Il maestro della psichedeliaAddio a Matteo Guarnaccia, l’artista “contro” che ci ha insegnato a diventare grandi

Troppo creativo per essere assimilato al linguaggio politico, aveva sempre l’estetica come punto di partenza, sia nella scrittura che nel disegno. Ma non escludeva la necessità etica, o impegno: ma impegno a essere una persona colta, informata, attenta

Matteo Guarnaccia

Tutto ciò che merita la definizione di alternativo è passato da Matteo Guarnaccia. Se ne è andato troppo presto lasciandoci soli senza i suoi disegni, i libri, le enciclopedie psichedeliche e i tantissimi progetti di cui ti parlava e nel giro di qualche mese ecco uscire un nuovo lavoro editoriale ricco, ricchissimo, curato in ogni particolare, bello e fuori sincrono.

Aveva appena sessantasette anni, sei più di me, abbastanza per aver vissuto esperienze dal vivo che molti di noi hanno imparato dalle sue testimonianze, ma non sufficienti a essere assimilato alla stagione del ’68, al dominio del politico e dell’ideologico. Punto di partenza delle sue avventure il piacere estetico, restituito sempre da una brillantissima scrittura e dal tratto sapiente da disegnatore di razza e talento, che non mirava a escludere la necessità etica – chiamalo se vuoi impegno, ma impegno a essere una persona colta, informata su ciò che accadeva in giro per il mondo, dal misticismo indiano al rock americano, dallo stile british all’attivismo di casa nostra, dall’arte al fumetto, dal design alla moda.

Prima o poi verrà il tempo di mettere a posto i conti con la storia e forse quelle figure non allineate avranno finalmente l’attenzione che meritano. Guarnaccia lo conoscevo prima di incontrarlo, proprio come Alessandro Mendini o Elio Fiorucci, lo conoscevo attraverso i testi di Stampa Alternativa che erano in prima fila nella mia biblioteca “contro”. Mentre io leggevo e guardavo le sue pagine, Matteo andava in giro per il mondo, da Amsterdam al Giappone, dal Sud America agli Stati Uniti. Spesso quando usciva un suo nuovo lavoro, Matteo era molto prolifico, a lui la scrittura veniva rapida e fluente, me ne veniva affidata la recensione ed era l’occasione per andarlo a trovare e scoprire altri segreti di una ricchissima collezione di memorabilia beat e psichedelica.

Troppo creativo per essere assimilato al linguaggio politico, Guarnaccia sosteneva che l’origine della controcultura fosse stata la Amsterdam dei primi anni ’60 con i provos, primi artefici di un movimento non violento, ambientalista e anti consumista. E forse ci incontrammo proprio in occasione della mostra sulle biciclette bianche da lui curata presso la galleria di Antonio Colombo in via Solferino, uno dei pochi luoghi che ancora mi riempie il cuore soprattutto quando c’è lui, il boss, l’uomo che ha cambiato la storia del ciclismo italiano e nell’arte ha sempre rifiutato il mainstream per esplorare strade e percorsi alternativi, in Italia come in California, considerando Matteo Guarnaccia uno dei suoi artisti, anzi “il più buono” come mi ha scritto proprio ieri.

Da quell’incontro, o forse poco più in là, nacque l’idea per la mostra sulle calzature disegnate da Vivienne Westwood al Castello di Vigevano che curammo insieme nel 2006, lui decisamente più abile a dribblare i capricci dell’ex diva punk e del suo staff. In diverse mie mostre “trasversali” ho avuto il piacere di esporre i disegni di Guarnaccia pubblicati a suo tempo su “Insekten Sekte”, il foglio alternativo che fondò ad Amsterdam, al Centro Pecci di Prato per Live che indagava i rapporti tra arte e rock, al MAO di Torino per “Nothing is Real”, quando i Beatles incontrarono l’oriente, dove Matteo mise a disposizione oltre ai suoi lavori anche la sua collezione. Quando si devono scrivere gli addii, purtroppo, il web è a disposizione, tutti attingiamo da lì e infatti ricorre spesso, troppo spesso, la definizione di guru. Così scopro che nella pagina Wikipedia di Matteo Guarnaccia qualcuno ha inserito una mia citazione che riporto paro paro: «Per questo mi piacciono i suoi lavori: perché oltre a smuovere un bagaglio di ricordi sono dotati di una profonda onestà intellettuale. L’artista si guarda allo specchio e non vede solo se stesso ma un intero universo di segni, immagini, e colori. Come un tempo, come sempre».

Mi scrive Colombo: «Ha agito in tutti campi con leggerezza, direbbero ora, ma quale cazzo di leggerezza… con profondità, consapevolezza, senza annoiare». Milano, l’Italia, perdono un personaggio e un artista chiave. A tanti di noi ha insegnato a diventare grandi senza perdere l’innocenza, imparare il passato per leggere il presente. Buon viaggio Matteo, che vai a sorridere e disegnare altrove.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter