Cambiare marciaIl momento Monti di Draghi e la gestione pigra dell’emergenza sanitaria

L’Italia aspira a essere il faro d’Europa dell’assistenza pubblica, ma non offre servizi che in altri paesi rientrano nell’ordinaria amministrazione. I tamponi molecolari a domicilio hanno prezzi insostenibili e l’alternativa sono ore di coda nei centri specializzati. La via d’uscita di certo non possono essere nuovi cicli di vaccinazioni ogni tre-quattro mesi

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Negli Stati Uniti è passato alla storia il discorso che il grande cronista della Cbs Walter Cronkite fece agli americani levandosi gli occhiali alla fine del suo popolarissimo notiziario, per ammettere che il conflitto in Vietnam era un grave fallimento, ponendo fine alla grande bugia della «guerra giusta per la democrazia».

In Italia oggi un Cronkite non c’è. E se dovesse esserci evidentemente preferisce tacere, perché la cosa più importante è l’elezione del presidente della Repubblica, non la condizione di crescente grave disagio di milioni di cittadini colpiti dal Covid.

Mentre in Inghilterra (testimonianza di prima mano) è del tutto normale che sia l’assistenza pubblica a farsi carico del problema degli esami, coi tamponi molecolari a domicilio, in Italia assistiamo alla solita vergognosa speculazione come ai tempi delle mascherine durante la gestione Giuseppe Conte-Domenico Arcuri dell’emergenza.

Se in una famiglia di quattro persone si presentasse l’indesiderato ospite, l’alternativa sarebbe solo una: pagare circa mille euro – a Roma almeno, a Milano di più – per poter avere l’esame a domicilio. Almeno due prelievi nella migliore delle ipotesi o fare malati la fila in auto per ore e ore in qualche drive-in, magari mentre hai la febbre. Il tutto nella speranza di poter guarire presto e che venga riattivato tempestivamente il green pass senza il quale si è alla stregua di un morto sociale.

Per inciso, nonostante siano passati tre giorni dalla rilevazione del mio contagio da covid e io abbia coscienziosamente inviato il referto al medico di base, al momento il mio lasciapassare verde è ancora attivo. Volendo, come il compianto no vax “Mauro da Mantova” me ne potrei andare al supermercato o al ristorante senza alcun problema.

Traiamo un po’ di conclusioni.

Si può dire che questo tollerato mercato nero della salute sia indegno di un Paese civile che aspira a essere il «faro d’Europa»? Perché qui non esiste ciò che altrove è ritenuto ordinaria amministrazione (beninteso, pagando il ticket in ragione del proprio reddito)? Perché i vari controlli preventivi coi tamponi che intasano farmacie e laboratori non sono effettuati presso gli stessi hub dove si somministrano i vaccini?

E, infine, davvero si pensa che la via d’uscita siano vaccinazioni ogni tre-quattro mesi, invece di migliorare l’assistenza sanitaria e i controlli negli ospedali e nei centri vaccinali? C’è voluto questo prevedibile disastro organizzativo per capire che non è possibile perpetrare all’infinito un’occhiuta politica di obblighi e restrizioni?

E ancora: quanto dovrà soffrire e sopportare la maggioranza degli italiani responsabili che si sono vaccinati, prima che si abbia il coraggio di imporre l’obbligo generale o almeno il lockdown per gli sconsiderati imbecilli che si rifiutano di essere parte della società e che addirittura vengono commemorati con le lacrime agli occhi quando fatalmente la realtà gli presenta il conto finale?

È permesso dire che forse da un presidente del Consiglio come Mario Draghi sarebbe lecito aspettarsi, in questa situazione, qualcosa di meglio di una battuta sul «nonno al servizio delle istituzioni» che sinistramente richiama alla mente «l’avvocato del popolo» di Rocco Casalino, con l’occhiolino strizzato al Quirinale?

In questa situazione il momento Monti o meglio l’oscar per il marziano a Roma dell’anno («a Marzia’ te scansi?», scriveva magistralmente Ennio Flaiano) è un attimo, anzi «n’attimo», come dicono da queste parti.