Decalogo dell’accoglienzaIl piano europeo per i profughi ucraini

Dall’Ue supporto logistico e assistenza a chi vuole passare da un Paese all’altro, ma per ora niente quote di ripartizione obbligatoria. L’Italia darà 300 euro al mese a ogni richiedente di protezione temporanea

AP/Lapresse

Dieci punti e una volontà comune, quella di accogliere i profughi ucraini in fuga dalla guerra. L’Unione europea continua a rispondere in maniera unita all’emergenza che si profila alle sue frontiere.

A febbraio è stata attivata una direttiva che concede a tutti gli ucraini il diritto di protezione nell’Unione, fornendo loro anche assistenza sanitaria, permesso di lavoro e possibilità di studio. Ora arriva un piano dettagliato, stilato dalla Commissione e approvato dai ministri dell’Interno dei 27 Paesi, per gestire concretamente la situazione.

Una strategia in dieci punti
Il conteggio delle persone che scappano dall’Ucraina continua a salire, anche se in maniera meno sostenuta rispetto ai primi giorni dell’invasione russa. Al momento, secondo le stime dell’Unhcr, sono quasi quattro milioni i fuoriusciti dal Paese, la maggior parte dei quali entrati negli Stati europei confinanti: oltre due milioni in Polonia, più di un milione tra Slovacchia, Ungheria e Romania.

Di fronte a una situazione senza precedenti (la cosiddetta crisi migratoria del 2015-2016 produsse in totale due milioni e mezzo di richieste di asilo in due anni), Stati membri e Unione europea sembrano muoversi in modo rapido e coordinato.

I primi stanno destinando fondi alle strutture e a sostegno dei singoli individui: l’Italia, ad esempio, garantirà a tutti gli ucraini che abbiano fatto richiesta di protezione temporanea e trovato una sistemazione autonoma, un contributo di sostentamento di 300 euro mensili e 150 euro per ciascun figlio minorenne e alle associazioni umanitarie un contributo di 33 euro al giorno per ogni profugo assistito, come prevede un’ordinanza del Dipartimento della Protezione Civile. Altri aggiungono alle misure statali raccolte fondi per i privati, come il piano Action Ukraine del governo francese.

L’Unione viaggia a ritmo insolitamente sostenuto: dopo l’autorizzazione dei Capi di Stato e governo concessa nell’ultimo Consiglio europeo, è stato subito approvato dai ministri dell’Interno un piano d’azione in dieci punti, per fronteggiare le necessità dei profughi e di chi li accoglie.

Il primo è la creazione di una piattaforma di registrazione delle persone in arrivo, con il supporto dell’agenzia informatica europea (Lisa). Il sistema Eurodac, che abitualmente registra le richieste d’asilo dei cittadini stranieri con le rispettive impronte digitali, non basta: gli ucraini godono infatti di protezione temporanea grazie alla Direttiva 2001/55, attivata nell’Unione alla fine di febbraio, e la maggior parte di loro non inoltra quindi richiesta d’asilo.

Altri enti sono coinvolti nel piano: l’Agenzia europea per l’asilo dovrà formulare linee-guida univoche per l’accoglienza dei bambini, il dipartimento anti-trafficking assicurare che le persone in fuga non cadano nella rete dei trafficanti di esseri umani, rischio che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni denuncia da tempo. Agenti di Frontex si recheranno in Moldova, che già ospita più di 300mila persone per favorire trasferimenti finanziati dall’Unione europea.

Poi ci sono i punti dedicati alla gestione interna dei migranti. Come una «Piattaforma di solidarietà», con cui Bruxelles collaborerà con Stati Uniti, Canada e Regno Unito per accogliere tutti i profughi, compresi gli stranieri che si trovavano in Ucraina allo scoppio del conflitto. Lo stesso organismo dovrà esaminare le capacità degli Stati membri in termini di strutture d’accoglienza e «organizzare trasferimenti dai Paesi più sotto pressione».

Anche i movimenti «spontanei» degli ucraini fra gli Stati europei dovranno essere supportati da una serie di hub informativi dislocati lungo i punti chiave delle rotte migratorie. A ogni governo nazionale è inoltre richiesto un piano a lungo termine che dettagli risorse e richieste del proprio Paese: sulla base di questo elenco, la Commissione valuterà come distribuire le risorse comunitarie stanziate, tra cui 3,4 miliardi di euro di prefinanziamenti dal fondo React-Eu.

Tutte queste iniziative puntano a facilitare la distribuzione lungo tutta l’Europa degli ucraini, che per il momento stanno raggiungendo in maniera autonoma amici e parenti, restando spesso nei Paesi limitrofi al proprio: una tendenza che sta già producendo uno squilibrio nell’accoglienza a livello comunitario.

Trasferimenti incoraggiati, ma solo se volontari
I ricollocamenti, però, non saranno obbligatori. Sempre grazie alla Direttiva 2001/55, al momento gli ucraini possono muoversi liberamente nell’Unione europea e imporre loro di risiedere in un luogo determinato non sembra nei piani della Commissione, né soprattutto dei Paesi membri.

Paradossalmente, proprio gli Stati dell’Europa nord-orientale, attualmente in prima linea nell’accoglienza, si opporrebbero a un sistema di quote di redistribuzione. «È chiaro che non vogliono creare un precedente», spiega a Linkiesta Pietro Bartolo, per anni medico sull’isola di Lampedusa e ora deputato del Partito democratico al Parlamento di Strasburgo, dove si occupa soprattutto di temi migratori. «Paesi come la Polonia sanno che molti ucraini torneranno indietro non appena sarà loro possibile e vogliono evitare un sistema di ripartizione in quote».

Quello che secondo Bartolo è un «ragionamento incomprensibile» poggia probabilmente sulla volontà di evitare schemi simili in future crisi migratorie, che magari potrebbero prodursi nell’area del Mar Mediterraneo. «I loro governi si sono messi di traverso ogni volta che abbiamo provato a cambiare il Regolamento di Dublino, che scarica tutto il peso dell’accoglienza sullo Stato membro di primo ingresso».

Ma per l’eurodeputato un meccanismo di ricollocazione sarà prima o poi indispensabile, soprattutto se le stime che prevedono un esodo di dieci milioni di ucraini dovessero tradursi in realtà.

Dietro l’attuale resistenza, invece, c’è a suo parere una distinzione discriminatoria, basata su cultura, religione e colore della pelle. «Non si spiega altrimenti il fatto che da un lato certi Paesi aprono le porte agli ucraini e dall’altro erigono un muro per tenere fuori altre persone», dice, con riferimento alla recente situazione al confine tra Polonia e Bielorussia, che ha visto le autorità di Varsavia fermamente decise a impedire l’ingresso di siriani e iracheni. «Il nostro obiettivo dev’essere accogliere tutti in maniera dignitosa, senza creare profughi di Serie A e di Serie B».

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