Una delle rese più importanti della vita adulta è quella alle proprie lacune. A un certo punto ti arrendi all’evidenza del fatto che c’è troppa roba, e tu non puoi aver visto tutto, letto tutto, sentito tutto, non puoi sapere tutto e pazienza se non capirai dei riferimenti. Tanto poi quando diventano rilevanti sono così diffusi che li sai anche se non li sai: puoi non aver mai visto Via col vento, ma saprai comunque che Rossella si fa un vestito con le tende di velluto verde.
La più abissale delle mie lacune rilevanti è Elena Ferrante. Non ho mai trovato la forza di leggerla (quando ho provato a farlo, mi sembrava già tardi), e fino a ieri non avevo mai visto la serie (la mia pazienza per la serializzazione è esausta, dovete ricominciare a raccontare le storie in un’ora e mezza se volete la mia attenzione).
Tutti (tutte, specialmente) l’avevano letta, io no. Pazienza, avevano anche tutti visto Guerre stellari e io no: sono allenata a non spaventarmi delle lacune. Poi però è successa una cosa. L’ho notata domenica: mentre l’Italia che lavora guardava Fazio e si preparava a fare la critica culturale dei crimini della Chiesa, e l’Italia che si dispera e s’innamora guardava L’amica geniale, in cui il padre di Lenù dice che il professore, avendo studiato, sa meglio di loro che schifezze abbiano fatto i preti.
Amiche mi dicono che quel che ho notato solo domenica fosse già successo con le precedenti stagioni (quella che sta trasmettendo Rai 1 è la terza), ma probabilmente ero distratta.
È accaduto che i social si sono riempiti del grido «Nino Sarratore uomo di merda». Donne adulte inveivano contro i comportamenti non consoni del maschio dell’Amica geniale con l’impeto con cui, quarant’anni fa, inveivamo contro Pierre Cosso che baciava un’altra invece di Sophie Marceau (uso i nomi degli attori perché quarant’anni fa non eravamo così rincitrullite da mandare a memoria i nomi dei personaggi di fantasia e da provare dei sentimenti per essi).
Pensano che Nino Sarratore esista davvero e possa davvero far del male a esponenti della nostra stessa identità di genere? È lo stesso meccanismo per cui pensano che Drusilla Foer esista davvero e sia veramente una donna? Pensano che Bruce Willis sia un poliziotto, Al Pacino un mafioso, Stefano Accorsi un pubblicitario e Nanni Moretti uno psichiatra? (Quest’ultima attribuzione professionale mi sembra la meno fantasiosa).
Quand’è successa, questa cosa di trattare la finzione come fosse reale o – peggio – come se potesse influire sulle dinamiche della nostra vita? Com’è possibile che a trent’anni guardassimo Sex and the city consapevoli della sua qualità di cartone animato, e oggi riteniamo And just like that rappresentativo della vita delle cinquantenni e ci offendiamo se quelle cinquantenni lì sono bislacche?
Le femministe, poi, passano la vita a lamentarsi di quanto sia prescrittiva la likability, quanto sia ottuso pretendere personaggi femminili gradevoli, e poi s’incazzano perché Nino Sarratore è un personaggio sgradevole? Che poi, sgradevole: è uno che pensa per sé (raccomando caldamente di farlo anche alle donne: vi assicuro che l’egoismo è unisex e migliorerà le vostre vite).
È interessante come la mistica della salute mentale, dei manuali di autoaiuto, del feticismo della psicoterapia, poi s’infranga di fronte a un personaggio di finzione; in un mondo teso a dirci che tutto ciò che vogliamo e ogni modo per procurarcelo è lecito, e nessuno si deve permettere di obiettare alla nostra determinazione a essere felici in qualunque modo ci aggradi, poi un uomo che fa esattamente quello – pensare a sé stesso – ci fa tornare adolescenti irritabili.
Nino Sarratore è così pervasivo – le mie amiche dicevano il vero – che è l’unica cosa che so della tetralogia ferrantiana. È il vestito con le tende di Rossella. Mi hanno raccontato così tante volte di Lenù (o era Lila? Distinguo Nino Sarratore ma non le due amiche che se lo palleggiano: sarà perché sono maschilista?) che arriva a casa inaspettata e lo trova in bagno che si sta scopando la babysitter, me l’hanno descritto indignate così tante volte che è come se l’avessi visto accadere.
Ieri ho visto la scena riportata su un Tumblr anglofono intitolato Fuck Nino Sarratore (adolescenti smaniose di tutto il mondo, unitevi). L’autrice stigmatizzava il fatto che Sarratore si scopasse il personale di servizio tenendo la maglia della salute addosso (li vogliamo stronzi ma esteticamente impeccabili), e io mi sono chiesta se non cresciamo proprio mai.
Se proprio mai ci viene il sospetto che è sciocco desiderare che gli uomini stronzi spariscano dal mondo e dai romanzi: sarebbe meglio allenarsi a non innamorarsene, da protagoniste o da lettrici.
Se proprio mai ci viene il sospetto che i personaggi di finzione siano espressione dell’inconscio dei lettori, prima ancora che degli autori; proprio come i sogni, servano a esorcizzare: se sono dei santini, cosa ce ne facciamo?
Se proprio mai ci venga il sospetto che, come regola generale, non si arriva senza annunciarsi da nessuna parte, neppure a casa propria. Se lo si fa, si rischia di trovare il proprio marito intento a ingropparsi la servitù. È una delle cose che un’adulta dovrebbe sapere, andrebbe imparata persino prima dell’arte di distinguere tra figurine da poster in cameretta, e persone reali cui chiedere di comportarsi decentemente.