Non solo Viktor Orbán. L’Unione Europea non deve solo fare i conti col veto dell’Ungheria che – unito alle obiezioni della Cechia, della Slovacchia, della Bulgaria e della Romania – ha vanificato il blocco delle forniture del petrolio dalla Russia. Pessima figura di Bruxelles, mentre Putin non ha che da rallegrarsi.
Il vero problema della unione politica della Ue è, ancora una volta, la Germania. Una Germania orfana della Ostpolitk di Angela Merkel, governata da un Olaf Scholz che si dimostra incapace di delineare una strategia alternativa di politica estera. Una Germania che si schiera opportunisticamente dietro Orbán per ritardare il più possibile la rottura degli acquisti di petrolio, carbone e metano da Vladimir Putin. Una Germania malata, come e più di sempre, non solo di rigorismo di bilancio ma anche di un egoismo economico segnato dal più trito sovranismo.
Interprete rigido dell’ordo liberismo teutonico, infatti, il nuovo ministro delle Finanze di Berlino Christian Lindner, il più potente in Europa, da giorni rilancia interviste in Italia e in Francia imperniate su tre punti: nessuna, assolutamente nessuna nuova emissione di Bond europei per finanziare keynesianamente una recessione causata dalla invasione russa della Ucraina che promette danni ben maggiori di quella provocata dal Covid; ripristino il prima possibile del patto di Stabilità, inclusa la regola capestro del 3 per cento del rapporto deficit-Pil; nessuna messa in comune del debito europeo. Unica novità: Lindner ammette la necessità di un allentamento delle regole di bilancio per la riduzione del debito. La Bundesbank applaude.
Una ricetta ultra rigorista in piena recessione che peraltro accomuna alla Germania anche Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Austria.
Il tutto a fronte di un alleato-concorrente come gli Stati Uniti che progetta invece, e all’opposto, di rinvigorire l’economia con un mega piano statale di investimenti da duemila miliardi di dollari – Keynes e New Deal in purezza – mentre Lindner progetta e propone di contrastare la recessione rifiutando un piano europeo di mega investimenti pubblici, con sole riforme razionalizzanti, compressione dei costi e pressioni sui privati perché finanzino la transizione ecologica.
Si vedrà nei prossimi mesi come e quanto gli altri Stati della Ue, Francia e Italia in testa, riusciranno a contrastare questa incapacità teutonica di prendere atto, tra l’altro, delle disastrose conseguenze sociali di queste strategie economiche che hanno letteralmente costruito negli ultimi dieci anni la base sociale dei partiti populisti. Basti pensare che in Francia hanno appena votato compatti per l’anti europeista Marine Le Pen il 67% degli operai, il 57% degli impiegati e il 67% di coloro che si definiscono “svantaggiati” e che in Italia il quadro è simile.
Quello che salta immediatamente agli occhi piuttosto è il dato politico, sono gli effetti disastrosi della cecità di Scholz e Lindner sulle prospettive di una Europa capace di dotarsi di una strategia, di una missione unitaria. Preoccupa il riflesso sullo sviluppo futuro della Ue delle pessime abitudini ultra egoiste di una Germania sempre e di nuovo decisa a plasmare l’intero continente sulle sue miopi regole di bilancio.
Quale difesa comune si potrà mai costruire se l’Unione si piegherà al diktat di Lindner di non emettere mai più Bond europei per contrastare la recessione? Se non si emette un debito a garanzia comunitaria, come si può pensare di costruire allora quella unità politica minima indispensabile a dirigere, a dare ordini e regole d’ingaggio a un esercito comunitario?
E come si può sviluppare una politica estera europea comune se non la si incarna in un esercizio concreto della forza militare?
Come si può pensare che l’Europa trovi il modo, come è indispensabile che trovi, per investire in Africa centinaia e centinaia di miliardi – probabilmente più di mille è la somma minima – per ovviare alla carestia da grano, e quindi alle certe rivolte popolari e quindi a una rinnovata pressione migratoria che fa impallidire quella vista sinora?
Tutto questo, Christian Lindner e Olaf Scholz, semplicemente non lo colgono. Hanno i paraocchi, non vedono il mondo, non capiscono le conseguenze della rottura epocale delle relazioni internazionali, della geopolitica, della sfida tra Occidente e Russia e Cina provocate da Putin il 24 febbraio. Hanno lo sguardo puntato solo sui meccanismi di bilancio. Come sempre.
Col di più che almeno Angela Merkel e Gerhard Schröder avevano una visione ideologica a guida della loro miopia e della loro larghissima concessione di credito a Vladimir Putin: credevano fermamente che l’integrazione economica e dei mercati a Est avrebbe prodotto un allargamento del dominio delle regole liberali e della democrazia non solo nei paesi dell’Est, ma anche in Russia: Werfel durch Handel, il cambiamento attraverso il commercio.
Questa illusione è crollata sotto i cingoli dei carri armati di Putin e con la conferma che la condivisione dei principi dello stato di diritto è quantomeno parziale non solo nell’Ungheria di Viktor Orbán, ma anche in quella Polonia che dovrebbe essere l’avamposto militare e politico dell’Occidente il cui governo peraltro è pienamente sostenuto da Solidarnosc.
Ma Olaf Scholz e Christian Lindner – questo è il problema per l’Europa – non si rendono neanche conto che è indispensabile avere una visione ideologica, definire una mission, elaborare un nuovo progetto geopolitico di collocazione dell’Europa tra Stati Uniti, Russia e Cina.
Ancora una volta l’Europa rischia di essere azzoppata dall’usurante contrasto con una cecità di Berlino che non ha compreso la fase storica, che pensa che l’economia vada guidata con le regole e le norme meccaniche del sano bilancio e non con le visioni della politica. Ancora una volta la Germania, con Christian Lindner e Olaf Scholz, si dimostra, come disse Henry Kissinger, un gigante economico, un nano politico e quindi un verme militare.
Questo è il più grave problema dell’Europa.