Sono passati quasi trent’anni dal primo incontro tra italiani e yogurt. Per chi non viveva a Milano, quel vasetto bianco appariva come una stravaganza settentrionale da consumare durante la prima colazione, specialmente se si era a dieta o se si voleva dimagrire. Poi i vasetti si sono moltiplicati sugli scaffali del banco frigo e i nutrizionisti hanno iniziato a consigliare lo yogurt come snack o sostituto del pasto, purché abbinato a frutti o cereali da mettere all’interno. Guardando indietro, in quei vasetti e nelle nostre abitudini di consumo sono cambiate tante cose.
Una rivoluzione chiamata “desiderio”
Facendo un po’ di archeologia industriale, le difficoltà di penetrazione dello yogurt nel mercato italiano le racconta bene Paola Scandola, Direttore Marketing di Müller Italia. L’azienda bavarese nata nel 1896, ha mosso i primi passi nella molkerei (latteria) di Ludwig Müller. Siamo ad Aretsried, in Baviera. L’azienda è di piccole dimensioni e la produzione di latte, latticini e formaggi è destinata unicamente al mercato bavarese e nazionale. Nel 1971 Theo Müller, nipote di Ludwig, assume il comando della latteria e imprime alle attività una visione imprenditoriale di più ampio respiro, che lo porta ad aprire una sede a Verona. Intanto, lo yogurt Müller piace e diventa uno dei prodotti di punta dell’azienda.
Quando Müller arriva in Italia è il 1995. Il mercato dello yogurt è abbastanza statico e i toni della comunicazione seriosi, neutri ed essenziali proprio come la percezione del prodotto, vissuto come un alimento salubre e funzionale. La rivoluzione copernicana impressa da Müller è proprio quella: ha trasformato la percezione dello yogurt nel consumatore finale. Desiderio (di consumare qualcosa di cremoso, sano ma dal sapore goloso) è diventata la parola chiave, sintetizzata nel suo claim: «Fate l’amore con il sapore».
Oggi, secondo le rilevazioni annuali IRI terminate a febbraio 2021, il mercato italiano dello yogurt ha registrato valore di 1.4 miliardi di euro per un complessivo totale di 354 milioni di kg di prodotto. «Quando Müller ha fatto il suo ingresso in Italia – aggiunge Scandola – il valore del mercato dello yogurt era circa la metà di oggi. Il numero di famiglie che acquistavano yogurt era inferiore all’attuale, ed il consumo pro-capite era di circa 3.5 chili annui contro i circa 6.0 chili di oggi».
Lo yogurt perde lo zucchero
La principale evoluzione subita dallo yogurt negli anni riguarda la dolcezza. Ottenuto dalla fermentazione del latte operata da batteri appartenenti al genere Lactobacillus o Streptococcus, il gusto primigenio di questo alimento tende all’acido. Per questo, in un mondo che rifugge i sapori “spigolosi” e cerca conforto nella morbidezza e nella dolcezza, in origine l’industria lattiero-casearia ha preferito correggere lo yogurt con lo zucchero. Tanto zucchero. Ora, che conosciamo bene il significato di espressioni come “indice glicemico” e sappiamo quanto possa essere insidioso il diabete alimentare, siamo anche più consapevoli del dover rinunciare a un’eccessiva dolcezza. Anche il gusto si è evoluto in tal senso e, per questo, ricerchiamo sapori più autentici. Intendiamoci, lo zucchero c’è ancora, ma la sua quantità nel vasetto è calata parecchio.
C’è chi da sempre ha lavorato per restituire in vasetto le caratteristiche della fermentazione da latte vero. Da quello fatto dal mastro casaro nel maso di montagna ai moderni stabilimenti alimentati da energia verde delle montagne dell’Alto Adige, negli anni lo yogurt di montagna è rimasto fedele ad alcuni comandamenti: grande attenzione alla qualità della materia prima e degli ingredienti aggiunti, unita a una forte identità territoriale, grazie alla scelta di latte fieno, ottenuto da mucche alimentate senza mangimi geneticamente modificati. In più, si aggiunge il profondo rispetto per la natura, che passa anche da quello per la salute umana.
Per questo, col tempo, si è lavorato per rendere questi yogurt meno dolci, abbassando il contenuto zuccherino all’interno delle ricette. In più, per gli yogurt alla frutta si cerca di usare solo prodotti del territorio, tralasciando alimenti esotici. «Lo yogurt bianco è una sintesi della filosofia della nostra terra», spiega Joachim Reinalter, presidente della Federazione Latterie Alto Adige, organizzazione che comprende 9 cooperative che oltre 70 anni fa si sono unite per lavorare al marketing, ma anche alla ricerca e sviluppo dei loro prodotti. Un’unione preziosa, dato che solo in Alto Adige si producono 150 milioni di chili di yogurt all’anno.
Anche i processi industriali legati allo yogurt sono cambiati. Ad esempio, dopo aver acquisito l’ex stabilimento di Trentina Latte, nel 2018, la sarda Arborea ha migliorato la standardizzazione della sua produzione, senza cambiare la formula dei propri prodotti (yogurt compreso). Viene impiegato ancora solo latte sardo, trasferito da Arborea a Roveré, ma si fa grande attenzione alla lettura del mercato, per non tralasciare preziose nicchie di mercato.
Come spiega Angela Piras, Marketing Manager Yogurt di Arborea, «la nascita del nostro yogurt di capra deriva dall’acquisizione di Fattorie Girau, specializzata in latte caprino, avvenuta nel 2013. Già da allora c’erano trend di crescita sul latte di capra, parallelo al senza lattosio. Oggi è ancora una nicchia, ma sappiamo che si tratta di un mercato importante. Il consumatore continua a chiedere novità, variazioni sul tema: lo yogurt di capra è un segmento in cui crediamo».
Lo yogurt sta cambiando (ancora)
La sostenibilità (umana e ambientale) è una parola chiave anche per il mondo dello yogurt. Oltre a chiedere prodotti meno dolci, i consumatori fanno più attenzione al packaging. Guardando alla realtà altoatesina, prima lo stabilimento di Merano, poi quello di Vipiteno e ora Mila hanno usato più cartone e meno plastica. La cooperativa di Vipiteno ha anche messo in commercio i vasetti in vetro, più facilmente riciclabili. In più, anche gli stabilimenti cercano di adeguarsi a standard produttivi più green.
Anche il boom di kefir, yogurt greco e mix di latti stanno giocando un ruolo importante nell’evoluzione del prodotto. Per questo l’introduzione di vasetti a base di latte di capra e mix di latte vaccino e ovino 100% sardo, non suonano così strane.
In più, nel solco della visione dello yogurt come alleato della dieta, i consumatori hanno iniziato a chiedere sempre più alimenti arricchiti di proteine. L’ultimo nato in casa Arborea è A-Yo: «non solo racconta in modo autentico una parte importante della cultura sarda, ma intercetta i trend del settore – spiega Piras – dall’attenzione alle materie prime e la predilezione verso cibi sani e alto-proteici, alla scelta di packaging 100% riciclabili». Un bel passo in avanti per una cooperativa attiva da 65 anni, che ha riunito 200 produttori e da 10 anni si è aperta al mercato internazionale. Anche Müller ha intercettato questa domanda, e l’ha declinata in un prodotto che permetta di non scegliere tra piacere o benessere, ma di averli entrambi. Ne sono nate le linee Müller Dessert Proteico e Müller Mousse Proteica.
Intercettare i desideri resta la parola d’ordine per qualunque tipo di realtà produttiva. L’imperativo è ancora più forte per l’industria gastronomica. «Durante il lockdown – spiega Scandola – c’è stata un’interessante ripresa del mercato dello yogurt bianco, dovuta all’aumento dei consumi in casa, in particolare nei momenti della colazione e degli spuntini. Inoltre, il segmento dello “yogurt intero ai gusti” si conferma essere il più importante del mercato, pur trattandosi di una realtà matura e non in crescita. La crisi che stiamo vivendo ha costretto le famiglie a ridurre le spese, ma gli italiani non intendono risparmiare sul cibo. Lo vogliono «sano, ma buono» è questa la parola d’ordine che spinge a scegliere prodotti sani, sicuri, sostenibili, premium e gourmet. Rispetto al passato siamo più attenti a come ci alimentiamo e a cosa acquistiamo». Insomma, anche un singolo vasetto di yogurt può diventare un quesito shakespeariano.