Lettera a un sindaco un po’ cosìCronaca di due multe assurde per la monnezza a Bologna (che non pagherò)

Il messo comunale mi ha recapitato un verbale di 223 euro per esposizione di rifiuti in orario non consentito e abbandono di sacco chiuso su suolo pubblico. Non ho tempo di fare causa per truffa, ma ho molte cose da dire sul posto più zozzo in Italia

Unsplash

Gentile Matteo Lepore, sindaco di Bologna, e gentile Hera, che a Bologna ha il monopolio dei rifiuti e dell’elettricità e del gas, tre cose che mai ho visto gestite così male, e dire che ho vissuto a Roma; gentili tutti, vi scrivo questa missiva per due ragioni.

La prima ragione è che il messo comunale mi ha recapitato 223 euro di multa alle dodici e un quarto di ieri, martedì; vi avrei a quel punto telefonato per dirvi «col cazzo che pago» (sono sempre molto a modo nelle mie rimostranze verso i fornitori scarsi di servizi strapagati), ma il verbale dice che vi degnate di rispondere al telefono il giovedì e il martedì dalle nove alle dodici. Ho perso l’occasione per un quarto d’ora. La Ferragni direbbe: ma guarda un po’.

La seconda ragione è che gli amici che mi caldeggiavano Lepore nel 2021, di fronte alle mie perplessità (uno che pensa di posizionarsi a mezzo mascherina rosa? Ma seriamente?), mi rassicuravano dicendo: anche lui, come te, pensa che a Hera siano dei cialtroni, rivedrà il contratto della città, vedrai vedrai, vedrai che cambierà.

Forse non sarà domani, proseguiva la canzone (la battuta su che fine abbia fatto l’ottimismo dell’autore la facciano i lettori). Lei, sindaco, è stato eletto, sono passati mesi, Bologna è ancora la città più zozza che ci sia (le viene rinfacciato meno spesso che a Gualtieri perché i bolognesi non hanno per hobby la fotografia di tramonti e spazzatura).

Il martedì in particolare è la giornata in cui, in parecchie vie del centro, vengono raccolte la carta e la plastica. Alcuni martedì fa sono andata a vedere Gianni Morandi. L’andata, prima delle nove verso il teatro Duse, era uno slalom nei portici pieni di sacchetti. Eh, vabbè, è la sera della raccolta, puoi lasciarli fuori dalle sei alle dieci, quando usciremo sarà tutto pulito, vedrai che alle dieci e cinque passano. Al ritorno, a mezzanotte passata, i sacchetti erano ancora lì, e i raccoglitori iniziavano ad arrivare. Scendevano dai camion, lanciavano sacchetti in giro, mischiavano carta e plastica a casaccio: un po’ spettacolo d’arte varia, un po’ cinni delle medie cui i genitori hanno lasciato casa libera. Quando due giorni dopo ho visto le sue foto, Lepore, nel camerino di Morandi, ho pensato: ha fatto bene a non andarci di martedì, almeno non ha dovuto scavalcare la spazzatura.

Il martedì, dunque, io scendo e lascio sotto al portone la carta e la plastica (continuo a farlo persino dopo aver visto gli addetti alla raccolta che ci manca poco giochino a pallone coi sacchetti). E questa è la ragione per cui so che uno dei due verbali che mi sono arrivati ieri delira. C’è scritto «esposizione di rifiuti in orario non consentito». Nella pagina successiva «Trovato sacco chiuso, contenente rifiuti plastici e cartacei, esposto in prossimità del civico in orario non consentito».

Vediamo una breve lista delle ragioni per cui so che il verbale è sbagliato.

Non mischio la carta e la plastica (non metto neanche i cartoni della pizza sporchi di mozzarella nella carta, credo d’essere l’unica a non farlo, ogni volta che vedo cartoni di pizza lasciati in mezzo alla carta mi chiedo se l’umanità sia ritardata o voialtri non siate capaci di dare istruzioni chiare su concetti semplici quali: come diavolo pensate sia riciclabile il cartone coi pezzi di mozzarella attaccati?).

Non chiudo i sacchetti. Non saprei dire perché. Non chiudo neanche le borse quando sono in giro e i cassetti dentro casa: sarà un problema psicologico? Rifiuto le chiusure? Sarà la stessa ragione per cui non me ne vado dalle relazioni d’amore e di lavoro finché non mi cacciano? Non saprei, ma non ho mai annodato un sacchetto prima di buttarlo.

Soprattutto, l’indirizzo al quale secondo voi avrei lasciato carta e plastica è a un paio di centinaia di metri dal portone sotto cui lascio la carta. L’idea che io faccia la fatica d’allontanarmi perché mi urge buttare la carta non di martedì convincerebbe solo qualcuno che non avesse familiarità con la mia pigrizia, e io purtroppo ce l’ho.

Certo, non posso neanche dire che ci ho l’alibi, a quell’ora son quasi sempre via: sono verbali di metà novembre, non so neanche in che città ero a metà novembre, ma mi strugge immaginarvi che studiate rifiuti per quasi tre mesi per verbalizzare infrazioni. Non sapete fare il vostro lavoro, ma comunque non vi pagano abbastanza per il lavoraccio che è.

Non so dov’ero a novembre, ma a un certo punto di ottobre ero a Reggio Emilia a tenere una conferenza. Una persona dell’organizzazione mi ha spiegato che Reggio Emilia è sporchissima giacché i rifiuti sono gestiti da Hera, ma lui per fortuna vive a Modena, che è pulita perché gestita da altra azienda. Quindi si può fare, non è impossibile, è solo che voi non siete capaci. Ditemi, è la stessa ragione per cui a Bologna bisogna telefonare la lettura del contatore come fosse il 1982? Non siete capaci d’installare i contatori elettronici? Suggerisco di copiare quelli più bravi, ovvero una qualsivoglia gestione dei servizi d’una qualsivoglia altra città. Persino Roma, dove arrivai nel 1991 trovando la raccolta rifiuti a domicilio che trentun anni dopo ancora non siete riusciti a organizzare a Bologna. Dico: Roma.

Ma c’è un secondo verbale (le multe – accomunate dal mio tonitruante «col cazzo che pago» – sono di 111 euro e mezzo l’una). Il secondo verbale s’intitola: «Abbandono sacco chiuso, su suolo pubblico, in prossimità di Isola Ecologica di Base». Del sacco chiuso abbiamo già detto, quella che chiamate pomposamente Isola Ecologica di Base è un cassonetto. È invero assai probabile che abbia lasciato un sacchetto (aperto: ho già detto che non li chiudo) fuori dal cassonetto, e il perché avevo già scritto un altro articolo per spiegarvelo, ma mi sa che non eravate i più svegli della classe, quindi ve lo ripeto scandendo bene le parole: il lettore elettronico dei cassonetti, quello che dovrebbe permettere ai cittadini di aprirlo con la modernissima carta smeraldo non funziona mai. D’accordo, «mai» è un’iperbole. Non funziona otto volte su dieci. Avete approntato dei lettori che è pressoché impossibile non trovare sfasciati, per poi multare i cittadini se non funzionano.

Ora, io non ho tempo di farvi causa per truffa, ma la multa non la pago. Anche perché vorrei una dimostrazione del fatto che il sacchetto è mio. Un filmino, una foto, qualcosa.

Il verbale, tra un «a seguito di ispezione, vengono rilevati rifiuti di frazione merceologica mista» (Calvino si rivolta nella tomba) e l’altro, dice «identificato mediante: indirizzo su busta». Ma sapete in quanti codici postali in cui non risiedo ci sono buste col mio indirizzo, che ho usato per lasciare delle bozze, delle riviste, dei cotillon a qualcuno? Le buste sono una professionista del riciclarle, io: dovreste mettermi a capo della differenziata, non potrebbe che migliorare (anche perché peggiorare mi pare difficile).

Ma soprattutto, se metto una busta con l’indirizzo di qualcuno che m’è antipatico in un sacchetto che lascio fuori dal cassonetto, poi voi lo multate? (Lo so, è per evitare quest’obiezione che scrivete «sacco chiuso», ghepardi. Sigillato, inviolabile, d’accertata provenienza. Come no).

Capite bene che l’onere della prova non regge. Regge meno che se io dicessi «in questo sacchetto c’è una mascherina rosa, è di sicuro spazzatura dell’illuminato sindaco». Capite altrettanto bene che, mentre vi arricchite moltiplicando i costi del gas e della luce, è forse ora che impariate a fare il vostro lavoro. Che è, ve lo sillabo a prova di non sveglissimi, darmi cassonetti in cui sia possibile infilare i sacchetti. Nell’attesa, lascio qui il mio cordiale: col cazzo che pago.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter