Da oltre due settimane 32 persone di nazionalità afghana si trovano bloccate in un’area boschiva vicino al villaggio polacco di Usnarz Górny, al confine con la Bielorussia. Le guardie di frontiera di Minsk le hanno scortate fin lì, ma il passaggio è stato bloccato da quelle polacche. Era il 9 agosto. Da allora si sta vivendo una situazione di stallo che sta mettendo a serio rischio la vita di queste persone, intrappolate in un’area di pochi metri quadrati. Da una parte l’Unione europea, meta irraggiungibile, dietro di loro la polizia bielorussa. A oggi è in realtà difficile stabilire da quale parte della frontiera si trovino i richiedenti asilo. Varsavia sostiene che siano in territorio bielorusso, sebbene nemmeno le immagini del satellite aiutino a dirimere definitivamente la questione.
L’ordine è quello di non far passare nessuno. Sulla frontiera sono stati inviati 900 soldati per pattugliare il confine ed erigere una barriera lunga 150 km e alta 2,5 metri, come annunciato qualche giorno fa dal ministro della Difesa polacco, Mariusz Błaszczak.
È una situazione molto difficile, che si fa sempre più tesa e complicata. Sotto accusa, l’atteggiamento della guardia di frontiera polacca, che finora non ha permesso a nessuno di avvicinarsi e portare soccorso. Sono state negate perfino le cure mediche, nonostante i numerosi appelli a intervenire, anche da parte dell’Episcopato polacco.
Gli scarsi approvvigionamenti, perlopiù pane secco, sono giunti finora solo dalla parte bielorussa, le condizioni igieniche sono disastrose, mentre l’acqua è fornita da un ruscello. Inoltre gli ultimi giorni sono stati particolarmente piovosi e le temperature sono calate sensibilmente, scendendo di notte sotto i dieci gradi. Si teme per la vita di queste persone.
Una donna si troverebbe in condizioni critiche e necessiterebbe di un ricovero immediato. È una crisi che ha inevitabilmente avuto importanti ripercussioni anche in ambito di politica interna. Tre giorni fa Franciszek Sterczewski, parlamentare di Coalizione Civica (KO), il principale partito di opposizione, ha cercato di eludere la sorveglianza delle guardie per portare cibo, acqua e medicinali. È stato inesorabilmente fermato. Il giorno dopo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha deliberato che la Polonia deve fornire assistenza, senza essere tuttavia tenuta a fare entrare le persone nel proprio territorio.
Un provvedimento ad interim, valido fino al 15 settembre, che si applica anche alla Lettonia, che sulla sua porzione di confine con la Bielorussia sta vivendo una vicenda analoga. Tuttavia, secondo quanto riportato dall’associazione Fundacja Ocalenie, presente sul posto, nulla sarebbe cambiato.
Si tratta di un caso delicato, che mette in luce ancora una volta i rapporti critici tra la Bielorussia e i Paesi confinanti. Aleksandr Lukashenko starebbe utilizzando i migranti come strumento di una guerra ibrida, in risposta alle sanzioni imposte dall’Unione europea per le gravi violazioni dei diritti umani messe in atto dal suo regime. Finora il Paese maggiormente sotto pressione era stato la Lituania.
Dall’inizio dell’anno sono state più di 4mila le persone, perlopiù di nazionalità irachena, siriana e afghana, che hanno attraversato i suoi confini in maniera irregolare. Nel corso di tutto il 2020 erano state 81. Un’emergenza che ha portato anche il piccolo Paese baltico a dotarsi di una barriera di filo spinato. In suo soccorso, l’Unione europea ha inviato guardie di frontiera e rifornimenti, pur precisando che Bruxelles «non finanzia barriere». Ora il flusso si starebbe spostando verso Lettonia e Polonia. Varsavia riporta che solo ad agosto, sono state 2.100 le persone che hanno cercato di entrare irregolarmente nel suo territorio.
Le modalità con cui il regime di Minsk sta utilizzando l’arma dei richiedenti asilo sono state illustrate sul proprio blog dal giornalista bielorusso di opposizione Tadeusz Giczan. Dall’inizio dell’anno a collegare Bielorussia e Iraq c’era solo un volo a settimana. A partire da maggio, in concomitanza con la crisi legata all’arresto dell’attivista bielorusso Roman Pratasevich, i collegamenti sono saliti a quattro. Stando a quanto riportato da Giczan, centro nevralgico delle operazioni è la Centrkurort, società statale appartenente al Consiglio per gli affari presidenziali bielorussi. Questo ente è in stretto contatto con le agenzie di viaggio irachene che forniscono gli elenchi delle persone interessate a partire. Il prezzo di un viaggio settimanale in Bielorussia oscilla tra i 600 e i 1.000 dollari. Mentre una parte dei turisti viene portata a visitare effettivamente il Paese, un’altra viene portata al confine.
Per cercare di contrastare questo fenomeno l’Unione europea ha iniziato una serie di colloqui con l’Iraq affinché fermi sul nascere questo tipo di attività. Allo stesso tempo ha accusato apertamente la Bielorussia di strumentalizzare degli esseri umani per i suoi fini politici. Da parte di Minsk per ora non è giunta nessuna replica, mentre l’aumento delle persone in fuga dall’Afghanistan, rischia di diventare un serbatoio per questo nuovo fronte della crisi.