#OutInChurchIn Germania c’è stato il più grande coming out nella storia della chiesa cattolica

Un evento senza precedenti: 125 tra sacerdoti, suore, religiosi, seminaristi, operatori e operatrici pastorali impegnati a diverso titolo nelle 27 diocesi del paese hanno dichiarato il loro orientamento sessuale o identità di genere

AP/Lapresse

A pochi giorni dalla pubblicazione del report sugli abusi minorili da parte del clero dell’archidiocesi di Monaco e Frisinga che continua ad agitare gli animi – soprattutto per il j’accuse mosso all’allora cardinale Joseph Ratzinger – il mondo ecclesiale tedesco è nuovamente al centro del dibattito internazionale. Ma questa volta per tutt’altro motivo.

L’altro ieri, infatti, è stata ufficialmente lanciata la campagna “#OutInChurch – Per una Chiesa senza paura”, con la quale 125 persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, intersex, queer, non binarie, impegnate a diverso titolo nelle 27 diocesi di Germania, hanno dichiarato il loro orientamento sessuale o identità di genere.

Si tratta di sacerdoti, religiosi, seminaristi, consacrate, insegnanti, operatori e operatrici pastorali, che prestano servizio nella cura delle parrocchie, nell’amministrazione di enti ecclesiastici, negli ambiti della catechesi, della musica liturgica, della formazione scolastica o universitaria nonché in attività socio-caritative e in strutture medico-sanitarie.

Un coming out di massa e senza precedenti nella Chiesa cattolica, esemplato su quello che 185 attrici e attori tedeschi (primo caso assoluto nella storia) hanno fatto, il 5 febbraio 2021, dalle colonne del magazine del quotidiano bavarese Süddeutsche Zeitung al grido di #ActOut.

Un modello, questo, preso esplicitamente a riferimento da Jens Ehebrecht-Zumsande, teologo dell’archidiocesi d’Amburgo e ideatore dell’iniziativa, che negli scorsi mesi ha coinvolto oltre 130 persone in riunioni riservate via web e insieme pianificato, sviluppato, realizzato la campagna con la riformulazione dell’hashtag e la redazione di un proprio manifesto. Nel testo programmatico si rileva innanzitutto la duplice motivazione sottesa all’iniziativa: solidarietà «con tutte le persone che sono esposte a stereotipi ed emarginazione attraverso sessismo, rifiuto, antisemitismo, razzismo, altre forme discriminatorie» e attuazione del liberante «messaggio evangelico a beneficio di una Chiesa che, avente al suo centro la discriminazione e l’esclusione delle minoranze sessuali e di genere deve accettare che le si chieda se, nel farlo, può fare riferimento a Gesù Cristo».

Desiderosi di portare all’interno della cattolicità le «proprie esperienze di vita e i propri carismi su un piano di parità e condividerli con tutte le altre persone cristiane e non cristiane» e convinti che «un nuovo inizio» dipenda dalle «guide dell’istituzione ecclesiastica» chiamate ad assumersi «la responsabilità delle innumerevoli esperienze sfortunate» delle persone Lgbt+ credenti, ad affrontare  «le colpe storiche della Chiesa» e a dare seguito alla presente richiesta, i soggetti firmatari concludono: «La lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione non può essere lasciata solo nelle mani delle minoranze emarginate. Riguarda tutti. Con questo Manifesto ci battiamo per una libera convivenza e cooperazione nella nostra Chiesa, basata sul riconoscimento della dignità di tutti e tutte. Invitiamo quindi tutti, specialmente coloro che hanno posizioni di responsabilità e ruoli direttivi nella Chiesa, a sostenerlo».

A tal fine gli stessi hanno avviato una raccolta firme on line e formulato sette domande a chi esercita ruoli di governo ecclesiale: 1) la possibilità di «vivere e lavorare nella Chiesa senza paura», 2) l’accesso a ogni tipo di lavoro e vocazione senza alcun paletto discriminatorio, 3) la conseguente riforma delle normative sull’impiego con la cancellazione di clausole o minacce di licenziamento a chi fa coming out, 4) la revisione e riformulazione delle dichiarazioni magisteriali «anti-umanitarie» in tema di diritti delle persone Lgbt+, 5) la revoca del divieto di benedire o di ammettere ai sacramenti le coppie di persone dello stesso sesso, 6) la lotta a ogni forma di discriminazione e la promozione di una cultura della differenza, 7) l’assunzione di responsabilità da parte dell’intero episcopato per le sofferenze causate nei secoli alle persone Lgbt+ e l’avvio d’un processo di riconciliazione e riflessione sulla storia di tali colpe istituzionali.

Divenuta virale sui social nel giro di poche ore, la campagna #OutInChurch – für eine Kirche ohne Angst, che sarà raccontata nell’omonima pubblicazione in uscita a maggio per i tipi Herder,  ha avuto una maggiore eco in Germania grazie al documentario Wie Gott uns schuf (Come Dio ci ha creati, ndr) che, girato dal regista Hajo Seppelt e incentrato sulle interviste a 100 persone del gruppo promotore, è stato trasmesso lunedì, in prima serata, su Das Erste, primo canale del gruppo radiotelevisivo pubblico ARD.

Di #OutInChurch così parla al nostro giornale don Burkhard Hose, sacerdote della diocesi di Würzburg e co-promotore del progetto: «Per me il coming out di massa è un simbolo di solidarietà con tutte le persone, che hanno ancora paura. Con quest’azione vogliamo quasi dimostrare e dire a ognuna di loro: Non sei sola». Anche se il vescovo Franz Jung sa da tempo della sua omosessualità, il presbitero teme pur sempre reazioni da parte del suo ordinario: «Potrebbe fare qualcosa contro di me. In ogni caso non ho paura».

Non nasconde la sua emozione a Linkiesta don Frank Kribber, sacerdote della diocesi di Osnabrück, per il quale «con il coming out di massa di 125 persone operanti nelle comunità ecclesiali e la grande risposta dei media i vescovi tedeschi non possono più ignorare la realtà dell’omosessualità nella Chiesa. È un problema nella Chiesa. Dietro a me e alle altre 124 persone ce ne sono molte di più, che non hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto. I vescovi devono svegliarsi una volta per tutte. Un tale coming out di massa dà inoltre sicurezza, sostegno e forza». Quindi aggiunge: «Ho detto pubblicamente per la prima volta di essere gay in questi giorni. Che sono un prete gay. Non ho un partner e non ho una relazione. Il mio celibato, d’altra parte, è sempre valido. Ma l’essere ora trasparente sulla mia sessualità mi consente di guardarmi allo specchio, di essere onesto e sincero con me stesso. Non devo più nascondermi».

Parole che, al pari di quelle delle altre persone promotrici della campagna, non lasciano indifferenti. Non meraviglia pertanto che proprio il vescovo di Osnabrück, Franz-Josef Bode, abbia espresso parole di plauso all’iniziativa, parlando di «passo coraggioso» e rilevando come tali testimonianze «richiedano un dibattito atteso da tempo.

La lealtà dei dipendenti della Chiesa è strettamente legata al loro modo di vivere secondo il diritto del lavoro. Nella progettazione sono possibili regolamenti individuali: questi sono attuati nella nostra diocesi con sensibilità e al meglio delle nostre capacità. Ma le soluzioni individuali creano sempre incertezze. È urgente trovare soluzioni collettive e condivise ovunque.

Questo è ciò su cui sta lavorando il processo di riforma del Cammino sinodale, dove tali richieste saranno trattate livello sistemico e discusse, la prossima settimana, alla terza Assemblea generale a Francoforte. In questo modo dovrebbe essere fattivamente promosso un miglioramento dell’attuale situazione più che insoddisfacente». Di necessario dibattito in seno al Sinodo biennale della Chiesa tedesca ha anche parlato l’arcivescovo d’Amburgo Stefan Heße, per il quale «una Chiesa che richiede di nascondersi per il proprio orientamento sessuale non è in linea con i sentimenti di Gesù. Siamo sempre chiamati all’autenticità e alla trasparenza davanti a Dio e ovviamente anche davanti agli altri! Non deve esserci alcuna paura di questo».

Ma le questioni sollevate da #OutInChurch – für eine Kirche ohne Angst interessano anche al di fuori dei confini teutonici. Non è un caso che si guardi con attenzione all’iniziativa anche in Italia, dove l’episcopato ha deciso di non trattare nel proprio Cammino sinodale il tema dei diritti delle persone Lgbt+ in quanto «particolare» ed estraneo a «quelli fondamentali che in questo momento attanagliano la Chiesa e l’umanità».

Per Paola Lazzarini, sociologa e presidente di Donne per la Chiesa, che a Linkiesta confessa di «aver provato grande gioia e gratitudine nel leggere il manifesto e guardare la carrellata di visi sorridenti sul sito della campagna», la Chiesa tedesca «ancora una volta apre la strada, come ha già fatto con l’esperienza delle donne di Maria 2.0 e soprattutto con il Cammino sinodale che sta vedendo coinvolti in egual misura chierici e laici. Ovviamente auspico una azione analoga in Italia».

Per la studiosa e femminista cattolica a essere fondamentali sono soprattutto «le parole poste in calce al manifesto: “La lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione non può essere lasciata solo nelle mani delle minoranze emarginate. Riguarda tutti”. I credenti cattolici (laici e preti) Lgbt+ devono sapere di non essere soli, devono sapere che siamo con loro e che quando vorranno dichiararsi pubblicamente noi saremo loro accanto, con la stessa gioia e gratitudine che oggi proviamo per l’iniziativa tedesca». 

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