Il G7 di Schloss Elmau è stato un successo con l’asterisco. Al di là dell’annuncio del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, «è stato un vero successo», al summit tra i capi di Stato e di governo delle grandi potenze economiche occidentali si è parlato di tutti i temi più importanti sul tavolo: l’invasione russa dell’Ucraina, i timori per la recessione, la crisi alimentare e quella energetica. Ma l’esito si potrà definire positivo solo se la comunità internazionale sarà in grado di tradurre l’enorme mole di decisioni in risposte concrete.
Mentre l’Ucraina provava a rispondere all’ennesima atrocità da parte dell’esercito russo – con l’attacco al centro commerciale di Kremenchuk che ha fatto almeno 20 morti – dalle Alpi bavaresi il G7 ha riaffermato «piena e grande coesione, grande unità di vedute in particolare per quanto riguarda la guerra in Ucraina e le sue conseguenze», per usare le parole dello stesso Draghi.
Il presidente del Consiglio italiano è stato attore protagonista nella tre giorni bavarese. Ha ottenuto quel che chiedeva sul price cap agli idrocarburi russi, ha condannato le operazioni militari del Cremlino, denunciato il rischio di una nuova ondata di populismi in Occidente.
«Le sanzioni sono necessarie per portare la Russia al tavolo negoziale», ha detto Draghi. «Ieri mattina – ha aggiunto – abbiamo ascoltato Zelensky che ci ha chiesto aiuto nel conflitto e nella ricostruzione: il G7 sosterrà l’Ucraina per tutto il tempo necessario».
Ieri avevamo raccontato che, accettando un ruolo da protagonista nella battaglia antipopulista, Draghi «sta guidando gli occidentali più timidi alla nuova e dura fase della guerra economica alla Russia», perché la crisi energetica non deve produrre un rafforzamento del populismo. Contenere l’inflazione diventa allora un obiettivo prioritario: quando l’economia scivola in una crisi duratura, i lati più oscuri della politica si fanno largo nel dibattito pubblico.
Le nazioni del G7 – Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Stati Uniti, Canada, Giappone – insieme generano quasi la metà della produzione economica mondiale, e vogliono aumentare la pressione sulla Russia senza però alimentare l’inflazione, già cresciuta a ritmi altissimi negli ultimi mesi. Per questo motivo il G7 impegnerà fino a 5 miliardi di dollari per migliorare la sicurezza alimentare globale.
Nel dossier della politica energetica, invece, la prima preoccupazione è impedire che il petrolio russo diventi – più di quanto non sia già – una leva nella mani di Vladimir Putin per minacciare l’Europa.
I ricavi delle esportazioni petrolifere russe sono aumentati ancora a maggio, anche se i volumi delle esportazioni sono diminuiti, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia nel suo rapporto mensile di giugno. Allora un limite al prezzo che gli altri Paesi pagano alla Russia per il petrolio taglierebbe le risorse a disposizione di Vladimir Putin per fare la guerra e aumenterebbe la stabilità e la sicurezza dell’approvvigionamento nei mercati petroliferi globali. «Un tetto al prezzo dell’energia – ha insistito Draghi – è un obiettivo geopolitico, oltre che economico e sociale».
Draghi è riuscito a far rientrare la sua proposta sul price cap al gas russo nel documento conclusivo del vertice, nonostante le posizioni di Germania e altri Stati membri dell’Unione europea: dopo il Consiglio europeo della scorsa settimana sembrava tutto rinviato a dopo l’estate, invece Draghi ha trovato una sponda nell’amministrazione americana di Joe Biden, che sostiene la necessità di stabilizzare il prezzo del petrolio, per insistere anche sul gas.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ad esempio, era del parere opposto (la Germania dipende moltissimo dal gas russo): «Nel breve termine il gas sarà necessario», ha detto nella conferenza stampa al termine del G7. «Nella fase di transizione gli investitori privati avranno difficoltà a finanziare impianti a gas, destinati a un phase-out relativamente rapido per via della transizione climatica, dato che investimenti di questo tipo si ripagano nel tempo, quindi occorrerà studiare modalità per incentivarli nella fase di passaggio a combustibili non climalteranti».
Un altro tema presente al tavolo del G7 è stato quello della sicurezza alimentare, messa in crisi dall’attacco russo dal momento che l’Ucraina è uno dei principali esportatori di grano e altri prodotti agricoli. La Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, stima che quest’anno tra il 20% e il 30% dei terreni agricoli dell’Ucraina rimarranno non piantati o non raccolti a causa della guerra. E le navi che partivano dai porti nel Mar Nero sono bloccate, con effetti a catena su moltissimi Paesi che da tempo contano sui rapporti con Kiev per importare quei beni alimentari.
«Ci impegniamo per ulteriori 4,5 miliardi di dollari per proteggere i più vulnerabili dalla fame e dalla malnutrizione, per un totale di oltre 14 miliardi di dollari come nostro impegno congiunto per la sicurezza alimentare globale quest’anno», hanno affermato i membri del G7 in una nota diffusa durante il summit. «Sosteniamo il nostro impegno a mantenere aperti i nostri mercati alimentari e agricoli e invitiamo tutti i partner a evitare misure commerciali restrittive ingiustificate che aumentano la volatilità del mercato e quindi il rischio di insicurezza alimentare».
Il protagonismo di Draghi si legge, per contrasto, anche nelle parole di un funzionario del Cremlino, Yuri Ushakov, che ha risposto al presidente del Consiglio italiano con una frase aggressiva e irritata sulla partecipazione di Putin al prossimo G20 di Vladimir Putin. Draghi ha detto di aver ricevuto rassicurazioni dal presidente indonesiano Joao Widodo sul fatto che il presidente russo non avrebbe preso parte, almeno di persona, al summit, al massimo in videoconferenza. «Non spetta a Draghi deciderlo. Ha probabilmente dimenticato che non è più il presidente (del G20)», ha detto Ushakov all’agenzia Tass.
Dopotutto Draghi è stato tra i leader europei che hanno spinto maggiormente per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, e durante il colloquio con Volodymyr Zelensky all’inizio del G7 aveva dichiarato: «Siamo uniti con l’Ucraina, se l’Ucraina perde tutte le democrazie perdono. Se l’Ucraina perde, sarà più difficile sostenere che la democrazia è un modello di governo efficace. Putin non deve vincere». È comprensibile che qualcuno al Cremlino avesse voglia di togliersi più di un sassolino dalle scarpe.