Michele Crippa ha 32 anni ed è un gastronomo conosciuto su Instagram come gastronomik.it. Un tempo avrebbe potuto elencare a occhi chiusi tutti gli aromi e i profumi contenuti in un piatto, ma nel 2020 il Covid-19 gli ha portato anosmia (perdita di olfatto) e augesia (perdita di gusto). «Quando sono guarito dal virus, non riuscivo a darmi pace. Non solo perché mi era impossibile lavorare bene, avendo gusto e olfatto alterati, ma anche perché non riuscivo a capacitarmi del fatto che non esistessero medici e centri di cura specializzati nel recupero di queste capacità. Perciò ho deciso di darmi da fare per aiutare me stesso e gli altri a riacquistare il “naso perduto”», racconta Michele.
Nell’arco di pochi mesi, e grazie al supporto di alcuni professionisti, Michele ha sviluppato un percorso, un vero e proprio training, che aiuta i pazienti a recuperare l’olfatto e a correggere le dispercezioni sensoriali (per informazioni: [email protected]).
Come funziona il percorso
Questo percorso si compone di due momenti: si inizia frequentando un corso di quattro ore dedicate alla fisiologia e alla biologia dei singoli sensi e al miglioramento delle proprie capacità di utilizzo dell’olfatto e di attenzione agli odori. Dopodiché si prosegue l’allenamento attraverso l’utilizzo di uno strumento, che somiglia al test olfattivo usato per l’allenamento dei sommelier, che si chiama Sensory Box, contenente 20 boccette che riproducono aromi presenti nelle esperienze di vita della nostra società e sono rappresentativi delle grandi famiglie aromatiche (floreale, fruttato, vegetale, empireumatico, speziato) tra le più diffuse in Italia, dalla mela alla liquirizia, dal tartufo al limone. «Dopo aver seguito il corso teorico – spiega Crippa – occorre infatti continuare ad allenare il proprio naso ogni giorno.
Nella realizzazione di questa box, Crippa ha coinvolto il Centro Studi Assaggiatori di Brescia e due docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: la professoressa Novella Bagna, esperta nell’utilizzo dell’analisi sensoriale e raccolta dei dati statistici per ricerca, e Gian Paolo Braceschi, tecnologo alimentare con master in analisi sensoriale e amministratore delegato di Good Senses, società specializzata in analisi sensoriale che da anni si occupa di addestramento dell’olfatto.
La prima parte del corso si svolge necessariamente in presenza all’interno di speciali e confortevoli Sensory Lab, laboratori spesso presenti nelle Università in cui si studiano le scienze alimentati, all’interno dei quali è possibile effettuare delle valutazione sulle più svariate matrici alimentari: dal caffè al vino, all’olio e al cioccolato. «I Sensory Lab, grazie a un rigoroso controllo delle condizioni ambientali (le luci sono soffuse, i rumori attenuati, il riciclo d’aria elimina gli odori) permettono di assaporare un cibo, non solo con le papille gustative, ma coinvolgendo tutti i sensi, dalla vista all’olfatto, dall’udito al tatto», spiega Crippa.
L’eredità del Covid
«Il virus ha creato un danno neurologico che ha interrotto la comunicazione tra il bulbo olfattivo, dove gli odori vengono captati, e la memoria olfattiva, dove la memoria di quell’odore viene custodita, ma non ha intaccato la memoria olfattiva stessa», chiarisce Crippa.
Con il nostro training noi puntiamo a ripristinare quella strada attraverso la sollecitazione dei ricordi associati. L’olfatto, infatti, spiega l’esperto, che è anche docente di storia e cultura della gastronomia e di scienze e tecnologie alimentari è, tra i nostri organi di senso, sicuramente quello più istintivo e più collegato alle nostre emozioni ed esperienze. «È quindi importante cercare di stimolare nuovamente quei profumi criptati nella nostra memoria, legati a emozioni e ricordi del passato». Questa operazione non è così facile, ma richiede uno specifico allenamento, un training olfattivo appunto.
In questo video la professoressa Novella Bagna spiega come utilizzare anche i prodotti comuni, quelli che più si utilizzano nella vita quotidiana, come limone, eucalipto, limone e chiodi di garofano.
L’interesse degli scienziati
Il percorso messo a punto da Crippa è ora al centro di ricerche e approfondimenti da parte di neuroscienziati, psicologi sociali, esperti del settore alimentare. «Mi stanno contattando da tutto il mondo, da Israele, come dagli Stati Uniti e ne sono entusiasta perché mi piacerebbe poter aiutare, con ancora più efficacia, chi sta ancora facendo i conti non solo anosmia e ageusia, ma anche con cacosmia e parosmia, che hanno come effetto indesiderato la distorsione della percezione olfattiva, per cui gli aromi solitamente percepiti come piacevoli (come vaniglia, scorza di agrumi, menta, basilico o caffè) risultano invece molto sgradevoli e disgustosi».
«Io ancora oggi non riconosco la mia pelle»
Queste ultime due sono proprio la condizione che il gastronomo vive ancora oggi. «Io sono diventato ipersensibile a determinati aromi, in particolare alla scorza d’arancia e alla vanillina. Li avverto in modo forte, prepotente, fino ad avere la nausea».
Il gusto, col passare dei mesi, in un certo senso si è ristabilito, ma andando a braccetto con l’olfatto è ovvio che ne esca distorto: «Riesco a percepire sulle terminazioni del mio palato il dolce, il salato, l’acido, ma l’esperienza viene influenzata da quello che sente il mio naso». Crippa non riesce a percepire nemmeno l’odore della sua pelle come era un tempo. «Lo sento cambiato, come se sapessi sempre di cipolla, anche dopo la doccia. Questo mi sconvolge ogni giorno».
«Senza olfatto siamo persi»
Spiega infatti l’esperto che «il sistema olfattivo gioca un ruolo importante, sebbene in gran parte non riconosciuto, nel benessere emotivo». Il dottor Sandeep Robert Datta, professore associato di neurobiologia presso la Harvard Medical School, ha recentemente raccontato al New York Times che studi scientifici hanno collegato l’anosmia all’isolamento sociale e all’anedonia, l’incapacità di provare piacere».
Eppure, conclude Crippa, «il gusto e l’olfatto sono state a lungo le Cenerentole dei sensi: mai fino ad oggi avevamo compreso la loro importanza. Oggi invece è evidente che una vita senza è insopportabile. Noi gastronomi, che studiamo il cibo non solo dal punto di vista culinario, ma anche culturale e simbolico, ontologico persino, lo sappiamo da sempre».