Nel corso del dibattito pubblico sulla riforma fiscale si è ipotizzato di ridurre il carico impositivo sui giovani lavoratori tramite un taglio dell’Irpef. Tuttavia, tagliare l’Irpef ai giovani solo sulla base di un criterio anagrafico sarebbe una misura regressiva e probabilmente poco utile, siccome l’Irpef è pagata oggi dai giovani con un reddito relativamente più alto rispetto ai coetanei, grazie alla progressività data da aliquote, detrazioni e deduzioni.
Nel nuovo report del think-tank Tortuga “Tagliare le tasse ai giovani: una buona idea?” sosteniamo invece che una proposta alternativa e più convincente per migliorare davvero le condizioni di lavoro e di vita dei giovani in Italia, sia quella di un taglio strutturale dei contributi previdenziali degli under-30.
L’idea nasce in primo luogo dal fatto che i contributi in Italia hanno una struttura simile a quella della flat tax, con un’aliquota uguale per tutti. Ciò consente di agire a vantaggio anche dei redditi più bassi, differentemente da un taglio delle imposte, le quali sono già pari a zero per i lavoratori meno ricchi.
In secondo luogo, un taglio dei contributi sembra più coerente con un obiettivo di policy occupazionale, volto a ridurre l’elevato tasso di disoccupazione giovanile in Italia, differentemente da un taglio delle imposte, che sembra rispondere maggiormente ad un obiettivo redistributivo generazionale, questione meno urgente in termini relativi.
Infine, importanti ricerche economiche su casi simili, dimostrano che un taglio strutturale dei contributi è una buona via per aumentare l’occupazione dei giovani. I due casi più emblematici sono quelli della Svezia e dell’Ungheria. Nel primo, il governo ha ridotto a meno della metà i contributi per tutti gli under26 nel 2007-2009: ciò ha comportato un aumento dell’occupazione del 2-3% nella fascia d’età interessata. Nel secondo caso, l’impatto di una misura simile nel 2013, è stato quello di incrementare il tasso di occupazione giovanile di 2 punti percentuali.
Una misura diversa dal passato
Certo, l’Italia non è nuova all’utilizzo di sgravi contributivi per sostenere le condizioni occupazionali dei giovani. Ad esempio, la legge di bilancio 2018 ha introdotto una riduzione dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati del 50 per cento per 36 mesi, fino a un massimo di 3mila euro su base annua, con riferimento alle assunzioni con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato di soggetti aventi meno di 35 anni di età.
La principale novità della norma è aver esteso uno sgravio più generoso, già esistente nel 2017, per gli under-30 anche a individui al di sotto dei 35 anni. Secondo una recente analisi preliminare pubblicata su LaVoce.info, nel 2018 i posti di lavoro creati con questo incentivo sono stati circa 220 mila, con un costo medio per ciascun incentivo attorno a mille euro. Il costo complessivo della misura è quindi stato di 234 milioni di euro.
La legge di bilancio 2021 ha poi esteso nel tempo e nella generosità la stessa misura per il biennio 2021-2022. Questi interventi, però, sono una forma molto precisa di tagli dei contributi, ovvero incentivi all’assunzione. Si rivolgono a una platea specifica di lavoratori, cioè quelli che vengono assunti, che spesso hanno (come nel caso italiano) ulteriori vincoli (assunzione a tempo indeterminato e non aver mai avuto un contratto a tempo indeterminato in precedenza su tutte). Queste caratteristiche limitano l’impatto della misura, sia in termini occupazionali che in termini redistributivi. Inoltre, non avendo natura permanente, sono di anno in anno costrette all’incertezza dovute alla possibilità di non rinnovo.
Un taglio strutturale dei contributi previdenziali
Alla luce della nostra analisi, la proposta del think-tank Tortuga è quella di ridurre in maniera strutturale i contributi previdenziali dovuti dai lavoratori under-30. Diversamente rispetto alle precedenti misure, il taglio non dovrebbe essere limitato alle nuove assunzioni o a specifiche tipologie contrattuali o ad uno specifico periodo di tempo dopo l’inizio del rapporto del lavoro, ma si tratterebbe di una riduzione complessiva e permanente del costo del lavoro di tutti gli individui impiegati sotto i 30 anni.
Questo taglio ovviamente non deve incidere sull’accumulo di contributi da parte dei lavoratori in vista della pensione: in linea con le misure già adottate, i contributi non pagati dovrebbero essere fiscalizzati, ovvero portati a carico della comunità nazionale nel suo insieme e pagati dal sistema fiscale nel suo complesso.
Nella tabella sotto ipotizziamo tre diversi scenari (a seconda che il taglio dei contributi incida su quelli a carico del lavoratore o carico del datore di lavoro) proponendo una prima quantificazione dei costi, per cogliere l’ordine di grandezza delle risorse necessarie.
Scenario 1 |
Scenario 2 |
Scenario 3 |
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Misura |
Azzeramento dei contributi previdenziali a carico del lavoratore per gli under25 e dimezzamento per i 25-30enni |
Azzeramento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per gli under25 e dimezzamento per i 25-30enni |
Dimezzamento dei contributi previdenziali per gli under30, sia dei contributi a carico del lavoratore che del datore di lavoro |
Costo |
2,1 miliardi |
8,1 miliardi |
7,4 miliardi |
Fonte: elaborazione Tortuga su dati Istat
Maggiori dettagli su questa proposta sono riportati nel report completo scaricabile a questo link.
È importante notare come una simile soluzione potrebbe risultare un complemento efficace ad una revisione in senso restrittivo delle normative contrattuali: ridurre lo spazio di utilizzo di forme contrattuali precarie (tirocini su tutti) come forma di lavoro a basso costo, ma allo stesso tempo abbassare il costo del lavoro per incentivare l’occupazione tramite forme contrattuali più canoniche e stabili.
I dettagli della misura sono certamente da affinare, anche con un opportuno confronto politico e con le parti sociali, ma il cuore della proposta rimane semplice: un taglio strutturale e generalizzato dei contributi pagati da tutti i lavoratori sotto i 30 anni.
Ha collaborato all’articolo Francesco Armillei – Assistente di ricerca presso la London School of Economics. È senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo