Andar per conchiglie letterarieQuel vento in vena di romanzo che attraversa i saggi di Salvatore Silvano Nigro

L’autore dei testi (molti dei quali notevoli) ora raccolti da Sellerio in “Una spia tra le righe” non è un grande interprete come Garboli o Calasso o Manganelli, perché manca di recitazione, ma è un grande caratterista. E i grandi caratteristi sanno rubare la scena, nel Teatro della Scrittura

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Le raccolte di saggi d’occasione, prefazioni e postfazioni et similia sono rivelatrici: dicono tanto della figura dello scrittore: il ruolo e la rilevanza. “Una spia tra le righe”, nella collana La nuova diagonale (la Sellerio non è soltanto La memoria, tutt’altro), offre l’occasione di leggere a piacere uno scrittore-lettore notevole.

Salvatore Silvano Nigro: «La verità è in ciò che si scrive, non in ciò di cui si scrive» – con tanti saluti a tutte le “restituzioni”, gli “spaccati”, i “messaggi” e via scadendo. Maestri di cerimonie per l’autore sono stati Giorgio Manganelli (la “corda pazza”) e Leonardo Sciascia (la “corda seria”); l’insegnamento della letteratura italiana e l’attività editoriale i due campi di studio e lavoro. (Ci sarebbe anche l’attività di recensore, ma quella è sempre risultato e sintesi delle due primarie). Il libro dà conto di entrambe le anime dell’autore e con dovizia. Insomma: c’è di che discorrere e bene.

In epigrafe, troviamo: «Compito del lettore è di sapere quali parole nasconda una parola, e quali uno spazio bianco; e viceversa» (Giorgio Manganelli). Le parole chiedono attenzione, il più avventuroso dei giochi: cosa, se non l’attenzione? Le parole magiche di Silvano Nigro sono due: orologio e conchiglia.

Gli spazi bianchi, i vuoti, di cui dice Manganelli sono quelli del “Libro mio” del Pontormo, a cui Silvano Nigro nella sua edizione (Bompiani) ha apposto il saggio “L’orologio di Pontormo”, con in epigrafe due versi del poeta cileno Vicente Huidobro: «Vado alla ricerca delle ore / che hanno smarrito il loro orologio». (A completare la triangolazione di talenti, e come a far da introduzione, c’è uno splendido assolo di Manganelli). Ancora, nella introduzione alle “Lettere dedicatorie” di Matteo Bandello: «Ma gli orologi, ancora una volta, hanno tempi sfasati. Sono avventurosi. Come i calendari, i cui fogli sono stati sconvolti da un vento in vena di romanzo». Sintassi semplice e tono conversevole, alto, e poi l’apertura: «Un vento in vena di romanzo». Quel vento che attraversa i saggi dello scrittore-lettore e apre.

“Orologi discordanti”, è il titolo della introduzione: fermiamoci ancora sugli orologi, il Tempo, Matteo Bandello, «frate poeta e novelliere» del Cinquecento – le conchiglie, di quelle dirò alla fine. Ancora, quindi: «Bandello cancella un po’ di date, mescola i ricordi, e rende tutto verosimile […] le dedicatorie sono dei falsi con tutti i colori del vero» – ovvero letteratura, l’invenzione del vero. Cosa è successo al novelliere? Quale nuovo artificio ha scombinato i piani del tempo, e come?

Silvano Nigro, studioso di novellistica italiana, detto del precedente quattrocentesco di Masuccio Salernitano, chiarisce bene: «Solo con Bandello però la simulazione epistolare traghetta in forma di “novelle”, di recente accadute o novellamente a notizie venute, i “ragionamenti” delle corti (dei conventi e dei militari alloggiamenti) toccati dalla esperienza di un segretario (il corsivo è mio) […] peraltro incaricato di missioni rappresentative e diplomatiche». Teniamo a mente quella parola, segretario: è decisiva. «Il narratore è epistolografo e vicario di “ragionamenti” […]. Il dovere di cronaca, che la letteratura deve darsi, impone a Bandello di «tener registro come fanno i mercadanti». Il narratore appunta giornalmente in un libro di “ricordi”; ovvero di cose da ricordare, perché “degne di memoria” […}. È il libro della memoria il registro di Bandello». Il narratore tiene registro: segretario, epistolografo e vicario di ragionamenti: si può dir meglio l’opera dell’autore?

Silvano Nigro non è un grande interprete (il comédien) come Cesare Garboli o Roberto Calasso o Manganelli, per restare a casa nostra, nella lingua italiana – manca di recitazione, l’arte segreta del saggista supremo; è un grande caratterista (un acteur), un Matteo Bandello del nostro tempo. E i grandi caratteristi sanno rubare la scena, nel Teatro della Scrittura – e, infatti, succede. Alessandro Manzoni e la sua gran macchina romanzesca: ecco il luogo della scrittura dell’autore: lì, si prende la scena. Troppo ci sarebbe da discorrere attorno al lavoro dell’autore sul Manzoni: ci sarà senz’altro l’occasione. Intanto posso dire che c’è un Manzoni “di” Silvano Nigro.

Rimane da dire dell’altro campo, quello dell’editoria. Nel libro sono raccolti molti contributi che fanno specchio. Silvano Nigro ha avuto la fortuna di vivere il tempo degli scrittori-lettori-editori: Elio Vittorini, il primo, e Italo Calvino, curatore di Centopagine, la più preziosa collana editoriale del tempo (ne scriverò, prima o poi); Garboli, il suo lavoro al Saggiatore e poi la sua verde collana-nella-collana nella Piccola Biblioteca Adelphi, e Roberto Calasso, gran patron e nume tutelare di Adelphi. Ora, l’autore ha lavorato fianco a fianco a Leonardo Sciascia (anzi: a Sciascia ed Elvira Sellerio: la “perfetta diarchia”), che sarebbe ora di rivalutare anche per quel ruolo di editore-in-coppia che di tutto si occupava e bene. Silvano Nigro è stato dapprima nel ruolo di caratterista al fianco del primattore, poi dopo la morte di quello con più ampiezza e rilevanza.

Tra i contributi raccolti, molti notevoli, imperdibile è la sua introduzione a “Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità di far libri”. (Troppo noto il ruolo di risvoltista dei romanzi di Andrea Camilleri, tanto da sembrare inutile tornarci sopra). Un ruolo di rilevanza, quindi, prima del tempo degli amministratori-delegati-editori. Solo chi ha provato la felicità di far libri, come scrittore-lettore-editore o come editore-lettore-scrittore, può intendere l’importanza di queste figure e il loro perdersi. Salvatore Silvano Nigro è uno dei felici pochi rimasti e veri.

Rimane da dire della conchiglia. Non è il luogo e non c’è spazio per dire della figura e il suo senso rispetto alla poetica dello scrittore Silvano Nigro: non è solo elemento della Wunderkammer, è ben di più. (Il lettore può intanto andare alla frase di Alejo Carpentier messa in epigrafe al saggio Come Nicolas de Staël d’après Seghers: dice quel che va detto e l’eleganza). Lascio qui alcune righe riferite al Bandello attraverso cui il lettore può spiare: «Vera è, nelle ore truccate della Stanza degli orologi, la nostalgia per un mondo di generosa provincia, che è stato travolto e disperso: per un tempo che permetteva di coltivare l’illusione di una “ragione” che regolasse i disordini strabocchevoli della “bestialità”. Allora sì che il legger storie era un ricreativo andar per conchiglie in sulle spiagge». Difficile dir meglio il leggere. Ogni riferimento al presente è mio e voluto: lo sostengo.

Salvatore Silvano Nigro, “Una spia tra le righe”, Sellerio, 2021

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