L’argomento non è stato così al centro dei dibattiti politici come altri, ma emerge da una lettura attenta della Nota di Aggiornamento del Def, si tratta dell’occupazione, o meglio della percentuale di italiani in età lavorativa con un impiego.
L’obiettivo del Governo Draghi sembra chiaro: deve essere alzata a livelli superiori a quelli intorno ai quali è oscillata negli ultimi decenni, avvicinandola a quella di altri Paesi europei.
Per il 2024 secondo il quadro programmatico della Nadef dovrebbe arrivare al 63,4%. Si tratta però di un incremento che sarà accompagnato per ammissione del Governo stesso da un aumento della produttività del lavoro molto limitato, di pochi decimali l’anno.
Come a dire che, nelle condizioni strutturali in cui è l’Italia, è preferibile avere più lavoratori che ognuno di essi sia più produttivo.
La cosa sarebbe anche condivisibile nel Paese in cui metà delle donne tra 15 e 64 anni è ancora disoccupata o molto più spesso inattiva.
Solo che come pesante effetto collaterale di tutto ciò, almeno all’inizio, vi sarebbe la prosecuzione di quel virus del mondo del lavoro che ci perseguita da tempo, ovvero i bassi salari.
Tanto per capirci dal 1990 secondo l’Ocse questi sono scesi in termini reali e a parità di potere d’acquisto del 2,9% in Italia, mentre sono cresciuti del 31,1% in Francia, del 33,7% in Germania, del 47,7% negli Stati Uniti.
Visto che nel frattempo per fortuna seppur in modo insufficiente è anche salita l’occupazione, si è diffuso nel nostro Paese il fenomeno dei working poor, ovvero di coloro che pur lavorando rimangono al di sotto della soglia di povertà o rischiano di andarci.
Sono più del 10% tra i dipendenti, contro il 6% in Francia, il 7,4% medio europeo. In Germania ci si è avvicinati ai livelli italiani solo nel 2020, ma c’è la piccola differenza che il tasso di occupazione in quel caso è di 17 punti più alto del nostro.
In sostanza a essere poveri, lì, sono lavoratori che da noi sarebbero semplicemente inattivi o disoccupati. Più alta, ma minore che negli altri Paesi, la percentuale degli autonomi nella stessa condizione.
E non potrebbe che essere così considerando l’andamento dei salari medi nel corso degli anni. Secondo Eurostat si sono sempre più separati da quelli medi europei e naturalmente da quelli tedeschi man mano che gli anni passavano.
E se nel caso del single povero è solo dal 2017 che gli stipendi diventano significativamente più bassi di quelli del resto dell’Unione Europea, per gli altri, in particolare per le coppie, lo sono sempre stati.
A questo proposito c’è un altro elemento che aggrava la situazione generale, e che si interseca inevitabilmente con il tema della denatalità.
Ovvero il fatto che, mediamente, ad essere più distanti dai valori europei in tema di salari sono coloro che hanno figli.
Quelli che se la cavano meno peggio sono i single che guadagnano meno della media, i quali però, nel 2014, come si è visto erano ancora al di sopra dei livelli dell’Unione.
In questi casi il divario è inferiore al 5%, mentre sale al 7,8% e all’8,3% nel caso di coppie con due minorenni, due stipendi di cui uno inferiore a quello medio.
E sopra il 10% per i single più benestanti, ma anche per i nuclei con due adulti, due figli e salari in linea con quelli del resto dei lavoratori.
A parità di condizioni (come la distanza dalla media italiana, l’essere single o in due), lo stipendio di chi ha prole è più lontano da quello degli altri Paesi dell’Unione Europea.
La ragione la sappiamo, vuol dire che oltre ai problemi di produttività vi sono anche quelli legati a un welfare che, al di là dei proclami, pensa molto poco alla famiglia e che non prevede per esempio detrazioni fiscali o assegni familiari sufficienti.
Il tema degli stipendi è caldo in tutto il mondo. In alcuni Paesi si traduce in un dibattito sul salario minimo, e non è un caso che tra i vincitori del Nobel per l’economia di quest’anno vi sia David Card, il quale nei suoi studi dimostrò che l’incremento del salario minimo stesso negli Stati Uniti, in diverse occasioni – come nel New Jersey degli anni ’90 – non aveva prodotto più disoccupazione, ma anzi un incremento del numero dei lavoratori.
Questo sia per l’attivazione di nuovi soggetti, fino a quel momento inattivi, convinti proprio dall’aumento salariale, sia per la spinta che quest’ultimo ha dato alle imprese a diventare più produttive, così da rendere il costo del lavoro meno pesante rispetto alle entrate.
Anche in Italia si parla di salario minimo, ma se da un lato sicuramente può fare bene superare i minimi per Ccnl, non ci si può illudere che basti magicamente aumentare gli stipendi per avere più domanda e più crescita.
Vorrebbe dire, per fare il verso a Winston Churchill (che parlava di tasse), fare come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico.
Vi è un tema di determinazione equilibrata di un eventuale salario minimo, che non può essere superiore al 40-50% di quello mediano, il quale a sua volta varia molto sul territorio nazionale.
E soprattutto, tornando sempre a bomba, vi è un tema di produttività. Quella che negli Stati Uniti degli anni ’90, ai tempi degli studi di Card, cresceva a ritmi che noi da decenni sogniamo, erano del resto gli anni della rivoluzione informatica. Quella che rende possibile i doverosi incrementi salariali, oltre ad esserne ulteriormente stimolata.
E che è al centro degli obiettivi del Pnrr, il quale dovrebbe accrescerla per gli anni successivi alla spesa dei fondi europei, se effettivamente saranno impiegati in modo efficiente. Non si potrà, però, rimanere in attesa degli effetti del Next Generation Eu, la pressione sul tema salari crescerà, e si dovrà agire prima. Anche in assenza di spettacolari aumenti di produttività.
Sarà forse necessaria una redistribuzione, a favore di chi lo sappiamo, lo abbiamo visto, delle famiglie, di chi ha figli, che sono coloro che sono stati più trascurati negli ultimi anni, anche nelle misure assistenziali come il Reddito di Cittadinanza.
Chi invece pagherà? La politica non può dirlo, anche se lo sa, e come sempre toccherà fare il lavoro sporco a qualcuno di esterno. Come è già accaduto e come sta accadendo.