GastarbeiterCome è cambiata l’immigrazione italiana in Germania

Il giudice e docente Alessandro Bellardita spiega come i fenomeni migratori hanno cambiato il quadro del diritto tedesco: «I primi italiani che arrivarono nel dopoguerra erano clandestini. Oltrepassavano il confine svizzero/austriaco e tedesco con la paura di essere arrestati»

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Alessandro Bellardita è giudice presso il Tribunale di Karlsruhe e docente di diritto alla Hochschule di Schwetzingen, in Baden-Württemberg.

All’attività forense e all’insegnamento affianca il lavoro di giornalista e scrittore: è autore della prima monografia in lingua tedesca dedicata a Fabrizio De André (Fabrizio De André – die Essenz der Freiheit), mentre il suo esordio come narratore è il romanzo giallo Der Zeugenmacher. Il suo primo libro in italiano si intitola I vostri diritti in Germania – per un primo orientamento nella società tedesca, preziosa guida per gli italiani appena arrivati in Germania. Kater l’ha intervistato per parlare di come è cambiata l’immigrazione italiana in Germania e di come si è modificata la cornice legislativa tedesca nel corso dei decenni, anche grazie all’apporto fondamentale dell’Unione Europea.

– Quando si parla di emigrazione italiana in Germania, c’è sempre il rischio di cadere in stereotipi che, come è loro natura, magari colgono parte della storia ma tendono a semplificare le questioni e a nascondere la complessità. Pensiamo ad esempio alla narrativa della “valigia di cartone” o a quella della “fuga dei cervelli”: formule che designano dinamiche certamente esistenti, ma che schiacciano la storia dei movimenti migratori su una dimensione piatta e unilaterale. 

È indubbio però che l’emigrazione italiana in Germania abbia attraversato diverse fasi, e che oggi abbia un aspetto in parte diverso rispetto a quello che aveva alcuni decenni fa, quando ad esempio la maggior parte degli italiani arrivati in Germania erano i Gastarbeiter, spesso alle prese con un’integrazione molto difficile. Come è cambiato lo scenario dell’immigrazione italiana in Germania, soprattutto dal punto di vista giuridico e dello status degli italiani che vengono a vivere e a lavorare in Germania?

È cambiato totalmente. I primi italiani che arrivarono in Germania nel dopoguerra erano clandestini. Oltrepassavano il confine svizzero/austriaco e tedesco con la paura di essere arrestati. Vivevano in condizioni disastrose in Germania e lavoravano soprattutto nei campi; solo un romanzo – purtroppo poco conosciuto – narra questa storia: Antonio di Delio Miorandi e pochissimi saggi tedeschi.

Poi arriva l’accordo del dicembre 1955 tra Italia e Germania: un accordo che permette nel giro di pochi mesi a circa 100mila italiani di approdare in Germania legalmente. Tuttavia quell’accordo prevedeva un permesso di soggiorno limitato a due anni: un grosso macigno, anche perché proprio le grandi industrie lamentavano il fatto che non appena l’operaio italiano aveva imparato bene il suo mestiere, doveva già tornare in Italia.

Ed ecco che a cambiare le carte del gioco ci pensarono i fautori dei trattati di Roma: a partire dal 1958 i permessi di soggiorno erano limitati a cinque anni – un passo in avanti. Inizia così una fase di emigrazione intensa verso la Germania: nel 1973 sono oltre un milione gli italiani, la stragrande maggioranza del sud, a vivere nel paese governato da Willy Brandt. Il cancelliere socialdemocratico e il suo successore Helmuth Schmidt, tuttavia, non riescono a cambiare l’atteggiamento ostile di una buona parte della classe politica tedesca nei confronti dei Gastarbeiter.

E così, nel 1983, il governo Kohl mette in atto un programma di rimpatrio: 10.500 marchi a chi torna nel suo paese entro quattro settimane. Poi arriva un nuovo boom economico verso la seconda metà degli anni Ottanta, e i Gastarbeiter fanno di nuovo comodo. Nel 1992 la svolta definitiva: il trattato di Maastricht sancisce una nuova fase per gli immigrati “europei” come ad esempio gli italiani, che pian piano si accorgono di essere innanzitutto cittadini europei. Ci vorranno ancora altri 17 anni, però, per annullare quasi tutte le differenze con il trattato di Lisbona nel 2009.

– Il mondo del diritto tedesco storicamente ha avuto spesso a che fare con il fenomeno migratorio, per numerose questioni che vanno dal quadro normativo per chi giungeva in Germania per lavoro ma con l’obiettivo di tornare presto in Italia al tema della doppia cittadinanza, ad esempio per i figli degli immigrati. Che impatto ha avuto il fenomeno migratorio in generale, e quello dall’Italia in particolare, sul diritto tedesco?

L’impatto è stato enorme, specialmente dopo che la classe politica ha iniziato a realizzare che il fenomeno migratorio ha cambiato totalmente la società tedesca. Hegel nella Scienza della logica sostiene che quando un fenomeno cresce da un punto di vista quantitativo non si ha solo un aumento in ordine alla quantità, ma si ha anche una variazione qualitativa radicale. Hegel fa un esempio chiaro: se mi tolgo un capello sono un uomo che comunque ha dei capelli. La stessa cosa vale se me ne tolgo due, tre o quattro. Se, invece, mi tolgo tutti i capelli, ebbene, sono un uomo “calvo”. Vale a dire: abbiamo un cambiamento qualitativo per un semplice incremento quantitativo di un gesto, un cambiamento qualitativo che comporta una modificazione del linguaggio, del modo di descrivere un fenomeno.

È un po’ quello che è successo con la Germania: fino alla fine degli anni ‘60 l’aumento degli stranieri era continuo ma ancora non tanto visibile e percepito dalla popolazione. La politica faceva finta di nulla e preferiva non parlarne. Poi, alla fine degli anni ‘80, la popolazione straniera era talmente consistente che non si poteva più ignorare. I primi volti “stranieri” si vedevano già in politica, poi alcuni cominciavano ad occupare posizioni importanti sia nell’economia che nell’amministrazione. E tutto ad un tratto la Germania – alla fine degli anni ’90 – era per alcuni esponenti politici addirittura un Einwanderungsland, una terra d’immigrazione. La legge relativa agli stranieri, infatti, fu cambiata radicalmente durante il primo governo rosso-verde di Gerhard Schröder. L’idea della doppia cittadinanza era di moda e tra Italia e Germania fu stipulato l’accordo per il quale anch’io ho entrambe le cittadinanze.

– Un aspetto fondamentale del diritto contemporaneo riguarda certamente la cornice europea entro cui i diritti dei singoli Paesi sono oggi inseriti. Storicamente che “vantaggi” hanno avuto i migranti italiani grazie all’Unione Europea, anche nelle sue forme precedenti?

Faccio l’esempio di mio nonno: arrivò in Germania con un contratto a termine agli inizi degli anni Sessanta. Scaduto il contratto sarebbe dovuto tornare immediatamente in Italia, proprio perché il permesso di soggiorno era legato al posto di lavoro. Oltre al sussidio di disoccupazione (che si percepiva solo per pochi mesi), lo straniero non aveva diritto al sussidio sociale. Da italiano trovare un appartamento per la propria famiglia era pressoché impossibile: ad italiani i tedeschi non affittavano appartamenti grandi, proprio per evitare che venisse la famiglia dall’Italia.

Quando arrivò mio padre in Germania, fine anni Settanta, già la situazione era migliorata. Il permesso di soggiorno era una formalità, si avevano più diritti sociali e molti italiani iniziavano ad uscire dai quartieri degradati dove vivevano segregati fino alla fine degli anni ‘60. Ma quando mio padre andava in Italia (per vacanze o altri motivi) c’era un’odissea da affrontare: bisognava andare al Consolato (per motivi legati all’obbligo di leva), cambiare la moneta (le banche ne approfittavano) e, non esistendo ancora il sistema bancario europeo, dovevi comunque viaggiare con ingenti somme di denaro, sperando sempre che alla dogana non saresti incappato in qualche controllo.

Adesso, ovviamente, grazie all’Ue, tutto questo non c’è più. E pochi, purtroppo, si rendono conto dei grandi vantaggi che abbiamo rispetto ai nostri genitori e nonni. Infine evito di elencare tutte le discriminazioni che sono state abolite grazie alla giurisdizione e legislazione europea: era impensabile, ad esempio, che un cittadino italiano si arruolasse in polizia in Germania negli anni settanta – giusto per fare un esempio.   

– Quali sono i problemi e le sfide, dal punto di vista giuridico, che oggi gli italiani in Germania si trovano a dover affrontare più spesso?

Innanzitutto trovare un appartamento adeguato. Spesso gli italiani accettano di tutto pur di trovare un appartamento. Ecco: qui bisogna sapere che in Germania esistono una serie di diritti per i conduttori, anche perché il diritto di locazione in Germania viene inteso come parte del diritto sociale; di questo ne parlo nel mio libro.

Poi ovviamente tutto ciò che riguarda la tutela del proprio posto di lavoro: spesso gli italiani accettano licenziamenti “a voce”, non si rivolgono ai tribunali del lavoro per paura delle spese legali oppure accettano condizioni di lavoro disastrose pur di non perdere il posto di lavoro. Anche questo è un tema che ho trattato nel mio libro, con la speranza che gli italiani possano divenire coscienti dei loro diritti e migliorare, così, anche le condizioni di lavoro in generale. Chi infatti accetta certe condizioni, non fa altro che perpetuare un certo tipo di sfruttamento.

– Una questione spinosa, dal punto di vista giuridico così come da quello sociale, riguarda la definizione e l’uso del concetto di Migrationshintergrund – sKater ne avevamo accennato qui. Che impatto ha questo tema sugli italiani in Germania, soprattutto ora che anche in Italia i fenomeni migratori stanno arricchendo la popolazione di cittadini dalle provenienze diverse e che talvolta si spostano verso altri Paesi, inclusa la Germania?

Qui bisogna distinguere: l’italiano ovviamente è anche un cittadino con Migrationshintergrund. Ma questo concetto non è stato ideato per definire le condizioni del cittadino italiano, spagnolo o francese in Germania, ma piuttosto (e soprattutto) dei concittadini di origine turca. Vale a dire: grazie alla legislazione europea, la stragrande maggioranza degli elementi discriminatori sono stati rimossi, cosicché un cittadino italiano può accedere a (quasi) tutte le funzioni e posizioni nella società tedesca.

Ecco perché, purtroppo, pochi italiani prendono la cittadinanza tedesca. Credono di non averne bisogno, trascurando totalmente l’aspetto politico (perché difatti non possono votare alle politiche!). Diverso, invece, il discorso per i turchi, che ancora oggi sono la minoranza più grande presente in Germania: per loro acquisire la cittadinanza tedesca è fondamentale, in quanto non sono cittadini europei. Ecco che, in questo frangente esemplificativo, il concetto di Migrationshintergrund diventa rilevante.

Secondo me, tuttavia, questo concetto viene spesso e volentieri utilizzato per “giustificare” certi fenomeni, tralasciando le vere cause (o correlazioni). Se la politica, come spesso avviene, pur di non riformare il sistema scolastico, il codice penale per i minori, il diritto familiare (e in particolare il ruolo dello Jugendamt), l’associazionismo, i fondi di cultura e i servizi sociali – sistemi fondamentali per una migliore integrazione –, preferisce accomodarsi sul concetto di “ragazzo con Migrationshintergrund”, la società resta la stessa e il problema di fondo non viene mai risolto.

Un esempio: pur di non riformare il sistema di organizzazione delle classi, si accetta che in alcune scuole oltre tre quarti della classe sia di origine straniera. Gli alunni, durante gli intervalli, parlano la loro lingua madre e così facendo l’apprendimento del tedesco diventa ancor più complicato. Servirebbero, invece, delle quote per gli stranieri (una specie di tetto massimo), in modo da facilitare non solo l’apprendimento del tedesco ma anche il lavoro degli insegnanti, spesso rassegnati di fronte a queste situazioni.

Continua a leggere su Kater un blog collettivo che parla di Germania – o almeno ci prova – al di là di semplificazioni, stereotipi e luoghi comuni.

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