Tornare a gallaCosì l’alleanza pubblico-privato fu decisiva per recuperare la Costa Concordia

Come racconta l’ex Capo della Protezione Civile nel suo libro (pubblicato da Baldini+Castoldi), la collaborazione con la società non fu priva di disaccordi. Ma proprio questo, sostiene, dimostra che un dialogo serio e costruttivo e una partnership simile possono portare a risultati importanti per l’interesse della collettività

Alessandro La Rocca/LaPresse

Tutto si può dire, tranne che il rapporto di necessaria collaborazione con Costa Crociere sia partito in discesa.

La notte della tragedia fu difficilissimo parlare con qualcuno che non fosse un operatore del numero verde messo a disposizione per i passeggeri e i loro familiari.

A cinque giorni dalla mia nomina a commissario delegato fummo costretti a inviare una diffida alla società poiché non aveva fornito, nei tempi stabiliti, l’atteso piano di smaltimento dei rifiuti della nave.

Con il passare del tempo e l’esigenza di lavorare insieme con obiettivi comuni – rimuovere la nave quanto prima, farlo nel massimo rispetto ambientale e senza arrecare ulteriori danni alla comunità gigliese – ci assestammo, ognuno rispetto ai propri compiti e responsabilità, e iniziammo a interagire sentendoci parte della stessa squadra. L’imperativo era rimediare per quanto possibile, perché le vittime sarebbero purtroppo rimaste, a un gravissimo incidente.

Lo dissi e lo scrissi in diverse occasioni ai presidenti del Consiglio pro tempore e ai ministri dei governi che negli anni si succedettero: una volta rodata, la collaborazione da parte di Costa Crociere e di tutte le aziende che per suo conto lavorarono al progetto nel corso del tempo, non venne mai meno e fu sempre molto leale.

La società armatrice ha rispettato tutte le prescrizioni date e non si è mai sottratta alla copertura dei costi per la gestione dell’emergenza, con un impegno economico che è cresciuto costantemente nel tempo, superando il miliardo di dollari. Un impegno doveroso, si dirà. Vero, assolutamente, ma non scontato. E fino alla fine, non ha praticamente mai fatto pesare sul pubblico il complesso rapporto che aveva con le società di assicurazione e riassicurazione.

Il passaggio più delicato sotto questo aspetto credo sia stato quello legato all’individuazione del progetto per portare via dal Giglio la Concordia una volta rimessa in galleggiamento e, successivamente, per smantellarla.

Nei contratti di adesione ai club assicurativi in questo settore esisteva (non saprei se esista ancora oggi e, nel caso, in quale formula) una clausola che prevedeva, in capo al consiglio di amministrazione dei club, una valutazione discrezionale nel disporre l’attivazione degli interventi garantiti a favore di uno dei soci sottoscrittori qualora gli stessi avessero arrecato un grave pregiudizio agli interessi dei medesimi club.

Detto in altri termini: Costa Crociere – e con lei gli assicuratori e i riassicuratori – avrebbe messo in campo tutto il possibile e il consentito per rimuovere la nave dal Giglio nel minor tempo possibile, senza sezionamenti, seguendo tutte le prescrizioni che avevamo dato e avremmo continuato a dare per la tutela ambientale, ma non avrebbe potuto coprire costi di operazioni non connesse all’emergenza o condotte in modo, diciamo così, imprudente.

Fu proprio sul punto di come sarebbe stata rimossa la Concordia dal Giglio che partimmo, struttura commissariale e privato, con il massimo della distanza. Ma fu proprio intorno a questo punto che, credo, riuscimmo a dimostrare a cosa può infine portare un dialogo serio e costruttivo tra le parti, cosa di utile per l’interesse della collettività può garantire una sana partnership pubblico-privata.

Il privato voleva rispettare le indicazioni del pubblico e trovare la soluzione migliore che garantisse la riuscita dell’opera, senza dover pagare oltre il necessario per eseguire il miglior lavoro possibile; noi come pubblico avevamo interesse a che la nave venisse rimossa intera, che il tragitto fosse il minore possibile e che la destinazione fosse, preferibilmente, un porto italiano adeguato e attrezzato.

Come detto, dopo due anni nel corso dei quali la questione del porto di destinazione era sempre stata al centro del dibattito senza approdare in alcun luogo, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 16 maggio 2014 (due mesi prima, circa, del rigalleggiamento), aveva stabilito, con una delibera, il percorso che si sarebbe dovuto seguire per esaminare e approvare il progetto che Costa Crociere avrebbe dovuto presentare per il «trasferimento del relitto presso un porto idoneo individuato per il successivo smaltimento», prevedendo il solito sistema di conferenze dei servizi convocate all’esito di un’istruttoria tecnico-valutativa dell’osservatorio di monitoraggio.

Seguendo, quindi, il percorso tracciato, il 19 maggio 2014 si svolse la riunione tra i membri dell’osservatorio, personale della struttura commissariale, rappresentanti di Costa, del club assicurativo, della London Offshore Consultants e della International Tanker Owners Pollution Federation Limited per avviare l’analisi tecnica. Sul tavolo, in quel momento, nonostante la procedura di selezione portata avanti dalla Loc, c’era una sola proposta presentata ufficialmente da Costa alle istituzioni, ovvero la possibilità di utilizzare la motonave Vanguard per il trasporto della Concordia una volta rigalleggiata. Con il detto-non detto secondo il quale la destinazione, in questo caso, sarebbe stata con tutta probabilità la Turchia.

Quella riunione certificò i molti dubbi che avevano i membri dell’osservatorio e che misi nero su bianco in una lettera del 22 maggio indirizzata all’allora amministratore delegato di Costa, Michael Thamm, che nel frattempo aveva sostituito Pier Luigi Foschi.

Scrissi che la documentazione e gli incontri con i tecnici non avevano consentito di «superare e risolvere le diverse criticità tecniche, ambientali e normative sollevate dalle amministrazioni coinvolte» e che tutto ciò rendeva «il mezzo proposto non utilizzabile».

C’era, poi, un chiaro contrasto tra la data indicata nel cronoprogramma stilato dal consorzio Titan-Micoperi riguardante il completamento del rigalleggiamento (19 luglio) e la finestra temporale all’interno della quale la motonave Vanguard sarebbe stata a disposizione della società per l’eventuale trasporto della Concordia (1-30 settembre).

Uno scarto temporale troppo grande. Per non essere frainteso e per evitare che si potesse cercare artatamente di far coincidere i due momenti, scrissi che si diffidava «da qualunque intervento dilatorio nelle lavorazioni» che si stavano svolgendo nel cantiere a Isola del Giglio. Aggiunsi, quindi, che Costa non avrebbe più potuto tenere in considerazione l’opzione di utilizzare il Vanguard per trasferire la Concordia e invitai la società armatrice a presentare, entro il successivo 25 maggio, un nuovo progetto per il trasferimento presso un porto idoneo individuato per il successivo smaltimento, sottolineando che, qualora il progetto presentato non avesse previsto quale luogo idoneo per lo smaltimento nessuno dei porti più vicini a Isola del Giglio (Piombino, indicato dalla delibera del Consiglio dei ministri dell’11 marzo 2013, e Civitavecchia) avrebbero dovuto motivarne adeguatamente l’esclusione.

Passò un giorno dall’invio della lettera e arrivò la risposta di Thamm: scrisse che aveva preso atto delle indicazioni e che mi confermava che la società avrebbe presentato, nei tempi richiesti, le proprie deduzioni in merito alla mancata idoneità dei siti di Piombino e Civitavecchia, unitamente al progetto di trasferimento della Concordia presso il porto di Genova.

L’amministratore delegato non aveva fatto altro che ufficializzare il lavoro che, per mesi, insieme ai suoi uomini – su tutti Beniamino Maltese e Franco Porcellacchia – avevamo portato avanti, nell’interesse comune: le amministrazioni competenti italiane non avrebbero mai potuto autorizzare l’uso del Vanguard; Costa non avrebbe mai potuto pagare i lavori per adeguare un porto, quello di Piombino, per accogliere la Concordia nel momento in cui, in Italia, con un rischio ambientale paragonabile, era disponibile un bacino già pronto.

Seguirono, quindi, le conferenze dei servizi, tutti i pareri favorevoli per l’opzione Genova tranne quelli di regione Toscana e provincia di Grosseto, perché era «mancata la rivalutazione del porto di Piombino quale porto di destinazione», la decisione del Consiglio dei ministri e il completamento dell’opera.

Ha operato una squadra, quella formata dal pubblico-privato, fatta di persone, ognuna con una propria storia personale che, credo, sia stata, in piccola o grande parte, influenzata dalla Storia comune che ci siamo trovati, per due anni e mezzo, ad affrontare. Donne e uomini delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile e del dipartimento che quotidianamente lavoravano e si confrontavano con le donne e gli uomini delle decine di aziende, a partire da Costa Crociere, che si sono lasciati affiancare dal pubblico e con il pubblico, lealmente, hanno lavorato.

da “Naufragi e nuovi approdi. Dal disastro della nave Concordia al futuro della Protezione civile”, di Franco Gabrielli, con Francesca Maffini, Baldini + Castoldi, 2022, pagine 176, euro 18

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