Forse la cosa peggiore è quella di essere costretto a guardare, per almeno otto ore al giorno, la televisione di stato russa. Insieme a una selezione di film di propaganda. Al leader dell’opposizione Aleksey Navalny detenuto in carcere da marzo, resta poco altro da fare. Riordinare la cella, curare la corrispondenza e pensare al pranzo. Tutto il resto – scrivere, o leggere libri, per esempio – «è proibito».
Navalny, nella sua prima intervista dal carcere, concessa al New York Times (se ne possono leggere alcuni passaggi qui), descrive le sue giornate alla Colonia penale n.2, a Pokrov. L’obbligo di guardare la televisione, spiega, fa parte del programma per i prigionieri politici per il «risveglio della consapevolezza». Una formula burocratica sotto cui si cela una strategia di tortura psicologica, aspetto per cui la prigione è diventata famosa.
«Una volta si trattava di violenza fisica». Ora sono diventati più sofisticati: tutto è fatto per provocare il prigioniero, scatenarne la reazione «e avere così una giustificazione per aprire un nuovo processo contro di lui», con il risultato di prolungare la sua detenzione.
Se ci si immagina uno scenario da film, «con delinquenti tatuati, armati di coltello e con i denti di acciaio, si è fuori strada». Il carcere russo somiglia più «a un campo di lavoro cinese. Tutti sono in fila, allineati, costretti a marciare sotto lo sguardo delle telecamere». Il controllo è continuo è la cultura prevalente «è quella della delazione».
Serve autocontrollo, insomma. Anche se la situazione non aiuta. Il timore di essere ucciso in prigione, confessa, c’è: «almeno al 50%», ma riesce a sorriderne. «Ogni volta che si entra in questo argomento», spiega, «c’è sempre qualcuno che chiede, in modo insinuante, “perché non sei mai stato ucciso?” o “perché non sei in prigione?”. Bene, adesso le ho fatte entrambe. Per la prima, direi “quasi”». Il riferimento è al tentativo di avvelenamento con il Novichok, avvenuto nell’agosto 2020.
In quell’occasione alcuni governi occidentali, tra cui quello inglese e tedesco, hanno puntato il dito contro il Cremlino, che ha però respinto ogni accusa.
Navalny, che ha ricevuto le cure in un ospedale a Berlino, dove i medici hanno confermato il tentativo di avvelenamento, ha poi deciso di rientrare in Russia, sfidando il presidente Vladimir Putin e consapevole che sarebbe stato imprigionato per la presunta violazione della libertà vigilata. Un sacrificio che ha considerato necessario.
Nonostante le pressioni in carcere, Navalny riesce a mandare messaggi al mondo esterno, grazie ai suoi avvocati che pubblicano alcuni suoi post. Con il New York Times è stato necessario scambiarsi una comunicazione per iscritto.
«Il regime di Putin è un accidente storico, non una cosa inevitabile», spiega. «È il frutto della scelta della corrotta famiglia di Eltsin», aggiunge, riferendosi alla prima nomina dell’attuale presidente russo, che risale al 1999. «Prima o poi si riparerà a questo errore e la Russia riprenderà la strada verso la democrazia». Ne è sicuro perché «questo è ciò che vuole il popolo».
L’Unione Europea e gli Stati Uniti, però, sbagliano «con la politica delle sanzioni». Sono inefficaci perché «colpiscono solo il popolo russo, hanno come bersagli delle piccole personalità di poco spessore, mentre i veri potenti sono riusciti finora a farla franca», grazie al loro esercito di avvocati, lobbisti e banchieri, «che combattono per difendere i diritti dei detentori di denaro sporco».
Vivere in carcere, con la routine fatta di film e programmi televisivi (e una partita a backgammon la sera, unica concessione) è una prova difficile. Ma questo incontro diretto con gli strumenti della propaganda del Cremlino lo ha aiutato a mettere a fuoco un ulteriore aspetto dell’ideologia putiniana: «L’essenza del suo regime», spiega, «sta nel sostituire il presente e il futuro con il passato». Un passato eroico, romanzato, inventato di sana pianta. Importa poco: «Deve essere sempre davanti agli occhi, per far dimenticare quello che succede oggi».
Nelle prime settimane il regime carcerario era ancora più duro. Navalny veniva svegliato ogni ora della notte – per accertarsi che non stesse pianificando una fuga, dicono – come forma di tortura. «Quella del sonno è la tortura più efficace», spiega. «Perché non lascia tracce».
Non mancano commenti anche sui prossimi appuntamenti elettorali. In vista del voto alle parlamentari e regionali di settembre, la repressione organizzata da Putin sugli oppositori, anche quelli più moderati, «È stata efficace, sul piano tattico». Ha impedito agli avversari di avere la maggioranza alla Duma. Ma «per farlo, ha dovuto cambiare alla radice il sistema politico, alzando il livello di autoritarismo». È il sintomo di una debolezza profonda: in Russia ci sono partiti di sinistra e nazionalisti leali a Putin, ma non c’è un partito di centrodestra, stabile, in grado di rappresentare la classe media emergente del Paese, cittadina e abbastanza prospera. Quella che dovrebbe preoccupare di più l’attuale presidente. «In Russia l’opposizione politica esiste non perché ci sono io o qualcun altro a sobillarla dai suoi quartier generali», aggiunge. «Ma perché il 30% della popolazione non ha una rappresentanza politica».
Sulla base di questa lettura, la sua visione è ottimista. Putin «non è eterno, né fisicamente né politicamente». La Russia risolverà, in qualche modo, anche questo problema. E si avvierà verso la democrazia.
Sul punto non ha dubbi: «Abbiamo le nostre caratteristiche, come ogni Paese. Ma la Russia è Europa. La Russia è Occidente».
E in questo futuro Paese senza Putin «le strutture politiche base dovrebbero essere quella della democrazia parlamentare. Le libere elezioni, i tribunali indipendenti e la libertà dei media saranno concetti sacri». Si combatterà contro la povertà (condizione che riguarda troppi cittadini) e si cercherà un modo per sfruttare le proprie risorse naturali senza distruggerle. «Dobbiamo sfruttare questa possibilità. Così la storia della prima metà del XXI secolo racconterà un periodo di progresso e prosperità e non anni di degrado e miseria, come accade ora».