Il denaro e la felicitàSuccession mette in mostra il vero costo della ricchezza

Le lotte interne nella famiglia Roy per il controllo della società si svolgono, tra le altre cose, in hotel di lusso e jet privati. Ma l’opulenza messa in mostra nella serie HBO/Sky Atlantic risulta fredda e sterile

Anche “Succession”, la serie Hbo/ Sky Atlantic acclamata da tutti, è tornata. La pandemia ha fatto slittare la produzione ma, a distanza di due anni, si riprende da dove si era interrotta: cioè alle rivelazioni esplosive con cui Kendall Roy (Jeremy Strong) ha deciso, con un colpo di scena, di far saltare tutto denunciando il coinvolgimento del padre Logan (Brian Cox) in una serie di scandali nella società di famigla, la Waystar Royco, gigante dei media americani.

La terza stagione comincia da lì, dalla fine della conferenza stampa e dopo l’esplosione, con telefonate frenetiche tra alleati e nemici (ma non si capisce più) per capire come riparare al disastro prima che venga giù tutto. Sono conversazioni tese e viaggi intercontinentali in cerca di rifugi sicuri, ma solo il fatto che funzioni con questi due soli ingredienti, rende l’idea della qualità della serie, come dice il Guardian.

Parlare di “Succession” significa ripercorrere gli intrighi, i piani, le rivalità all’interno della famiglia dei Roy, dominata dal patriarca Logan, duro e potente, ma accompagnato dalle traiettorie dei figli. Oltre a Kendall, tossico, irresponsabile, ambizioso e frustrato (quello che ha innescato lo scandalo) c’è il più anziano Connor (Alan Ruck), il pochissimo responsabile Roman (Kieran Culkin) e la furba Siobhan, detta Shiv (Sarah Snook). Intorno al nucleo principale girano altri personaggi, ognuno con proprie agende e personalità: la terza moglie di Logan, Marcia (Hiam Abbass), il fidanzato-poi-marito di Shiv Tom Wambsgans (Matthew Macfayden), il nipote opportunista Greg Hirsch (Nicholas Braun). Tutti che, in qualche modo, cercano di ritagliarsi uno spazio di potere nella società, di succedere al vecchio Logan, di contare in qualche modo.

A sostenere la raffica di traffici e tradimenti delle prime due stagioni è lo spirito satirico: battute, tempi comici, situazioni stralunate contribuiscono a umanizzare la corsa dei giovani Roy contro il padre, gli accordi sotterranei, i complotti e le pugnalate alle spalle. Ce n’è quasi una a puntata. Alle spalle di una famiglia disordinata, dove c’è chi – come Connor – si vuole candidare alla presidenza degli Stati Uniti («Pensi che sia un cammino naturale passare da non avere nessun lavoro a fare il lavoro più importante di tutti?», gli chiede Roman) ci sono richiami alla realtà: nasce come parodia dei Murdoch, ma fa il verso anche al circo Trump, alludendo ai vari Kushner e Kardashian. «Ci abbiamo lavorato sia prima sia dopo la sua elezione nel 2016: questo ci ha aiutato a mantenere la nostra salute mentale», scherza con Vanity Fair il produttore esecutivo Adam McKay, sottolineando che gli intrecci e le invenzioni della serie non sono nulla rispetto a quella realtà.

Anche perché, nonostante la lotta al potere quotidiana tra fratelli, nella famiglia Roy un filo di umanità si scorge, soltanto che è nascosta dall’ammasso di ricchezza che contraddistingue le loro esistenze. Autisti, jet privati, voli in località esotiche, hotel a cinque stelle fanno da sfondo alle vicende familiari. I Roy, come è giusto che sia, sono ricchissimi, ma – lo ricorda questo articolo dell’Atlantic – la loro opulenza non dà conforto. È fredda, sterile. I soldi sono un’arma a doppio taglio, li convince che possono usare la crisi come un’opportunità ma impedisce loro di vedere le conseguenze delle loro azioni.

Intrappolati in una realtà parallela, risultano incapaci di vedersi dall’esterno (non sono mai, del resto, all’esterno di sé) perché proprio la loro condizione privilegiata funziona da cortina fumogena rispetto al resto del mondo. Ma all’interno dei rapporti familiari non c’è niente che li protegge. La violenza del patriarca, i tradimenti tra consanguinei sono le trame di personaggi shakesperiani e contemporanei. Anime perse, o smarrite, che viene da guardare con simpatia e non invidia.