontro sulle nomine nella Procura europea
Un altro dei nodi nelle relazioni tra Bruxelles e Lubiana riguarda la nomina dei procuratori delegati sloveni nella Procura europea (European Public Prosecutor Office – Eppo). Dal primo giugno è infatti operativo l’ufficio comunitario che indaga su possibili frodi e malversazioni relativi a fondi europei e transazioni internazionali. Vi partecipano 22 Paesi Ue (tutti tranne Ungheria, Irlanda, Svezia, Danimarca e Polonia), ognuno dei quali designa un procuratore europeo, che siede a Lussemburgo nel collegio centrale, e almeno due procuratori delegati che operano sul territorio nazionale.
La Slovenia aderisce alla Procura, ma non ha ancora effettuato quest’ultima nomina, nonostante le ripetute sollecitazioni. La stessa presidente dell’Eppo, la magistrata rumena Laura Codruța Kövesi, ha avvertito che la mancanza dei delegati nazionali ostacola «un’efficace supervisione su come vengono spesi i fondi Ue nel Paese».
Janša ha promesso che i delegati verranno indicati entro l’autunno, scusandosi per il ritardo causato da «problemi procedurali». Ma si è anche spazientito perché «l’Ue ha problemi più seri di cui occuparsi» e ha criticato il doppiopesismo della stampa internazionale, che parla della Slovenia ma non dei Paesi rimasti volontariamente fuori dall’Eppo. Molti eurodeputati hanno però calcato la mano sulla questione, chiedendo anche il congelamento dei fondi del Next GenerationEu di Lubiana fino al momento della nomina.
«L’istituzione dei procuratori delegati nazionali è fondamentale: si tratta di figure che rispondono alla Procura europea e sono dunque svincolate dalla magistratura del proprio Paese», dice a Linkiesta Sabrina Pignedoli, europarlamentare del Movimento Cinque Stelle ed esperta di criminalità organizzata.
Grazie a questa configurazione, spiega la deputata, possono più agevolmente indagare su eventuali impieghi distorti dei soldi europei. Secondo alcuni parlamentari, Janša si è rifiutato di nominare un candidato che in passato aveva indagato su di lui. Di certo c’è che la questione non è di secondaria importanza in Slovenia: l’ex ministro della Giustizia del Paese, Lilijana Kozlovič, si è dimessa dopo che a fine maggio il suo stesso esecutivo aveva deciso di annullare e ripetere la procedura di designazione, rinviando di fatto le nomine.
«C’è un braccio di ferro in corso tra il potere politico e la magistratura in Slovenia. La situazione va monitorata per evitare ingerenze eccessive del governo in ambito giudiziario», afferma Sabrina Pignedoli, secondo cui la vigilanza delle istituzioni resta di primaria importanza.
Il Parlamento europeo però può soltanto evidenziare il problema, mentre la Commissione ha a disposizione una serie di strumenti efficaci per risolverlo. Ad esempio, il meccanismo che vincola l’esborso dei fondi comunitari al rispetto dello Stato di Diritto, le cui linee-guida non sono ancora state stilate.
Se l’ipotetico scontro fra il governo sloveno e l’esecutivo comunitario si farà concreto, Janez Janša ripercorrerà in qualche modo la traiettoria di Viktor Orbán, di cui si è proclamato estimatore. La sintonia fra Lubiana e Budapest è stata ribadita di recente anche sulla controversa legge ungherese che vieta contenuti in grado di promuovere l’omosessualità: per Janša i cosiddetti «valori europei» citati da altri capi di governo non sono in realtà univoci.
Come ha spiegato nella sua conferenza stampa a Strasburgo, il Primo ministro sloveno ritiene che tra i Paesi orientali e occidentali dell’Ue ci siano delle «chiare divergenze» e che sia necessario rispettare le differenze. Non un segnale troppo conciliante in vista del prossimo semestre.