Il decennio durante il quale la televisione multicanale, via cavo o satellitare, e le piattaforme streaming hanno combattuto una guerra feroce per conquistare il consumatore americano ha stravolto le abitudini audiovisive, determinando l’affermazione di un nuovo modo di organizzare l’offerta e di fruirne che, alla fine, ha assegnato la vittoria alle piattaforme.
La rapidità con la quale il consumatore americano si è convertito alla fruizione on demand, abbandonando la consolidata decennale abitudine a fruire di un palinsesto, è stata innanzitutto la risposta all’opportunità, offerta dalla tecnologia digitale, di controllare il tempo del consumo, non più inquadrato nel flusso governato da un’emittente, e anche di conquistare, in senso più generale, la libertà di decidere il proprio percorso di fruizione, scegliendo all’interno di un’offerta differenziata.
Come si è vede, quello descritto è lo stesso bisogno di differenziare e personalizzare il consumo audiovisivo che, due decenni prima, aveva determinato la rivoluzione creativa e la diversificazione produttiva della tv via cavo e che, negli stessi anni, aveva portato al boom prima dei videoregistratori e poi del Dvr (digital video recording).
Va sottolineato ancora una volta: il bisogno di indagare e costruire identità culturali differenziate e valorizzarne l’autonoma e soggettiva ricerca di esperienze mediali, che caratterizza la trasformazione della cultura pop dall’ultima parte del Novecento in poi, ha dapprima fatto esplodere le limitazioni della televisione generalista e costretto a sperimentare un nuovo tipo di prodotto televisivo, poi, ha dato a questo prodotto, grazie al video on demand delle piattaforme streaming, un modo di fruizione coerente con la natura del prodotto stesso. Anche nel sistema mediale si passa dalla cultura di massa del Novecento industriale alle reti sociali e alla cultura della soggettività proprie del Ventunesimo secolo.
Il successo dello S-VOD nel mercato audiovisivo statunitense negli anni Dieci ha rappresentato la dimostrazione pratica del vantaggio competitivo delle piattaforme in quanto modello di organizzazione del mercato e di rapporto con il consumatore; vantaggio che si riassume in tre elementi: la dematerializzazione delle transazioni in uno spazio regolato e virtuale, le economie di rete e la datificazione.
Una piattaforma di video on demand è lo spazio digitale che consente all’utente innanzitutto l’acquisizione, con l’assistenza della piattaforma stessa, di informazioni sui diversi elementi che costituiscono l’offerta, che a sua volta utilizza i dati del consumo passato per profilare il consumatore e proporgli possibili scelte di fruizione. L’utente può così elaborare una decisione di consumo sulla base delle informazioni acquisite e, infine, concludere la transazione – il tutto con costi operativi irrisori e decrescenti.
Poiché l’oggetto della transazione è un bene immateriale (un flusso di bit) e non rival (significa che l’utilizzo da parte di un consumatore non ne impedisce la fruizione da parte di n altri utenti), il costo marginale di una fruizione aggiuntiva è assimilabile a zero, fatto che crea un certo imbarazzo teorico e pratico nel fissare un prezzo per la singola transazione. Lo S-VOD aggira il problema, perché fa pagare al consumatore non la visione del singolo film o della singola serie ma l’accesso alla piattaforma.
Il modello di business che si è rivelato vincente, infatti, non è quello sperimentato nei primi anni del video on demand, che va sotto la denominazione di T-VOD (ossia transactional video on demand), nel quale l’utente deve pagare un corrispettivo per ogni prodotto acquistato. Lo S-VOD ha vinto perché, nel momento in cui supera la diffi-coltà a dare un prezzo a un singolo atto di consumo il cui costo marginale è zero, offre al consumatore la sensazione di libertà derivante dal poter scegliere e sbagliare senza penalizzazioni, accedendo a un insieme di contenuti che è percepito quasi come illimitato.
La libertà è quella di consumare senza vincoli e senza limiti: la bulimia di esperienze fictional, di universi narrativi e di immagini che ne deriva è l’atto fondante di un nuovo tipo di consumatore mediale. Il binge watching, ossia la pratica di divorare film o episodi di una serie uno dopo l’altro, fino allo sfinimento fisico o alla noia depressiva, è diventato con le piattaforme streaming dapprima esperienza trasgressiva poi, con rapidità sconcertante, addomesticato costume di massa dell’utente mainstream.
Nella prima metà degli anni Dieci, il binge watching era ancora un’esperienza minoritaria, segno di discontinuità generazionale e di eccitazione per la scoperta di un’inaspettata libertà. In pochi anni, è diventato un’abitudine di consumo mediale anche per i più anziani baby boomers. A riprova della potenza delle piattaforme nella creazione del loro consumatore.
Le piattaforme S-VOD hanno infatti incoraggiato questa pratica, proponendo allo spettatore tutti gli episodi di una serie allo stesso momento – suprema liberazione dalla tirannia temporale del palinsesto e, dunque, segno concreto e decisivo di rottura del vecchio modello di televisione, inteso come flusso eterodiretto da un’intelligenza editoriale. L’esplorazione dei propri gusti torna apparentemente in mano al fruitore del servizio, anche se in realtà i meccanismi di raccomandazione, fondati sulla raccolta di dati di consumo e su un algoritmo che li interpreta, conoscono il consumatore meglio del consumatore stesso.
Lo S-VOD è dunque il modello di business più efficiente per dare un prezzo ai contenuti digitali e massimizzare il valore per il consumatore. D’altra parte è anche la modalità più efficace per ottimizzare l’estrazione di valore da parte della piattaforma, perché la formula dell’abbonamento, dando al fruitore la sensazione di un consumo potenzialmente illimitato e un più che convincente rapporto costo-beneficio, espande il mercato e il numero di abbonati, migliorando in tal modo a ogni nuova sottoscrizione l’efficacia della valorizzazione dei contenuti.
Dato che l’investimento per la produzione di un film o di una serie originali, di cui la piattaforma idealmente detiene la totalità dei diritti, rappresenta un costo fisso, l’ampliamento del bacino di abbonati e potenziali fruitori di quel contenuto rappresenta una riduzione del costo medio del prodotto e un incremento dei margini.
Le piattaforme streaming sfruttano le economie di rete anche in modo indiretto, perché sono servizi Ott (over the top), che non possiedono una propria infrastruttura di rete, ma utilizzano l’Internet pubblico. Gli investimenti infrastrutturali sono effettuati dalle società di telecomunicazioni e dai service provider, ma il valore prodotto dall’estensione della rete e dal potenziale di connettività che ne deriva è in larga parte concentrato nei servizi che, grazie a questa estensione, aumentano la propria utilità per i consumatori. La connessione alla rete Internet di n device – pc, smartphone, tablet, smart tv e ogni altro apparato con protocollo IP – rappresenta un valore del quale il servizio Ott può appropriarsi con zero investimenti.
Nel confronto competitivo con la distribuzione via cavo, il vantaggio è dato dall’inesistenza (almeno sul piano teorico) di limiti al numero di utenti raggiungibili, a fronte del vincolo del fornitore di servizi pay via cavo o del fornitore di servizi IPTV, determinato dalla dimensione della rete proprietaria. Questo vantaggio competitivo degli Ott diviene effettivo nel momento in cui la qualità media del servizio offerto dalla rete dell’Internet pubblico supera una soglia di accettabilità da parte dell’utente. Questa soglia può essere avvicinata da investimenti tecnologici dell’Ott a integrazione della rete Internet con proprie infrastrutture di content delivery network (Cdn), che stabilizzano e aumentano la qualità media del servizio. Le principali piattaforme investono perciò in queste tecnologie, che garantiscono una user experience soddisfacente.
Al di là dei costi della Cdn, comunque, nel modello di business degli Ott gli investimenti infrastrutturali sono a carico delle società di telecomunicazioni e dei service provider, che hanno un rapporto commerciale diretto con l’utente. Di conseguenza, mentre la pay-tv fa pagare al consumatore, incluso nel prezzo del servizio, il costo degli investimenti e della gestione della rete di distribuzione, gli Ott scaricano questo costo sul consumatore, che avrà l’onere di corrispondere il prezzo della connessione a un Internet service provider. Questo significa che gli Ott hanno un vantaggio competitivo rispetto alla pay-tv anche in termini di prezzo del servizio.
Non è però solo un trasferimento di costi all’utente, perché in questo schema si determina un effettivo aumento dell’efficienza del sistema: la connessione Internet non è funzionale solo a una specifica piattaforma ma a una vasta gamma di servizi digitali – dalla posta elettronica ai motori di ricerca, dall’e-commerce ai social fino ai videogiochi online – che il consumatore organizza a proprio vantaggio e secondo criteri di economicità; mentre l’infrastruttura di rete attraverso la quale è offerta la pay-tv rischia di essere sottoutilizzata se non è sfruttata dal gestore della rete per l’erogazione in pacchetti di servizi proprietari di telefonia, Internet e audiovisivo.
Lo S-VOD, come ogni piattaforma che ottimizza le transazioni all’interno del proprio spazio digitale, si alimenta dei dati che estrae dalle transazioni stesse, per facilitare le scelte relative al prodotto tramite raccomandazioni personalizzate. Fin da House of Cards, Netflix utilizza i dati sul consumo dei suoi utenti per orientare anche le decisioni produttive, analizzando i trend di fruizione per cogliere le potenziali aree di maggior interesse in termini di generi, storie ed emozioni adatte ai diversi cluster di consumatori: l’analisi dei dati serve come supporto alla creazione del pubblico ottimale tramite la progettazione dell’offerta, lavorando quindi sull’esplorazione delle possibili evoluzioni del gusto e dei bisogni. Diventa perciò difficile distinguere nelle decisioni editoriali e produttive tra creatività ed elaborazione dei big data da parte dell’intelligenza artificiale. Il successo va a chi dispone non solo dei migliori creativi ma anche del più ampio volume di dati e degli strumenti analitici migliori.
da “Le piattaforme mondo. L’egemonia dei nuovi signori dei media”, di Luca Balestrieri, Luiss University Press, 2021, pagine 200, euro 17