Il mio cuore messo a nudoIl libro di Emily Ratajkowski fa i conti con il suo corpo (che non sempre tornano)

La raccolta di saggi (in Italia pubblicata da Piemme) della modella americana è una finestra nel mondo, poco luccicante, della bellezza, un romanzo di formazione, un insieme di riflessioni sull’aspetto fisico e sulla dittatura dello sguardo maschile. Ma nel tratteggiare la propria emancipazione emerge qualche ambiguità

Dennis van Tine/ABACAPRESS.COM

È una modella, una influencer di Instagram, un sex symbol. Ma adesso, con il suo libro “Sul mio corpo” (Piemme), Emily Ratajkowski è anche – parola dello scrittore Michael Schulman – una sorta di «agente segreto infiltrato nell’industria della bellezza, che ha raggiunto i suoi vertici e adesso racconta agli altri come è da dentro, in modo spietato». Gli 11 saggi raccolti nel volume (tra cui quello, ormai celebre, pubblicato sulla rivista New York nel 2020 con il titolo “Buy Myself Back”) sono un’immersione in un mondo particolare, popolato di figure discutibili: truffatori e arrivisti, ricconi disposti a spendere cifre immani per circondarsi di ragazze «marchettare», agenti senza scrupoli.

Gli esempi sono tanti. C’è l’agente che la manda al Super Bowl per intrattenere un miliardario (poi si scoprirà farlocco) per 25mila dollari. Un altro (una donna) che non esita a mandarla nelle Catskills per un servizio fotografico, senza dirle però che sarebbe stato per una marca di lingerie. I fotografi stessi non sono migliori: uno di loro abusa di lei e si appropria delle sue immagini per sfruttarle dal punto di vista economico. È un quadretto squallido da cui esce malconcio anche Robin Thicke, il cantante che le ha dato la notorietà globale con il video di “Blurred Lines” ma che, ubriaco e frustrato, sul set aveva cercato di molestarla afferrandole da dietro i seni.

“Sul mio corpo”, tuttavia, punta più in alto. È un romanzo di formazione, un’autobiografia del suo rapporto con la madre, altrettanto bella (o forse di più? Il confronto e la competizione serpeggiano in tutte le pagine), un compendio di riflessioni sulla bellezza e sull’essere percepita, guardata, desiderata. La bellezza è il suo dono, ciò per cui da piccola pregava fino a sudare sotto le coperte e che da giovanissima la fa entrare nel mondo del lavoro. Ma c’è di più.

Come ha dichiarato in un’intervista al New York Times, “Sul mio corpo” «è un libro sul capitalismo». A Emily Ratajkowski, accesa sostenitrice di Bernie Sanders, interessa il lato politico: vuole parlare di femminismo e dello sfruttamento del corpo femminile, o meglio del desiderio suscitato dal corpo femminile, e del fatto che sia al centro di una parte importante della influencer economy.

Sul tema, chiarisce fin dall’introduzione, il suo pensiero è cresciuto: alle polemiche che avevano accompagnato nel 2013 l’uscita del video di “Blurred Lines”, con tre donne nude (seminude nella versione censurata) e tre uomini vestiti, rispondeva decisa che non vi vedeva nulla di antifemminista. «Avevo detto chiaro e tondo di sentirmi a mio agio nel mio corpo e con la mia nudità: che diritto avevano gli altri di venire a dirmi che non potevo ballare nuda?», scrive. «Semmai erano loro, con il loro tentativo di dettare regole sull’uso che facevo del mio corpo a essere misogini. Al cuore del femminismo c’è la libertà di scelta, avevo rammentato al mondo, perciò dovevano finirla di cercare di controllarmi». Giusto. Ma fino a un certo punto: «Oggi, rileggendo quell’articolo e rivedendo le interviste rilasciate all’epoca, provo tenerezza per la me stessa più giovane». Qualcosa è cambiato e la visione delle cose si è fatta più sfumata.

È innegabile che il suo corpo le abbia dato la notorietà e la ricchezza (anche se lei, spiega più avanti nel libro, non si considera «davvero ricca»), ma questo non ha impedito che si sentisse sfruttata e ridotta a figura sessuale. «Ho guadagnato grazie al mio corpo entro i confini di un mondo cisessuale, capitalista e patriarcale, in cui la bellezza e il sex appeal hanno valore solo perché soddisfano lo sguardo maschile. Qualunque influenza o status avessi acquisito mi erano concessi unicamente perché piacevo agli uomini». Come illuminazione non sembra granché. Ma c’è una cosa in più: pur avendo conosciuto soldi e potere, confessa di avere «conquistato una certa autonomia, ma non un’autentica emancipazione».

Sul punto è difficile fare valutazioni, ci si trova nell’ambito della (sua) percezione soggettiva. Di sicuro quello che è cambiato è che, negli anni, Emily Ratajkowski è diventata imprenditrice di se stessa, ha una sua linea di moda (Inamorata), un capitale di quasi 30 milioni di follower su Instagram e contratti con società come L’Oreal.

Come ricorda questo articolo del New York Times, Emily Ratajkowski nel suo libro sottolinea in più parti la sua sensazione di minorità e il fatto di essere stata (e di essersi sentita) vittima di persone che usavano il suo corpo per vendere prodotti. È strano, conclude, che il suo percorso l’ha portata a fare proprio la stessa cosa, anche se alle sue condizioni e con i suoi prodotti. E si chiede: da una prospettiva femminista, o anti-capitalista, cambia davvero che sia lei e non un pappone a ricevere i soldi?

È l’ambiguità che segna tutto il libro e, in ultima analisi, il suo pensiero. Lei stessa sente il conflitto e avverte la contraddizione, soprattutto perché si gioca sul suo corpo stesso e sulla sua immagine. Per questo, quando il fidanzato le ricorda in modo scherzoso che «lei è una capitalista», si offende. Sente il dovere di puntualizzare che il sistema non le piace, ma riconosce che non è possibile sfuggire del tutto alle sue regole. In qualche modo, i soldi vanno fatti. Ma in quale modo?

Ecco. L’analisi si ferma qui, a metà del guado. I saggi raccontano una crescita, ma il punto resta irrisolto: i lavori, nonostante lo sguardo retrospettivo, sono ancora in corso.

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