La lotta muscolare che la Polonia ha ingaggiato con la Commissione europea s’è intensificata, raggiungendo culmini mai prima toccati, nel segno di uno scontro frontale e ostentato disinteresse di richiami e azioni delle principali istituzioni dell’Unione. E il tutto nella sola giornata del 29 ottobre, nel corso della quale il governo Morawiecki ha espresso netto rifiuto al pagamento della sanzione pecuniaria di un milione di euro al giorno irrogata il giorno prima dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il Parlamento ha dato l’ok definitivo alla costruzione del muro anti migranti al confine con la Bielorussia, il Sejm o Camera bassa s’è pronunciato perché continui l’iter legislativo della proposta d’iniziativa popolare Stop LGBT.
È quest’ultimo atto, in particolare, ad assurgere a simbolo dello scollamento della Polonia dai valori fondamentali dell’Ue, qualora si considerino interventi specifici come, ad esempio, il primo discorso di Ursula von der Leyen sullo Stato dell’Unione e la Risoluzione del Parlamento europeo del marzo scorso. Parlando il 16 settembre 2020 a Bruxelles davanti agli europarlamentari riuniti in plenaria, la presidente della Commissione aveva espressamente condannato le Strefy wolne od Lgbt (zone libere da Lgbt, ndr), secondo la dicitura con cui si sono autoproclamati a tutt’oggi oltre cento comuni e voidovati, dicendo che si tratta di «zone libere da umanità e non hanno posto nella nostra Unione». L’11 marzo di quest’anno, invece, il Parlamento Ue aveva approvato a larghissima maggioranza la Risoluzione sulla proclamazione dell’Unione europea a zona di libertà per le persone Lgbt in reazione alle accennate Strefy wolne od Lgbt.
Ma ben più grave rispetto a tali autoproclamazioni è quanto successo nell’Aula del Sejm giovedì scorso, quando con 235 voti contrari, 203 favorevoli e un solo astenuto è stata respinto l’affossamento di un progetto di legge, che, assegnato alla Commissione Affari Interni per la prosecuzione dei lavori, prevede il divieto di organizzare e tenere ogni manifestazione per i diritti delle persone Lgbt a partire dai Pride. Essi sarebbero da bandire in quanto finalizzati, fra l’altro, a promuovere «l’estensione del matrimonio a persone dello stesso sesso», «le unioni omosessuali», «orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità», «la possibilità di adottare bambini a coppie di persone dello stesso sesso» e «l’attività sessuale di bambini e adolescenti prima dei 18 anni».
Secondo la Fondazione Życie i Rodzina (il corrispettivo polacco del nostro Pro Vita & Famiglia), che della proposta di legge d’iniziativa popolare è promotrice, per promozione sono da intendersi «tutte le forme di propaganda, protesta, lobbying» nonché «dichiarazioni, petizioni, richieste e raccomandazioni». Non meraviglia pertanto se giovedì, all’inizio della discussione in Aula, Krzysztof Kasprzak, nell’illustrare il testo a nome dell’organizzazione, ha dichiarato che il movimento LGBT è totalitario paragonandone il sostegno alla promozione del comunismo o del nazismo. Comparazione in realtà non nuova, se si pensa che l’arcivescovo metropolita di Cracovia Marek Jędraszewski era arrivato a dichiarare nell’omelia del 1° agosto 2019: «La peste rossa non serpeggia più sulla nostra terra – così il presule – ma ne è emersa una nuova, neo-marxista, che vuole impadronirsi di anime, cuori e spiriti. Una peste che non è rossa ma arcobaleno». Parole, guarda caso, ampiamente riutilizzate da Andrzej Duda nella campagna per le ultime presidenziali, che, il 12 luglio 2020, ne hanno sancito la riconferma per un secondo mandato.
Ma non si potrebbe capire appieno quanto successo al Sejm senza parlare di colei che è la vera paladina e anima dell’iniziativa Stop LGBT. Quella Kaja Godek, cioè, che esponente di punta della Fondazione Życie i Rodzina e già candidata nel 2019 alle europee tra le file del partito d’estrema destra KORWiN, si è resa nota per l’accanito impegno antiabortista con la promozione di campagne come la Stop Aborcji. Ma anche per l’ossessiva lotta senza quartiere alle istanze LGBT. Nel maggio 2018 su Polsat News parlò dell’omosessualità in termini di «perversione». In quello dell’anno successivo, partecipando a un dibattito su Chiesa e pedofilia, aveva tuonato contro la «homolobby» per poi concludere: «Essere pederasti è il primo passo verso la pedofilia. Sapete perché adesso i gay vogliono adottare i bambini? Per violentarli, ecco perché». Per non parlare della frase «Non esiste una cosa come l’orientamento sessuale», che ha meritato il titolo di «stronzata dell’anno 2020» dal sito To tylko teoria.
Perfettamente in linea col suo pensiero, dunque, le parole che ha detto giovedì in Aula alla fine della discussione: «Ti sei chiesto cosa succede se un bambino dice di essere omosessuale? Ogni bambino in un rapporto sano con la propria famiglia può dire: scopro inclinazioni omosessuali, ho problemi con l’alcol. Ma tu devi reagire a ogni patologia».