Sale che nascono e che muoiono. Da pochi giorni in Porta Romana è nato il cinema Santa Fe, una minisala per appena 3 persone che con questo nome vuole ricordare la storica sala di Corso Buenos Aires, chiusa nel 2009. A inaugurarla è stato il “MAX3MIN Film Festival”, una piccola rassegna di oltre 100 film da massimo 3 minuti, voluta da Martina Schmied – che è anche la madre del nuovo Santa Fe – in programma fino al 22 marzo.
Una bella notizia in un settore ancora scosso dalla chiusura del cinema monosala Arlecchino in via Pietro dall’Orto, in zona Duomo, dove sono rimasti soltanto un pos ancora acceso e un computer lasciato in modalità standby. «È un dispiacere prendere questa decisione», ha raccontato a Box Office il proprietario Tomaso Quilleri, erede di una famiglia che opera nel campo del cinema da generazioni e che gestisce anche altre sale a Milano e a Brescia, sua città natale. Aperto nel 1948, il cinema prendeva il nome proprio da una statua di Arlecchino, realizzata da Lucio Fontana, presente all’ingresso. Dal 2019 proponeva soltanto film in lingua originale con i sottotitoli. Non è bastato.
Le ragioni della chiusura
Secondo Quilleri dietro la chiusura ci sono prima di tutto spiegazioni geografiche. «La zona del cinema Arlecchino, purtroppo, è ormai diventata solo una zona di shopping. È viva di giorno ma di sera si spopola perché le zone di richiamo serale sono altre a Milano, come l’area Isola/Bosco Verticale, CityLife, o anche piazza Cinque Giornate. Un tempo corso Vittorio Emanuele era un multisala a cielo aperto, adesso non è rimasto più nulla».
Va aggiunta anche la crisi sanitaria legata alla pandemia, che ha colpito tutti i cinema ma soprattutto quelli monosala. «Ormai sono presìdi sociali più che attività economiche con una logica reddituale. I cinema monosala hanno un senso solo se inseriti in una rete di realtà “vicine di casa”. Noi purtroppo siamo rimasti soli», evidenzia con rammarico Quilleri al Corriere della Sera.
Un fenomeno in atto già da tempo, visto che da decenni si assiste a un progressivo svuotamento e chiusura delle sale cittadine a favore dei multiplex. Un fenomeno che coinvolge un po’ tutti i cinema in maniera indiscriminata: come segnala la newsletter Colonne de Il Post, un’altra sala a rischio chiusura è lo storico Plinius, presente in via Abruzzi dal 1936.
«A ottobre era uscito “Spider-Man: No Way Home”, che era entrato subito nella classifica dei film più visti al cinema al mondo. Poi a Natale, uno dei periodi in cui le sale sono più frequentate, sono diventate obbligatorie le mascherine Ffp2 ed è stato vietato il consumo di cibi e bevande. Questo ha fatto sì che il cinema tornasse a essere percepito come luogo pericoloso», ha raccontato il suo gestore Salvatore Dattilo. Discorso ancora più complicato per i monosala, che magari non vendono cibo ma spesso devono operare fuori dai circuiti della grande distribuzione per riuscire a sopravvivere.
In direzione ostinata e contraria
Mexico, Beltrade, Palestrina e Cinemino. Sono ormai pochi i monosala rimasti ancora aperti a Milano, fagocitati da multiplex come l’Anteo, l’Eliseo o il Colosseo. Eppure, i problemi sono un po’ gli stessi per tutti. «Sai, io ho la fortuna di non dover pagare l’affitto per il locale ma se si va avanti così non so quanto possiamo resistere», ammette a Linkiesta il decano dei cinematografi milanesi, Antonio Sancassani, proprietario del cinema Mexico.
La sua è una storia di resistenza e di lotta contro i grandi circuiti commerciali, che da quarant’anni lo ha portato a dover trovare intuizioni fuori dal comune per riempire la sala del suo cinema. «Per restare indipendenti proiettiamo film fuori dalla grande distribuzione: un azzardo forse, che però negli anni ci ha portato ad essere un concreto punto di riferimento per i nostri spettatori», rimarca Sancassani.
Nonostante l’atmosfera intorno sia cambiata e persino la stessa via Savona dove si trova il cinema sia decisamente diventata più modaiola (basti pensare che di fronte al Mexico c’è la sede della casa di moda Ermenegildo Zegna) lo spirito del Mexico è rimasto praticamente lo stesso.
La prova sono la programmazione costante da 40 anni del “The Rocky Horror Picture Show”, autentico successo che ha portato oltre 120mila persone in sala, e il lunedì d’essai, con i migliori film della storia cinematografica italiana.
«Adesso ne abbiamo scelto uno particolare, “Accattone” di Pasolini, ma la risposta di pubblico è positiva. Certo, la situazione resta difficile: è chiaro che le attuali limitazioni ci penalizzano molto, ma la stessa situazione in fondo colpisce tutti. Anche l’Anteo, che ancora investe tanto, in fondo non fa tante più presenze di noi e la maggior parte sono legate ai successi della grande distribuzione, tipo “È stata la mano di Dio”», evidenzia Sancassani.
Proprio il caso del film di Sorrentino evidenzia un altro problema che affligge tutte le sale. «Prima della pandemia la legge imponeva che i film potessero essere distribuiti dopo 105 giorni dall’uscita nelle sale ma, con la pandemia e la chiusura dei cinema, è stato fatto un decreto che ha ridotto questa finestra di tempo portandola a 30 giorni, con molti film stranieri che hanno cominciato a uscire sulle piattaforme senza neanche rispettare questi tempi», evidenzia amareggiato Domenico Dinoia, presidente della sezione lombarda di Agis, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo sempre sulla newsletter Colonne de Il Post. Un problema di non poco conto.
«L’Italia è l’unico Paese che non ha visto ritornare gli spettatori nelle sale nel 2021 e il rischio è che il 2022 segni un calo ancora più marcato. Così rischia di sparire il 30% delle sale», ha sottolineato preoccupato Mario Lorini, presidente dell’Associazione nazionale esercenti, in un servizio di SkyTg 24. Un allarme che non sembra destinato a esaurirsi a breve, nemmeno a Milano.