Mentre resta giustamente altissima la preoccupazione per future mobilitazioni No pass di matrice estremistica se non eversiva – con un’attenzione particolare al 20 ottobre quando a Roma converranno i potenti della Terra per il G20 – non è improbabile che le anomale proteste sindacali perderanno forza. Non oggi, certo, ma presto o tardi.
Ci riferiamo in particolare ai portuali di Trieste che iniziano il blocco del porto a partire da oggi, in concomitanza con l’estensione del green pass – tra l’altro il Prefetto di Trieste ha vietato questo sciopero che configura il reato di interruzione di servizio pubblico – fungendo da calamita per tutti coloro che per una ragione o un’altra vogliono fare casino con la scusa ufficiale del no al green pass.
Questo accade nella Trieste della grande scienza, della cultura, della razionalità mitteleuropea: e non è un bel vedere. Peraltro, non sarebbe giusto indicare nella categoria dei portuali l’alveo della ribellione: a Genova o Gioia Tauro non sta andando così. Difficile dunque capire cosa si celi dietro il ribellismo di questi giorni.
Infatti – osserva Roberto Burioni – «per i lavoratori portuali dal 1963 è obbligatoria la vaccinazione antitetanica. Chi non si vaccina non può lavorare. Perché il problema viene fuori solo ora per la vaccinazione contro il Covid, un pericolo immensamente superiore a quello del tetano?». Già, perché? Perché dietro questo vaccino trovano agibilità umori di destra e sentimenti “antitutto”, in un ribollire di tensioni “diciannoviste” e potenzialmente distruttrici.
Il fatto strano è che ieri i portuali triestini hanno già dato un segnale di una specie di mediazione chiedendo al governo di posticipare l’obbligo della carta verde almeno al 30 ottobre. Richiesta ovviamente senza senso: che cosa cambierebbe?
Tuttavia questa strana “apertura” potrebbe segnalare un qualche ripensamento sulla lotta dura, una voglia di uscire da un vicolo cieco. Perché è evidente che questa è una protesta senza sbocco.
È impossibile infatti che il governo arretri in qualunque forma sull’obbligo del green pass, non solo per coerenza ma perché lo strumento sta funzionando (le richieste di vaccinazioni crescono, in un giorno sino stati scaricati 563mila certificati) e dunque al massimo si potrà ottenere una qualche forma di sgravio fiscale sui tamponi o un loro contenuto abbassamento dei prezzi – e già sarebbe un piccolo cedimento del governo e un elemento di ingiustizia rispetto ai moltissimi che i tamponi li avrebbero pagati di più.
Ma indietro non si torna. La strada è sbarrata. Il governo non cederà anche per rispetto della stragrande maggioranza degli italiani che hanno pagato i tamponi e fatto i vaccini. È esattamente questo ciò che divide un sindacato responsabile da gruppi di ribelli (ed è significativo della crisi del sindacalismo che si tratti del Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste che ha alle spalle una lunga tradizione democratica): che un sindacato intelligente lotta per obiettivi credibili, i ribelli per simboli irrazionali. Si è ricordato in questi giorni Luciano Lama: ecco, appunto.
Infatti Cgil, Cisl e Uil si sono dissociati dalla protesta dei portuali triestini, egemonizzati in seno al Cordinamento dal sindacato autonomo Usb dove probabilmente confluiscono lavoratori privi di esperienza e di orientamento politico democratico.
Detto questo, e augurando tutti un grande successo della manifestazione romana di domani a San Giovanni, dovrebbe essere il momento per il sindacato di aprire una riflessione sulle sue recenti posizioni che hanno contribuito a generare confusione nella partita del green pass. Confusione nello stesso sindacato, visto che la leader della Fiom Francesca Re David ha detto che loro sono contro la carta verde. È evidente che non si può andare avanti così, se davvero si vuole che prevalga la linea della fermezza contro gli sfascisti e gli estremisti.