Uno spritz con i montessoriani Adulti, vaccinati e non saper distinguere la tutela della sicurezza da quella dei capricci

Siamo una repubblica fondata sul lavorare meno, contagiare tutti. Forniamo i documenti alla reception dell’albergo senza che nessuno ne sottolinei l’insensatezza e a cinquant’anni siamo incapaci di capire i pericoli come se ne avessimo cinque

di Danilo Batista, da Unsplash

Ho amiche madri che guardano i gruppi montessoriani su Facebook solo per esorcizzare le loro paure. Osservano attonite i bambini fatti salire sulla torre montessoriana, quella specie di sgabello della Parietti che li pone ad altezza degli adulti ed evita siano frustrati dal loro essere, ma tu pensa, bambini, quei bambini sulla torre così i fornelli non sono un luogo mitologico su cui s’affaccenda mamma (più spesso papà, in questi tempi in cui si sentono tutti chef), quei bambini sullo sgabello si ritrovano con le fiamme dei fornelli in faccia.

Le mamme mie amiche sospirano che è un miracolo se non si hanno notizie di bambini gravemente lesi da queste benedette torri che li fanno affacciare su paesaggi per i quali non sono pronti, e si rasserenano: io non sono mica scema, col cazzo che lo faccio avvicinare ai fornelli, il mio è salvo, tutti gli altri peggio per loro.

Il fatto è che a cinquant’anni siamo incapaci di capire i pericoli come a cinque, e la classe dirigente è grandemente montessoriana. È montessoriano Landini, che non tutela le operaie uccise dai macchinari, non tutela le partite Iva che se qualcuno le molla a far la fame in piena pandemia sono fatti loro, ma tutela il capriccio (non si chiama così: per i montessoriani non esistono capricci ma bisogni, perdindirindina) di chi il vaccino non vuole farselo, il tampone non vuole farselo, la certificazione verde non vuole averla.

La prima a chiedergli chi tutelasse, molti mesi fa, fu Concita De Gregorio. Erano entrambi ospiti di Floris. Lei chiese cosa dovesse fare il titolare d’un centro per anziani in cui ventisei infermieri (su ventisette) rifiutavano di vaccinarsi. Lui disse che era il governo che doveva fare una legge per l’obbligatorietà. Lei insistette: sì, ma intanto, l’infermiere che non si vaccina. «Io dico che fa male. Se vuole che dica che uno dev’essere licenziato, non glielo dico neanche sotto tortura». Quindi: il sindacato montessoriano tutela i capricci, ma non li chiama capricci.

È montessoriana Lamorgese, che sì, certo, ci vuole la certificazione verde nei ristoranti, ma mica i ristoratori sono pubblici ufficiali, mica possono controllare i documenti. Ma la certificazione vaccinale non è un documento? Direi di sì, ma pare si parlasse di documenti d’identità, quelli con la foto, da accompagnarsi alla prova dell’avvenuta vaccinazione per garantire io non mi sia fatta prestare quella di mio cugino per andare a prendere uno spritz.

L’altro giorno sono andata a prendere appunto uno spritz nel bar d’un albergo cittadino. Mentre sorseggiavo, il cameriere mi ha chiesto: scusi, ma lei è ospite dell’hotel? No, vuole la carta di credito subito così non scappo senza pagare? No, è che devo chiederle il greenpass, se era ospite no. Prego, s’immagini, eccolo qui. Ma l’ospite dell’hotel no perché gliel’avete già controllato al check-in? No, agli ospiti degli alberghi non è richiesto. Quindi, per masticare patatine sputacchiando in giro nel bar d’un albergo, non devo essere certificata solo se sputacchio ben bene anche in una stanza di quello stesso hotel. La certificazione verde ha le sue ragioni che la ragione non conosce.

Ho pensato per un attimo di chiedere una torre montessoriana per sedermi al bancone del bar.

Ma torniamo alla ministra. Che dice che certo non si può chiedere alle forze dell’ordine di andare a controllare i documenti dei cittadini pandemici nei luoghi di ristoro, giacché la polizia ha altri compiti, ch’ella sintetizza in «garantire la sicurezza». Non mi viene in mente niente che corrisponda più alla definizione di «garantire la sicurezza» che controllare che gente potenzialmente infetta non sputacchi in luoghi affollati. Tranne forse evitare le rapine a mano armata. Ce ne saranno molte, questo agosto?

Ma tralasciamo la polizia, la cui presenza forse non creerebbe neanche una bella atmosfera all’entrata dei ristoranti (anche se ci donerebbe un delizioso articolo della Murgia cui s’è chiuso lo stomaco perché uno in divisa militare si è infrapposto tra lei e i nigiri di salmone).

Nel resto della sua dichiarazione, la ministra dice: «I ristoratori non devono fare i poliziotti e non sono tenuti a chiedere la carta di identità». Quindi il documento non era la certificazione.

Il tizio che l’altra sera m’ha servito lo spritz in albergo l’ha scannerizzato con un affarino che non so cosa facesse: gli diceva se era autentico? Gli diceva i miei dati? Non potrebbe, l’affarino che legge il codice, fargli comparire una mia foto, così lui pur non essendo poliziotto sa che io sono io? Sarebbe troppo “Minority Report”? Mi puoi cercare su Google o su Facebook, sapere quando sono nata e dove sono andata a scuola e a volte persino dove abito, ma non mi puoi associare al mio codice vaccinale? Non è che per caso abbiamo le priorità della privacy tutte sballate?

Confesso di trovare molto più “Minority Report” (o altro film di fantascienza sullo Stato controllore, i più patiti del genere di me scelgano il loro titolo) il fatto che la questura sappia se passo la notte fuori casa. Almeno così mi hanno sempre spiegato la bislacca abitudine italiana per cui devi consegnare un documento alla reception dell’albergo: i documenti servono perché l’albergatore deve notificare alla questura che hai pernottato lì. Ma perché? In caso di delitto? Non glielo notificano già la strisciata della carta di credito, le immagini delle telecamere a circuito chiuso, mio marito che dice certo che la turpe notte dell’albergo Molise quella poco di buono non è tornata a casa?

E perché il portiere dell’albergo deve, per dirlo con Lamorgese, fare il poliziotto, e il ristoratore no? Quello dell’albergo ha un’indennità economica in più per farlo, o è arruolato come gli atleti olimpici?

Ieri, su un taxi, era esposto il regolamento pandemico. Dice che il tassista sanifica il taxi tra un passeggero e l’altro, che è una fantasia che può compilare senza mettersi a ridere solo chi non sia mai salito su un taxi. Ma soprattutto è severissimo coi passeggeri. Che possono venir fatti scendere (e venirgli fatta pagare comunque la corsa) se osano levarsi la mascherina o altre pericolosità. Credo sia per l’approccio montessorianlandiniano alla questione che non si accenna all’eventuale pericolosità del tassista, alle sue mascherine regolarmente abbassate sul naso, alla sanificazione mai fatta in vita sua.

Minacciassimo di ritorsioni (non so: è lui che paga la corsa a me) il tassista pandemicamente inadempiente, Landini direbbe: «Si rischia di essere sanzionati perché si vuol lavorare». Per carità, non sanzioniamo nessuno. Meglio infettare il prossimo passeggero, contagiare il commensale vicino, far ustionare il bambino che se non sale sulla torre sai le frustrazioni.

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