In secondo pianoLa non indimenticabile vicepresidenza di Kamala Harris

A Washington in pochi sono davvero soddisfatti del lavoro della numero due di Joe Biden. Una lunga inchiesta della Cnn rivela le disorganizzazioni del suo staff, i rapporti di lavoro difficili con i funzionari della Casa Bianca e anche una relazione personale non eccellente con il presidente

AP / Lapresse

Il viaggio diplomatico di Kamala Harris a Parigi è passato quasi inosservato. In cinque giorni la vicepresidente degli Stati Uniti ha partecipato a una cena a porte chiuse, non ha concesso interviste ai media locali, è rimasta bloccata nella formalità degli eventi istituzionali. Da Parigi, Kamala Harris avrebbe dovuto lanciare un messaggio che misurasse la sua statura politica anche a livello internazionale, ma non è andata benissimo.

Il tasso di popolarità di Kamala Harris è sotto il 30%, il suo peso politico è sempre meno rilevante, lei appare più in difficoltà nei suoi compiti. E il suo staff è frustrato riguardo al ruolo dell’ex senatrice democratica, come ha rivelato una lunga inchiesta della Cnn: «Funzionari dell’amministrazione, finanziatori del Partito Democratico e consulenti esterni rivelano una realtà complessa all’interno della Casa Bianca. Molti nella cerchia della vicepresidente sono arrabbiati perché non è stata adeguatamente preparata o posizionata, è stata messa da parte. La stessa vicepresidente ha detto a diversi confidenti di sentirsi limitata in ciò che è in grado di fare politicamente». E la parte peggiore è che questo potrebbe danneggiare la sua immagine anche in prospettiva futura, in caso di candidatura alle presidenziali nel 2024 o nel 2028.

La Cnn ha intervistato una trentina tra ex e attuali collaboratori di Kamala Harris, ma anche lo staff della West Wing – l’ala della Casa Bianca che ospita gli uffici dello staff del presidente. Quasi tutti lamentano le «disfunzionalità» dell’ufficio della vicepresidente, che in pochi mesi ha perso diversi collaboratori.

Dei problemi dello staff della vicepresidenza, però, l’amministrazione Biden non si può occupare a tempo pieno, dal momento che il presidente deve fare i conti con una popolarità ai minimi storici, appena al 41%.

La portavoce della Casa Bianca ha difeso Harris via Twitter: «La vicepresidente non è solo una partner vitale per il presidente ma anche una leader coraggiosa che ha assunto la guida di importanti sfide che il nostro Paese deve affrontare: dal diritto di voto alle cause della migrazione e al rafforzamento della banda larga».

Ma le rivelazioni della Cnn hanno acceso i riflettore sulle lamentele dello staff di Kamala Harris, che ritiene l’ex senatrice limitata dal protagonismo di Joe Biden e del suo staff.

All’origine delle frizioni potrebbe esserci un rapporto personale difficile proprio tra il presidente e la sua numero due, che secondo alcune voci di corridoio starebbe pensando di nominare l’ex procuratrice alla Corte Suprema, togliendola dalla Casa Bianca.

«Harris è il primo vicepresidente dopo molti decenni a entrare in carica con meno esperienza politica a Washington rispetto al presidente, e si sapeva che trovare un equilibrio sarebbe stato difficile», scrive il sito dell’emittente americana. «Biden – prosegue l’articolo – mirava a modellare il suo rapporto con Harris sulla sua stessa vicepresidenza e all’inizio ha chiesto ai collaboratori di darle compiti simili a quelli che ebbe lui. Ha organizzato pranzi settimanali, proprio come aveva fatto con Obama, e ha invitato Harris a unirsi a lui per il suo briefing mattutino riservato ai servizi di intelligence. Harris, nel frattempo, ha fatto il massimo per dimostrare il suo impegno al presidente e all’amministrazione».

Un ex collaboratore molto vicino alla vicepresidente ha detto alla Cnn che gli incarichi che le vengono assegnati dalla Casa Bianca spesso non sono ben definiti, o non sono adeguati alle sue competenze, o non le danno alcun tipo di visibilità. Di contro, dall’inchiesta dell’emittente americana emerge una carenza di tatto e di sensibilità su alcuni temi da parte dell’ufficio della vicepresidente, che forse deriva anche da una mancanza di leadership della stessa Harris.

C’è un aneddoto, risalente alla scorsa estate, che può aiutare a inquadrare la confusione nelle attività della vicepresidenza: «Quando Fernando García, direttore esecutivo di Border Network for Human Rights, ha incontrato Harris durante la sua visita a El Paso, in Texas, quest’estate, era ottimista sulla sua potenziale influenza sulla politica di immigrazione. Ma mesi dopo, García dice che è scomparsa, che non ha ricevuto più altre notizie riguardo i provvedimenti da adottare e che non si è vista la sua leadership», scrive la Cnn.

Come detto, al momento le attenzioni sono tutte sul presidente, con Joe Biden che si sta giocando una grossa fetta del suo mandato sui due enormi stanziamenti pubblici – uno da mille miliardi di dollari, sulle infrastrutture, e uno da 2.500 miliardi dedicato a welfare, istruzione e riqualificazione dei lavoratori. Queste due leggi definiranno il mandato, forse l’esito delle elezioni di mid-term del 2022 e la possibilità di essere rieletto nel 2024.

In questa fase, spiega la Cnn, lo staff di Kamala Harris sta decidendo che postura assumere rispetto alla situazione di politica interna: da un lato potrebbe essere conveniente stare nell’ombra di Biden per dimostrare di saper fare gioco di squadra, dall’altro ridursi a un ruolo marginale potrebbe minare la reputazione della stessa Harris e compromettere il suo futuro in politica.

Ma questa scelta potrebbe non dipendere esclusivamente dalla vicepresidente o dal suo staff. Tra i suoi collaboratori, infatti, qualcuno incolpa la famiglia di Harris – quindi la sorella Maya, il cognato Tony West e la nipote Meena Harris – di avere un’influenza troppo forte sulle sue decisioni politiche. Altri, invece, accusano la Casa Bianca di «lavorare per lasciarla nell’ombra», dice la Cnn. La stessa vicepresidente, ad esempio, si è lamentata con alcuni dei suoi più stretti collaboratori di non aver avuto un ruolo di rilievo nelle decisioni del presidente riguardo il ritiro dall’Afghanistan.

«Nonostante Kamala Harris abbia detto ai suoi confidenti di trovarsi molto bene a lavorare direttamente con Joe Biden, quelli che lavorano per loro descrivono la relazione come qualcosa che viene portato avanti a fatica», si legge nell’articolo.

E nel clima politico incendiato degli Stati Uniti i Repubblicani ovviamente colgono l’occasione per rincarare la dose: esponenti politici e media di conservatori hanno fatto della vicepresidente il loro bersaglio preferito fin dalla decisione di Biden di farne la sua vice, e adesso alzano la posta.

Nella lunga inchiesta della Cnn, le parole positive sono affidate a Minyon Moore, esponente di lunga data del Partito Democratico, che è diventata la più importante consigliera di Harris: «La vicepresidente è la forza tranquilla dell’amministrazione. Ha un approccio proattivo che la porta a chiedersi costantemente se stiamo facendo abbastanza per risolvere un problema, se stiamo comunicando adeguatamente con le persone interessate, se non riusciamo a raggiungere gruppi elettorali importanti».

Insomma, Moore cerca di dipingere la vicepresidente come una figura in grado di avere un peso significativo pur lavorando lontano dai riflettori: Harris si comporta proprio come dovrebbe fare un “numero due”, non pretende di essere sempre in prima linea, non vuole rubare la scena. Mentre gli assistenti di Biden la vorrebbero più coinvolta.

Tra un paio di mesi l’amministrazione manderà in archivio il primo dei quattro anni di mandato. In gioco c’è il futuro della presidenza, che per governare nel pieno delle sue funzioni ha bisogno di un buon risultato alle elezioni di mid-term di novembre: avere uno dei due rami del Congresso a maggioranza repubblicana renderebbe ogni operazione incredibilmente complicata. Sul tavolo c’è anche il futuro di Biden, che se vuole sperare in un secondo mandato deve conquistarselo proprio in queste settimane e in questi mesi. E poi, ovviamente, sono in gioco le prospettive e la carriera futura di Harris, che dopo un inizio in salita dovrà dimostrare di sapersi muovere con successo nei corridoi dell’esecutivo.

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