Spettacolo di arte variaIl gran circo italiano nel Padiglione di Aldo Grasso

La rubrica del giornalista del Corriere della Sera è diventata un libro (Solferino). Una raccolta che è insieme un viaggio nei vizi (tanti) e nelle virtù (poche) degli ultimi dieci anni del Paese, una morality play del chiacchiericcio politico, messo in scena con scetticismo e una punta di ironia

LaPresse - Mourad Balti Touati 14/05/2019

È un bestiario, una raccolta di favole reali, il canovaccio di uno «spettacolo teatrale sgangherato». “Padiglione Italia”, il libro edito da Solferino editore con cui Aldo Grasso presenta una selezione dell’omonima rubrica del Corriere della Sera, è tutto questo. Ma soprattutto è un farmaco per smemorati.

Pagina dopo pagina – fa ben altro effetto rispetto alla solita dose settimanale – racconta la china di un Paese ingaglioffito: dal 2013 ripesca un Grillo che parla ancora di «pdmenoelle», riaffiora a galla un Fedez che si scaglia contro Napolitano (sì, è successo). Ecco la dieta di Giovanni Toti, scelto da Berlusconi come contraltare di Matteo Renzi (siamo nel 2014), e la candidatura di Federico Moccia a sindaco (2012). Qualcuno si era dimenticato di Roberta Lombardi, che da capogruppo del Movimento 5 stelle alla Camera, era stata derubata delle ricevute dei famosi rimborsi? (2013) Qualcuno aveva forse scordato Barbara Lezzi e il balzo del Prodotto interno lordo dovuto ai condizionatori? (2017).

Ma il libro scava anche più indietro: si torna alla Costa Concordia e a Francesco Schettino, si rinfresca l’antica vicenda di Gianfranco Fini e della casa a Montecarlo, torna il nome di Maurizio Gasparri, e lo scontro tra Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy su Lorenzo Bini Smaghi (e di conseguenza Mario Draghi). È un’altra era geologica, fatta di storie lontanissime: sorprende che siano passati solo 10 anni, o anche meno.

Eppure c’è stato tempo per le stramberie di Fiorella Mannoia pro-Grillo, per la conversione di Mina ai Cinquestelle, per la parabola negativa dell’ineffabile Antonio Ingroia e del suo processo, per le sparate di Gianluigi Paragone e Giggino De Magistris, per i VinciSalvini (!). Dieci anni in cui l’Italia è passata da Manuela Arcuri a Domenico Arcuri, da Cologno a Codogno e da Lele Mora a Mimmo Parisi, con in mezzo Gianluca Vacchi, la gita della Lega a Edimburgo e Diego Fusaro candidato a Gioia Tauro. A rileggere vengono le vertigini.

Il libro è organizzato come una raccolta di massime morali e, in un certo senso, lo è. Ogni capitolo inizia con una favola di Emanuele Tesauro, letterato del XVII secolo, che con la sua raccolta “La politica di Esopo Frigio” aveva adattato la versione francese di Esopo. Ogni storia è un’allegoria, conclusa con una massima che ne illumina la morale. Aldo Grasso sul punto è chiaro: non vuole fare il moralista, che in Italia indica «il finto intransigente, l’infingardo, il sepolcro imbiancato reso immortale dal film interpretato da Alberto Sordi». Vorrebbe essere piuttosto il corrispettivo francese, «qualcuno che si occupa della natura intima dell’uomo, un anatomopatologo delle piaghe del cuore, un polemista che smaschera l’ipocrisia dominante». È la sua strada. La segue con una buona dose di ironia, un certo scetticismo e uno sguardo serio e severo sulle cose. La sciocchezza non lo incanta: a volte la castiga di fioretto a volte, quando serve, va di randello.

La cornice della rubrica diventa così un palcoscenico da commedia dell’arte, o da vera e propria farsa. Il Padiglione ospita circhi, pagliacci, qualche mago di tanto in tanto. Sono persone reali, con nomi e cognomi (è inevitabile) ma che diventano, nell’inerzia degli anni, personaggi. L’identità di ciascuno scolora, si stacca: dietro resta il vuoto delle dichiarazioni avventate, delle furbizie elettorali, delle vanità da televisione. Ognuno si riduce così al vizio che lo muove.

Aldo Grasso non è un moralizzatore all’italiana. Ma ha usato l’Italia per fare un libro di richiami morali.

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