In questi giorni terribili in cui tutti sentono l’impellente esigenza di dimostrarsi assai smaliziati, persone di mondo, gente che non si fa incantare, che non ci casca e che non se la beve, l’ultimo durissimo attacco del governo russo al governo italiano mi suggerisce invece la più ingenua delle domande: perché mentono?
Se non fosse tragico, farebbe persino sorridere ascoltare i portavoce del Cremlino dire ieri, senza scomporsi, frasi come «l’Italia è in prima linea in un attacco al nostro Paese», e l’altroieri che l’invio di armi agli ucraini da parte dei paesi occidentali «non aiuta la pace», come se davvero in questo momento fossimo noi ad attaccare la Russia, e le colonne di tank che hanno invaso l’Ucraina e ogni giorno fanno del loro meglio per spianarne le città fossero lì per portare la pace. Per non parlare del tentativo di rovesciare sugli assediati la responsabilità delle vittime civili, sostenendo che sono i nazionalisti ucraini a non lasciarli scappare dalle città sotto attacco, come ha detto qualche settimana fa il portavoce Dmitry Peskov alla Cnn.
In quella stessa intervista, peraltro, Christiane Amanpour aveva ricordato che fino al giorno prima dell’invasione i russi avevano smentito tutte le ricostruzioni dell’intelligence americana sui loro piani e negato recisamente qualsiasi intenzione di attaccare, e aveva quindi domandato a Peskov come Mosca potesse pensare di essere creduta e presa sul serio nel consesso internazionale, in futuro, in qualunque genere di negoziato. La risposta di Peskov era stata che avevano detto di non avere alcuna intenzione di invadere perché era vero, ma disgraziatamente negli ultimi due giorni – quando si dice la sfortuna – si erano resi conto che l’Ucraina si preparava a sferrare una grande offensiva nel Donbass, e quindi erano stati costretti a intervenire.
Non mi stupisce, ovviamente, che Putin e i suoi portavoce non dicano la verità. Mi colpisce però il modo, il livello, direi la qualità delle menzogne. La propaganda russa aveva una fama migliore.
Rispetto alla lunga e tragica storia di bugie e insensatezze di tutti i totalitarismi, mi sembra ci sia oggi un di più di disorientamento, goffaggine, disagio. Penso per esempio a quell’ambasciatore russo tradito dal lapsus che gli ha fatto dire: «I cadaveri che giacciono nelle strade non erano mai esistiti prima che arrivassero le truppe russe… ehm… scusate, prima che se ne andassero». Anche nelle pause imbarazzate e nelle farfugliate risposte di Peskov alla Cnn c’era qualcosa di assurdo e al tempo stesso di tragicamente comico.
Ho provato la stessa sensazione davanti alle immagini dei soldati russi che andavano a impacchettare e spedire a casa computer e televisori, frutto delle razzie compiute nelle città occupate. Soprattutto davanti a quel dialogo incredibile tra marito e moglie, con lui che le dice al telefono: «Ci sono scarpe da ginnastica da donna. Beh, sono New Balance, sono di marca, tutto qui lo è. Misura 38. Sono assolutamente fantastiche… se riesco prendo un laptop». E lei che risponde: «Beh, pensaci, Sofia sta andando a scuola, anche lei avrà bisogno di un computer».
Persino i militari impegnati nella distruzione e nel saccheggio dell’Ucraina vogliono le scarpe di marca, i televisori e i computer prodotti da quel capitalismo, da quella società occidentale, da quel modo di vivere che pure sono lì per annientare. Il Patriarca Kirill, convinto che la guerra sia anzitutto una guerra contro i nostri valori, dal consumismo alle «parate gay», non sarebbe per niente fiero di loro.
Nel momento in cui stavo per chiudere questo articolo, vedo comparire su twitter una scritta su un muro nella Cecoslovacchia del 1968, ai tempi dell’intervento sovietico: «Attenti agli assassini russi. Rubano orologi e radio». Può darsi che alla fine in tutto questo non ci sia niente di nuovo. Eppure mi sembra che oggi ci sia qualcosa di più, una contraddizione più profonda tra le parole e gli atti della dirigenza russa e il mondo in cui viviamo, e in cui volenti o nolenti vivono anche loro.
Forse è proprio questa dissonanza cognitiva che colpisce l’intero establishment, ma evidentemente anche una parte non piccola della popolazione russa, che rende così goffi e impacciati, e spesso persino grotteschi, i portavoce del Cremlino, ufficiali e non ufficiali. E forse proprio qui sta anche la nostra migliore speranza.