«L’unico viaggio impossibile è quello che decidi di non iniziare». Fatta eccezione per il periodo di pandemia che stiamo vivendo, se si vuole intendere la frase nel suo senso più letterale, non c’è verità più grande di questa: e lo sapeva bene la travel blogger Fraintesa, al secolo Francesca Barbieri, scomparsa prematuramente a causa di una terribile malattia, e a cui Milano non solo ha dedicato quest’anno un Ambrogino d’oro alla memoria, ma anche un murales in zona via Farini.
L’opera della street artist SteReal raffigura Francesca che guarda lontano, con il mondo alle spalle, una visione del viaggio che accompagna il suo pensiero con cui abbiamo cominciato. Un meritato ricordo (emozionante per i tanti che conoscevano Fraintesa) che ora chiunque può notare all’uscita della fermata della metro lilla Monumentale.
Vuole essere anche questo, spesso, lo scopo della street art. Un ricordo, un omaggio, un meritevole tributo, almeno così accade tra le vie di Milano. “20 Years of Freedom and Democracy” è un lavoro a più mani che celebra Nelson Mandela in occasione dei 20 anni di libertà in Sudafrica e che dal 2014 impreziosisce i muri esterni della Fabbrica del Vapore. L’opera in questo caso è un vero tripudio: il ritratto di Mandela è del duo Orticanoodles, la figura della madre è di Nais, i popoli della terra sono di Pao (conoscerete i suoi coloratissimi pinguini pop per le vie dei Navigli e non solo) e la citazione di una sua celebre frase è del noto poeta di strada Ivan (quello di “Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo” sul muro della Darsena).
Viene in mente Jannacci, che «purtava i scarp de tennis», come dipinge l’artista cubano Denis Ascanio in via Ardigò, zona Forlanini, o raffigurato nei muri dell’istituto Gaetano Pini. Oppure, ancora, nel “suo” quartiere dell’Ortica, dove appare sui muri delle strade insieme ad altri grandi di Milano, Dario Fo, Nanni Svampa, naturalmente Alda Merini, celebrata anche nel quartiere periferico Gallaratese. Un omaggio all’ingresso della scuola che porta il nome della poetessa dei Navigli e che fa parte del progetto di rigenerazione urbana voluto da Project for People Odv.
Perché i murales a Milano hanno anche il chiaro messaggio di riscatto per chi è nato ai bordi di periferia. Ci sono i “Fiori a Quarto Oggiaro”, a tale proposito, ovvero 300 metri quadri di superficie, 9 piani di altezza, 100 matrici stencil, 50 litri di colore, una delle opere di arte pubblica più grandi sotto il cielo della Madonnina che vuole essere un simbolo di trasformazione urbana e di riscatto sociale (siamo sulla facciata della palazzina al civico 1 di via Cesare Pascarella). C’è il lettering d’autore di Pablo Pinxit Compagnucci e Lillo Loris in piazzale Corvetto, sotto il cavalcavia, parte del progetto diffuso “Un nome in ogni quartiere” che, con i murales sparsi per la metropoli, vuole riconoscere un senso di appartenenza tra gli abitanti della zona e salutare chi passa da quelle parti. Ci sono, ancora, tra i tanti, gli innamorati di via dei Gigli, Lorenteggio, murales realizzato da Napal, figura storica del movimento del writing italiano (le sue opere sono esposte alla Biennale di Venezia o al Macro di Roma).
Sono colorati, nascondono (ma non troppo) un significato di emancipazione, di lotta, di speranza. Richiamano alla memoria volti, luoghi, idee da non dimenticare. I murales sono vere e proprie espressioni artistiche degne di un’esposizione museale ma che hanno un senso quando diventano parte dell’ambiente, magari migliorandolo persino. Così accade a moltissimi degli street artist che vogliono lasciare un messaggio su questa terra e le cui opere finiscono per dare un senso anche ai cosiddetti “luoghi simbolo”. Nello specifico, per festeggiare i 170 anni delle Distillerie Fratelli Branca, la storica azienda milanese di distillati nel 2015 ha fatto decorare la Ciminiera Branca (via Resegone 2, impossibile non notarla dalla circonvallazione), un fumaiolo alto 55 metri diventato la tela di un’opera con decori che richiamano l’alchimia delle erbe del Fernet Branca. Anche in questo caso la firma è dei due artisti Orticanoodles e durante la realizzazione hanno coinvolto alcuni dipendenti delle distillerie. Tutti insieme hanno dipinto così quella che oggi è riconosciuta come l’opera di street art più alta d’Italia e d’Europa.
Rappresentano, ancora, una vera e propria attrazione – c’è chi ha realizzato e messo online una mappa in costante aggiornamento dell’arte di strada di Milano, questo il link, semplicemente spinto dall’amore nei confronti di queste espressioni. Permettono, i murales, di scoprire angoli nascosti di una Milano che non ti aspetti. In Via Morosini, una traversa di Corso 22 Marzo, c’è una piccola piazzetta riconosciuta come il Giardino delle Culture. Nelle due pareti cieche della piazzetta, Milo, alias Francesco Camillo Giorgino, ha riprodotto due quadri giganteschi in cui due protagonisti sono legati alla città, ai suoi palazzi, a due grandi cuori rossi (gli unici elementi a colori dell’opera) e ad altri particolari che ricordano i capolavori degli Os Gemeos, writer brasiliani noti e apprezzati per le loro enormi facciate coloratissime.
Molto più che semplici disegni sui muri, dunque, ma opere a cui anche gli abitanti del quartiere si affezionano fino a riconoscerli come stabili affetti famigliari. Fino a non volerli vedere scomparire. L’opera di Zed1, “CuciMilano”, rappresenta la multiculturalità e la rinascita del quartiere di cui è il simbolo – siamo in via Benaco angolo via Brembo, a un minuto a piedi da Fondazione Prada, vicino all’ex scalo ferroviario di Porta Romana. La donnina dipinta sul muro ha tra le mani dei rocchetti molto particolari (sui fili si leggono etichette di Campari, Spumante Brut, Vermut Rosso), sta cucendo bandiere di ogni parte del mondo e nel 2019 è stata l’oggetto di un acceso dibattito perché ha rischiato di essere cancellata per lasciare il suo spazio a un’operazione pubblicitaria.
Oggi è ancora lì che cuce grazie a una vera e propria sommossa degli abitanti del quartiere che tra proteste, sit in, tam tam social e mediatici, sono riusciti ad avere la meglio. Diversamente è andata, purtroppo, per gli storici murales del Leoncavallo, abbattuti qualche mese fa all’improvviso da una ruspa. «Anni e anni, dal 1994, di colori e una sola mattina per tirarli giù. Questa è la verità che si cela dietro parole come riqualificazione e gentrificazione. Il Leoncavallo si trova esattamente tra Nolo, la Maggiolina e Bicocca: da una parte rimbombano continui slogan di cultura, riqualificazione, decoro, e tanti “evviva la gentrificazione!”; dall’altra costruiscono palazzi di extralusso, futuri appartamenti prevalentemente vuoti su cui si fa profitto»: questa la denuncia su Facebook del noto spazio autogestito. Il nuovo che avanza, generalmente fatto quasi completamente di grosse vetrate, che nemmeno regala un nuovo muro sul quale, volendo, ci sarebbe la possibilità di ricominciare da zero.