Si chiamerà “Rete degli spazi ibridi”. Unirà a Milano, nei quartieri, quegli spazi commerciali, di ristorazione, vendita di prodotti, che si sono aperti alla socialità, alla cultura, ospitando eventi, corsi, momenti di aggregazione.
Sarà non solo elenco organizzato e vetrina delle attività, ma anche un vero e proprio network nel quale si creeranno sinergie. Accessibile mediante un bando pubblico, comprenderà gli operatori sia pubblici che privati titolari della gestione di uno o più spazi socioculturali sul territorio della città.
Le realtà dovranno svolgere attività di innovazione socioculturale in modo continuativo da almeno un anno. All’atto della candidatura ogni spazio aderente dovrà indicare una o più “funzioni prevalenti”, ad esempio sociale, culturale, aggregativa, educativa. Ristoranti che organizzano presentazioni di libri, circoli ricreativi nei quali si tengono corsi di formazione, dibattiti culturali, concerti: gli “spazi ibridi” possono essere veri e propri motori del cambiamento del territorio.
C’è in effetti un equivoco, un pericolo che pesa su gran parte dei progetti di riqualificazione urbana, anche sui migliori. Pensare che si debba iniziare l’operazione dai luoghi, dai contenitori. Ne risultano soluzioni che inevitabilmente spezzano e tengono separate le aggregazioni, lavorative o sociali.
A ben guardare, invece, la storia delle città ci dovrebbe insegnare che tutto dovrebbe partire dalle attività, analizzandone il valore sociale, le dinamiche attorno e in funzione delle quali costruire i luoghi. Spesso il risultato è che i luoghi non hanno una destinazione univoca, ma risultano aggregatori multiformi.
Così sono appunto gli “spazi ibridi”, che in una città come Milano ad altissima vocazione commerciale, uniscono (o possono unire) le attività di vendita e di fornitura di servizi a quelle culturali e sociali. Il Comune, per ora, ne ha recensiti una trentina, distribuiti soprattutto nelle periferie. Gestiti spesso da cooperative, associazioni, uniscono l’attività commerciale a quella di organizzazione di eventi sul territorio, presentazioni, ma anche corsi e attività di intrattenimento.
Vivono principalmente in siti industriali dismessi e ciò dimostra quanto si affermi spontaneamente il processo di riqualificazione a partire dalle attività. Dall’area ex-Ansaldo, che oggi ospita Base Milano, all’ex cascina che ha visto nascere Mare Culturale Urbano, all’ex fabbrica di cristalli che oggi ospita lo Spirit de Milan, fino al Mercato Lorenteggio che oggi propone commercio tradizionale e iniziative sociali e aggregative per il quartiere, solo per citarne alcuni.
L’assessorato al commercio e alle attività produttive ha però allargato l’azione, coinvolgendo i mercati comunali rionali, ai quali è stata data la possibilità non solo di diventare luogo di intrattenimento e ristorazione, ma anche di ospitare eventi.Un modo per dare vita ai quartieri senza dover aspettare piani urbanistici ed edilizi.
Ora questo nuovo passo, che consiste nel mettere in rete tutte queste realtà, attraverso un elenco pubblico, organizzato per caratteristiche , competenze e tipo di attività. Una rete cittadina non solo di realtà al servizio dei singoli quartieri, ma che dovrebbe creare un flusso di utenza che attraversa la città e va a scoprire attività culturali e di aggregazione in altre zone.
«Vogliamo che questo percorso vada avanti», ha detto l’assessora alle Politiche per il lavoro, attività produttive e commercio, Cristina Tajani, «e incentiviamo gli operatori a credere nelle potenzialità dei tanti spazi ibridi nati in città, intesi non solo come luoghi commerciali ma come veri punti di riferimento per i singoli Municipi. Strutture non solo caratterizzate per tipologie merceologiche e servizi offerti, ma anche e soprattutto capaci di proporre un modello aggregativo e di socialità rendendo i quartieri periferici più vivibili e vitali».
Da percorsi come questo può passare una riqualificazione che non faccia dei quartieri “scatole urbane” senz’anima.