Da sempre Joe Biden è un gaffeur seriale, tanto che su questa sua maldestra ma sincera capacità di parlare fuori dagli schemi ingessati della politica professionale ci ha giocato spesso, fino a farla diventare non solo un marchio di fabbrica ma anche un modo per far passare messaggi che altrimenti avrebbe faticato a veicolare.
La frase di Biden secondo cui Putin, «santo Dio, non può più restare al potere», pronunciata a braccio in Polonia alla fine di un discorso ben sorvegliato, probabilmente gli è davvero scappata e non è la codificazione di una nuova dottrina favorevole al cambio di regime a Mosca, ma allo stesso tempo è la conseguenza diretta e veritiera delle parole pronunciate fino a quel momento non solo dal presidente americano, ma da tutti i leader occidentali, e dalle relative opinioni pubbliche, di fronte alle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina.
Che sia stata una gaffe è pressoché certo, almeno così hanno provato a farla passare gli uomini di Biden. La Casa Bianca è corsa a contestualizzare la frase e il Segretario di Stato Antony Blinken ha precisato che «spetta al popolo russo» decidere chi governa a Mosca, pur elencando in un comunicato del Dipartimento di Stato tutti i crimini di guerra, definiti proprio così: «crimini di guerra», imputabili a Putin, segnando quindi un punto di non ritorno nel rapporto futuro tra la leadership russa e il resto del mondo.
La preoccupazione generalizzata per la frase pronunciata da Biden si basa su due possibili conseguenze negative: la prima è che possa diventare un argomento propagandistico per la cosca del Cremlino in grado di mobilitare le masse russe; la seconda è che non lascia nessuna via d’uscita a Putin, con cui invece si sta provando a negoziare una pace (invero con risultati al momento inesistenti).
Insomma, dopo il discorso in Polonia, i critici di Biden sostengono sia aumentato il rischio di allargare il conflitto in Ucraina e sia diminuite le possibilità di un negoziato.
Ovviamente c’è anche chi, con qualche ragione, sostiene che quella frase in realtà sia ininfluente perché Putin è impegnato da anni con le sue fake news nell’opera di lavaggio del cervello dell’opinione pubblica non solo russa a proposito di un imminente attacco della Nato alla Russia, e certo non ha bisogno di una frase di Biden per alimentare la propaganda. Le immagini delle città ucraine rase al suolo e le posizioni ufficiali di tutti gli organismi multilaterali, poi, hanno già messo Putin ai margini del consesso civile, per cui il destino di Putin appare segnato anche senza la frase di Biden.
È anche possibile che una minaccia diretta come quella lanciata per caso da Biden possa invece aver colpito in pieno il bersaglio, visto che è stata rivolta a un despota che fino a un mese fa era convinto che gli ucraini lo avrebbero accolto con rose e fiori e che gli occidentali non avrebbero mai reagito con la veemenza che hanno dimostrato in questo mese. Far capire a Putin che il mondo libero in fondo non è così molle come credeva, al punto che ora invoca la sua rimozione, magari potrebbe convincerlo a ricalibrare l’offensiva.
Poi c’è un’altra teoria, quella secondo cui dire che Putin, «santo Dio, non può più restare al potere» è una gaffe che ricorda quella di un altro presidente americano, pronunciata il 12 giugno 1987 durante un discorso a Berlino davanti alla Porta di Brandeburgo.
In quell’occasione, mentre cinquantamila tedeschi occidentali protestavano per la presenza provocatoria del presidente americano, Ronald Reagan fece aggiungere al discorso una frase che il suo staff e il Dipartimento di Stato non avrebbero voluto che pronunciasse. Ci fu una gran discussione interna sull’opportunità di dire quella frase, ma alla fine quel suo «Mister Gorbachev, butti giù questo Muro» è diventato il simbolo della vittoria del mondo libero e l’avvio dello sbriciolamento del regime totalitario sovietico.
Oggi è impossibile immaginare se l’invocazione di Biden a buttare giù Putin dal Cremlino inasprirà la pulizia etnica dei russi in Ucraina o se, al contrario, sarà ricordata come l’inizio della fine della mafia putiniana.
Eppure è evidente che ci si senta più sicuri sotto l’ombrello di un presidente americano cui scappa di dire la verità incontrovertibile e inesorabile su un dittatore criminale, anziché sotto il predecessore che ammirava e ammira ancora oggi il suo pugno di ferro e gli deve in parte il successo elettorale del 2016 e chissà cos’altro.
Questo, infine, è il momento in cui va ricordato che lo stratega della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, è stato condannato (e poi graziato da Trump) per aver occultato svariati milioni di dollari ricevuti dal giro di Viktor Janukovyč, il presidente fantoccio dei russi piazzato da Putin in Ucraina, cui Manafort aveva guidato tre diverse campagne elettorali fino a quando, con un voto unanime del Parlamento di Kiev, Janukovyč è stato cacciato a pedate nel sedere verso la grande madre Russia.