Dal 18 dicembre si può andare da Milano a Parigi con il Frecciarossa, una bella conquista in termini di sostenibilità: in poco meno di sette ore si compie il percorso da stazione a stazione, un lasso di tempo di pochissimo superiore a quello che servirebbe per coprire lo stesso percorso in aereo, contando anche gli spostamenti da e per il centro città.
I biglietti, acquistabili a partire da lunedì 13 dicembre, hanno prezzi più che accessibili, con tariffe promozionali che partono da 29 euro. Il treno, oggi più che mai, è un mezzo da considerare per andare nella Ville Lumière se si vuole risparmiare molto in termini di emissioni di CO2.
Le due metropoli sono diversissime, per conformazione, ma soprattutto per mood. Qualcosa, però, le unisce più dell’alta velocità. Per cominciare la sfida bonaria tra le due su chi debba essere la capitale della moda. Tra maison blasonate e riviste di settore che hanno fatto la storia, non è semplice scegliere quale delle due realtà si meriti lo scettro.
Sul piano delle Fashion Week vince sicuramente Parigi, con una kermesse non solo più lunga, ma anche densa di nomi importanti e richiamo per vip da tutte le parti del globo. Dal punto di vista dei brand che hanno fatto la storia del costume invece la partita è aperta, anche se ormai sono rimaste davvero poche le maison la cui proprietà sia rimasta italiana o francese. Se da una parte abbiamo Coco Chanel, con le sue conquiste femministe a botte di look, dall’altra abbiamo il genio e la filantropia di Miuccia Prada; a monsieur Yves Saint Laurent e Christian Dior, noi rispondiamo con Giorgio Armani e Gianni Versace. Oggi come oggi Parigi rappresenta l’establishment del settore, Milano la coolness e la creatività.
A livello di bellezza architettonica, spiace per Milano, ma non c’è gara: Paris est incroyable. Detto questo, pare che Monsieur Eiffel, per progettare l’iconica torre che è diventata il simbolo della città, all’epoca si fosse ispirato a un’altra struttura ferrea altrettanto affascinante, la cupola di ferro che sovrasta la Galleria Vittorio Emanuele, progettata e realizzata dall’architetto Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1877.
E se salire sulla Tour Eiffel è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita, anche il percorso sulla Highline della galleria ha il suo perché. Specialmente al tramonto, specialmente in una giornata tersa d’inverno, una passeggiata qua sopra regala scorci di una bellezza struggente sul Duomo, con la sua Madonnina, e su tutto il centro città.
Se, in un certo senso, Parigi deve a Milano la sua torre, è vero anche che il capoluogo lombardo, durante il periodo napoleonico, ha ospitato un ripensamento architettonico in chiave squisitamente francese. Ne è una prova la toponomastica, da via Montenapoleone a Foro Buonaparte, ma l’eredità di Napoleone non si esaurisce coi soli nomi: l’Arco della Pace di Piazza Sempione è un petit Arc de Triomphe e la Pinacoteca di Brera deve a Napoleone, e al periodo in cui fu incoronato re d’Italia all’inizio dell’Ottocento, il suo stampo illuminista come museo.
Il neo re infatti la decretò ufficialmente museo, con l’intento di farne «il Louvre italiano». il 15 agosto del 1809, giorno del suo quarantesimo compleanno. Forse è forte affermare che Napoleone volesse trasformare Milano in una succursale di Parigi, certo è che dobbiamo a quel periodo l’impianto di capitale che oggi conosciamo (Milano fu capitale del regno d’Italia dal 1805 al 1814).
Noi non abbiamo la Senna, ma la zona dei Navigli non ha nulla da invidiare al Canal St. Martin e nella ristrutturazione della Darsena è facile scorgere l’ispirazione parigina della terrazza sull’acqua che è oggi la parte di congiunzione tra i due navigli milanesi.
Se si sceglie invece di percorrere il naviglio della Martesana, dal centro verso fuori città, si avrà la possibilità di ammirare le stratificazioni architettonico-temporali della storia cittadina tra ville liberty e spazi dell’epoca industriale. Fun fact: secondo un primo progetto, sempre di epoca napoleonica, la cerchia dei navigli (che all’epoca erano molti di più rispetto a quelli rimasti oggi in superficie) si sarebbe dovuta collegare al Foro Bonaparte, limitare esterno di quella che era stata pensata come la piazza principale della città.
Una delle conseguenze apprezzabili dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia è che anche i ristoranti, i bar, le enoteche milanesi possono avvalersi dell’uso dei dehors. Quello che nell’Italia pre-Covid era una sorta di tabù, ovvero l’invasione di strade, marciapiedi e piazze da parte dei tavolini dei locali, ora è crollato. Ora quindi Milano può sperare di fare concorrenza a Parigi anche da questo punto di vista: portare in strada la convivialità è uno delle espressioni più caratteristiche della movida francese e, speriamo, possa diventarlo anche di quella milanese.